Acque e innevamento artificiale: una crisi devastante.
Innevamento artificiale e turismo invernale nel futuro. Un tema che sconvolge ogni certezza fin qui acquisita. Da una parte, ANEF, l’associazione degli impiantisti funiviari che sostiene che la neve che si produce verrà poi dispersa nel fine inverno sui versanti verso i torrenti sottostanti. Inoltre, afferma, i nuovi cannoni sparaneve risparmiano energia.

Come risponde la cultura ambientalista? Confutando ogni loro semplificazione.
Si assiste da anni a una crisi idrica diffusa che coinvolge anche comuni montani. Non solo per le perdite degli acquedotti che si sono stabilizzate fino a oltre il 40%. Perdite dovute anche al fatto che alcuni comuni utilizzano le acque degli acquedotti per produrre neve: vedasi alcuni comuni che ospitano la Marcialonga di Fiemme e non solo. Per rimanere nel ricco Trentino, pensiamo alla crisi idrica a Baselga di Piné, a Cavalese costretta a limitare la distribuzione dell’acqua potabile negli alberghi di alta quota (Cermis), a Moena come a Tesero, quest’ultima località ospiterà le gare di sci nordico olimpiche del 2026. Se la crisi colpisce aree tanto ricche cosa succede in zone ritenute marginali?

I lunghi periodi siccitosi, anche invernali, nelle Alpi richiamano emergenze sempre più diffuse. I dati della Fondazione CIMA ci dicono che a oltre metà inverno 2024 – 2025 i bacini fluviali delle Alpi (bacino del Po) sono sotto la media di portata acque 2011 – 2023 del 47%, il bacino del Tevere raggiunge il 99%. Come è possibile si banalizzino simili dati scientifici?
Eppure succede. Non solo per quanto afferma Anef. Non è vera la loro affermazione che l’acqua prelevata da corsi d’acqua o da bacini in autunno per fare neve artificiale venga poi redistribuita sui versanti. L’acqua trasportata anche da un a valle all’altra si redistribuisce come e dove vuole. Anzi, più si aumenta la superficie dell’evaporazione della risorsa, più si accentuano le criticità dei bacini idrici sottostanti.
Comunque ovunque nevica meno, e la neve che cade rimane sui suoli per tempi minori. Solo il bacino dell’Adige nel 2023 ha accumulato 310 milioni mc. di acqua sotto forma di neve rispetto ai 950 milioni del 2011. Il fiume Po 990 milioni rispetto ai 1588 del 2021.
Nelle riflessioni complessive dei volumi di risorsa idrica disponibili si dimentica spesso la riduzione del permaforst, il ghiaccio intriso nei ghiaioni e nelle rocce, che si soglie anno dopo anno. E non provoca solo frane, o ricchezze di vita, ma fa perdere a tutti una preziosa riserva d’acqua. Vi è di che preoccuparsi.

Riguardo il risparmio di energia è senza dubbio vero. I cannoni sparaneve oggi ne consumano meno del decennio scorso, sono più efficienti. Ma loro rete di diffusione è anche moltiplicata, attingono da sempre più diffusi bacini, passano per vasche di raffreddamento e poi disperdono neve su superfici sempre più ampie. Nel complesso il consumo energetico e di suolo libero nelle montagne ogni anno aumenta. Quindi è favola la teoria del risparmio energetico, viene smentita dalla realtà in quanto la rete dell’innevamento artificiale aumenta anno dopo anno, anche grazie a incomprensibili sostegni finanziari pubblici.
Come è possibile che le istituzioni pubbliche sottovalutino questi dati e ancora sostengano il proliferare dell’industria della neve? Eppure succede, in Appennino come nelle Alpi. In nome della lotta allo spopolamento delle montagne in Appennino, in nome dell’efficienza dell’industria dello sci in Alpi. Soffermiamoci sulle Alpi per offrire uno sguardo a lunga proiezione all’Appennino.
Come è possibile che in vallate a turismo oltremodo maturo, pensiamo a Valgardena o Badia in Sudtirol pensiamo a Bormio o a Campiglio, come Fassa, che i giovani fuggano da realtà tanto ricche? Sono ricche davvero? E su chi ricadono i cospicui guadagni indotti dall’industria del turismo invernale e dello sci? Se i ragazzi, che hanno studiato, ricchi di un bagaglio culturale importante fuggono da queste valli ci si chiede perché accade?

La risposta è semplice: l’industria turistica massificata dello sci non risponde al problema dello spopolamento della montagna: arricchisce una minoranza di attori, impoverisce, causa i costi della vita, causa l’impossibilità di acquistare un immobile o andare in affitto, la povertà dell’offerta lavorativa la maggioranza della popolazione giovanile.
La conclusione è semplice. L’industria della neve è socialmente fragile. L’acqua è una risorsa sempre più preziosa. Non ci è più permesso di sperperarla. La si deve conservare, partendo dalle alte quote. Non certo grazie a invasi che ne favoriscono l’evaporazione, quindi una perdita diffusa. Non è vero che l’industria della neve limiti lo spopolamento. Anzi, provoca riduzione di opportunità e prospettive occupazionali. Non c’è dubbio alcuno. L’acqua è la risorsa che garantisce la vita di ogni specie, uomo compreso. Non è più possibile sprecarla. Mentre si assiste alla riduzione sempre più veloce delle superfici glaciali in montagna è necessario investire in politiche che ci permettano la conservazione delle acque, specie di quelle fossili, non visibili, sotterranee, le più pure. Ovvio si debbano cambiare i paradigmi dello sviluppo, sia nelle pianure che sulle alte quote. Una parziale soluzione sta in due obiettivi: il risparmio e la riduzione dei consumi. Abbiamo il coraggio di affrontare, in modo collettivo, una simile sfida?
Luigi Casanova