Dopo Valencia. Il destino delle montagne mediterranee.
Valencia ottobre 2024. Sei anni dopo Vaia sulle Alpi orientali, stessi giorni di calendario. Una nuova tragedia.
Nel 2018 sulle Alpi italiane si è dimostrato il fallimento di decenni di selvicoltura definita, ancora oggi, naturalistica. Dieci milioni di metri cubi di schianti. La coltivazione delle foreste era tesa alla produzione: produrre, ereditava una cultura vecchia oltre un secolo. Oppure lasciava sui monti ampi spazi privi di gestione. Danni simili a Vaia erano ormai consuetudine sulle Alpi del Nord e sull’intera Europa, ma l’ambito forestale italiano sottovalutava, in quanto, quelle tempeste, erano di origine atlantica. Si era convinti che l’arco montano alpino riuscisse a fermare ogni evento calamitoso. Quindi si sottovalutava, infatti, pochi sapevano cosa accadeva nei Paesi Europei. Centinaia di milioni di metri cubi di foreste ripetutamente schiantati e poi attaccate dal bostrico.
Da noi dopo Vaia, come era ovvio accadesse, è arrivata la pandemia dell’attacco di parassiti, il bostrico in particolare. Mentre qualche anno prima il bostrico provocava danni di circa la metà degli schianti da vento, sulle Alpi italiane, più calde, gestite in modo meno professionale nonostante il sommarsi di inutili certificazioni internazionali, il bostrico raddoppiava i danni da vento. Siamo a una moria di oltre 20 milioni di metri cubi di legname, un’estensione territoriale di 38-40 mila ettari. E la situazione non è ancora risolta.
Vaia non è stata la prima devastazione forestale dovuta alle acque del mar Meditterraneo che anno dopo anno si surriscaldano, è stata la prima violenta scossa emotiva subita da chi le Alpi le abita. Uno schiaffo che ti rovescia ogni certezza. Migliaia di ettari di superficie forestali denudati. Chi, come il sottoscritto le Alpi le abita, riteneva che nel suo insieme il sistema forestale racchiudesse una fortezza di certezze. Così non è stato.
Ora la depressione e conseguente tempesta Dana, che ha causato la devastazione di un’ampia regione spagnola, con centinaia di morti, con città sventrate, con fiumi che hanno ripreso spazi che gli umani avevano scelleratamente invaso, ci riporta a riflettere su cosa significhi oggi sviluppo, crescita, su cosa sia importante: la quantificazione del PIL o invece del benessere del nostro vivere e delle nostre comunità?
Si è scritto, anche su stampa amica, che il clima uccide. Immensa sciocchezza, frutto di una diffusa deriva culturale. Sono le scelte urbanistiche dell’uomo che uccidono persone, natura e provocano ovunque migrazioni sempre più problematiche di interi popoli. Il clima è conseguenza delle nostre scelte, passate e attuali. L’accatastamento di migliaia di auto nelle strade di Spagna, nei garage è la foto più emblematica di un modello di sviluppo fallimentare che continuiamo a perseguire.
Ora, impotenti, non ci resta che attendere i prossimi eventi. Perché non c’è volontà politica di invertire la rotta, di passare ad altre scelte. Della pochezza culturale di chi ci amministra troviamo dimostrazione giornaliera nel governo italiano, lo dimostrano quanti da incoscienti legiferano in Unione Europea. Il Mediterraneo, per decenni, proporrà le sue acque sempre più calde. Quando si formano depressioni, come con Vaia, come con Dana, sempre più frequenti, l’evaporazione delle acque creerà situazioni, piogge e venti, sempre più intensi, e devastanti. Dapprima questi eventi hanno colpito le Alpi (Vaia, 2018, ma già l’alluvione del 1966 aveva avuto dinamiche simili, seppur non uguali), ora la Spagna sudorientale. Chissà a breve dove accadrà: i Pirenei e la Catalogna, le Alpi francesi e l’occidente italiano, i paesi slavi e i Balcani, la Grecia?
Nel caso italiano abbiamo una associazione, l’Anef, gli industriali della neve, che dipingono noi ambientalisti come degli estremisti, privi di conoscenze scientifiche, poeti ideologizzati. Questi industriali della neve hanno una fiducia estrema della tecnologia, vedono sempre rosa e potenziano ovunque le aree sciabili, a qualunque quota, anche in Appennino (grazie al sostegno di finanziamenti pubblici). Rappresentano un sistema di potere, una lobby quanto mai influente e i politici a questa lobby sono sottomessi. Nonostante l’evidenza dei drastici cambiamenti climatici in corso si attirano in quota masse di ospiti che poco o nulla conoscono della montagna, a questi turisti si prepara un’offerta di divertimenti, di svaghi, propria delle pianure e degli ambiti urbani. Si è in presenza di una categoria imprenditoriale cieca e arrogante, che impedisce perfino il confronto sulle scelte.
L’ennesimo devastante evento distruttivo che la popolazione spagnola sta subendo porterà i nostri politici ad assumere coraggio e a investire in innovazione, in altri percorsi? Percorsi segnati da poche significative parole che qualora alimentate, sostenute, diffondono sviluppo e lavoro, anche in montagna: conservazione, biodiversità, rispetto dei corsi d’acqua e dei paesaggi, sicurezza. Non ci sembra di chiedere l’impossibile.
Luigi Casanova