Il tempo di Alex Langer.
Oggi sono trent’anni che Alex Langer è morto, scegliendo di togliersi la vita. A trent’anni dalla morte, ripercorriamo alcune delle lezioni vive e preziose del viaggiatore leggero. Di Danilo Selvaggi.

Il trentennale della morte di Alex Langer arriva in un momento drammatico e proprio per questo opportuno. La guerra è tornata protagonista, il dialogo e l’internazionalismo vacillano, il sovranismo rinasce, la transizione ecologica (o “conversione”, come preferiva dire Langer) vive le difficoltà che sappiamo.
Insomma, è il tempo di Alex Langer.
Tra le tante cose per cui ricordiamo Alex, una compare più raramente: i pensieri da lui scritti a corredo del gesto estremo compiuto il 3 luglio 1995 a Pian dei Giullari, Firenze. Le cosiddette “parole del congedo”.
È una parte troppo dolorosa e forse stridente della storia. L’uomo della fiducia e dell’azione che cede alla disperazione. Alex Langer, instancabile viaggiatore, che si ferma per sempre.
In realtà, Alex aveva cominciato a tradire stanchezza da almeno due anni prima (anche in seguito alla tragica scomparsa della collega e amica Petra Kelly), persino annunciando delle dimissioni dalle cariche politiche che rimarranno però un’intenzione.
Pensare ad Alex Langer, leggere Alex Langer, i suoi scritti, i suoi discorsi, per me vuol dire interrogarsi non solo sull’ecologismo ma su due fattori distinti e complementari che ne hanno accompagnato il percorso umano e civico: l’amore e la politica. Anzi, tre fattori: l’amore, la politica e, appunto, la stanchezza, ovvero il suo rimedio: il riposo.
L’amore è il legame sostanziale con la vita. È il sentimento di cui investiamo noi stessi e gli altri. È corpo, calore, desiderio, gioia, empatia, lacrime, passione. La base stessa dell’esistenza, il sale della vita. Impossibile vivere senza amore o non cercando l’amore in una qualche sua forma.
Quanto amore, quanta passione emerge dalla storia di Alex Langer?
Al tempo stesso, Langer è stato tutt’altro che ingenuo da pensare che i problemi di una realtà complessa e iper-razionalistica come è la nostra – e come era già la sua – potessero risolversi con un pur grande esercizio d’amore. Sarebbe bello se ogni rapporto tra gli esseri umani, e persino tra gli esseri umani e il resto del vivente, fosse mosso soltanto dall’amore, e però non è così. Nel mondo non c’è solo l’amore. Per questo, all’amore, Langer ha affiancato la politica.
In un certo senso la politica è quella pratica che comincia dove finisce l’amore. È un’invenzione geniale per cui noi possiamo trovare un accordo e stare assieme anche se non ci amiamo. Anche se veniamo da luoghi diversi e andiamo in luoghi diversi e parliamo lingue diverse e crediamo in un dio diverso o in nessun dio. (Emblematico, a proposito di lingue, l’intervento di Langer al Consiglio regionale di Trento nell’estate 1979, quando per la prima volta un consigliere, cioè lui stesso, tenne un discorso all’assemblea parlando sia tedesco che italiano. Tedeschi e italiani non si amavano affatto. Mischiare le due lingue era un’eresia).

Quanto sarebbe importante, oggi, una politica così intesa? Una politica in grado di staccarsi dalle appartenenze più sanguigne, e persino dall’amore (che può essere una gabbia, un familismo), per costruire relazioni e soluzioni? La politica come argomento onesto e persuasivo finalizzato al buon accordo (il famoso “ponte”)? La politica come profondità e non solo superficie? La politica come arte della conciliazione locale e globale, identitaria e planetaria? La politica come opposto della guerra? La politica come rinuncia a qualcosa, a uno spazio, a una rendita, per riottenere molto?
“La logica dei blocchi blocca la logica” scriverà Alex, con un gioco di parole tagliente.
Langer avrebbe particolarmente amato la contestata enciclica “Fratelli tutti” di Papa Bergoglio sull’apertura del mondo e il dialogo interreligioso. L’avrebbe amata come la “Laudato si'”, nella convinzione che l’ecologia è in ultima analisi un genere di fratellanza, così come il pianeta è una nuova forma di casa, la casa di tutti.
Poi arrivò quel lunedì 3 luglio 1995 e l’amore e la politica fecero crack.
O più semplicemente, fece crack la resistenza di una persona con i suoi limiti, che sono i limiti di chiunque. I limiti degli esseri umani, della natura, del pianeta. Limiti che non vanno superati.
“Me ne vado più disperato di prima”, scrisse in tedesco su una delle tre lettere del congedo, aggiungendo “non ce la faccio più”, sovrastato dall’immanità dei cimmanitàompiti. Non ce la faccio più: 4 parole che
traboccano di umanità e di amore.
E qui viene fuori il terzo elemento, essenziale come gli altri due: il riposo, cioè – appunto – il rispetto del limite.
Dei 9 limiti naturali planetari definiti da Johan Rockström dell’Istituto di Resilienza di Stoccolma, 6 li abbiamo infranti fino ad arrivare in zona rossa. Tra questi, c’è il declino della biodiversità, la perdita di natura. Oggi la natura è assediata, spossata, antropizzata, illuminata continuamente a giorno, costretta ad una veglia infinita, a presenze e rumori continui. Condannata al produttivismo. Avrebbe bisogno di “abbandono”, di rigenerazione, di vacanza, nel senso di essere svuotata da noi.

Per gli esseri umani è la stessa cosa. Serve riposo. Serve silenzio, lentezza, cammino, parole e pensieri leggeri. Serve sonno, persino senza il sogno. Un sonno puro e indisturbato. C’è un enorme valore ecologico nelle pratiche del sonno e del riposo. Quel sonno e quel riposo che Alex, a un certo punto, anelò senza poter avere. L’amore e la politica (il sentire gli altri e il “trattare” con gli altri) sono le due grandi lezioni, più vive che mai, che la storia di Alex Langer, trent’anni dopo, continua a impartirci. “Strumenti” complementari che dobbiamo imparare a usare meglio, ora l’uno, ora l’altra, ora insieme, portandoli sempre con noi come beni preziosi. Beni che forse cedono al peso di certi giorni difficili ma mai devono dissolversi del tutto, nemmeno di fronte all’odio e alle bombe, nemmeno negli inferni dei mondi dimenticati e degli angoli dimenticati, privati o pubblici che siano, nemmeno di fronte alla distruzione della Terra, nemmeno all’ombra struggente di un albicocco.
E però, nello zaino del viaggiatore leggero, oltre all’amore e alla politica dovremmo metterci anche del riposo, perché altrimenti l’amore e l’agire politico rischiano davvero di rompersi. Dobbiamo imparare a
dimenticare almeno per un attimo il rumore del mondo insostenibile che ci circonda, chiudere gli occhi e riposare. L’impegno ne uscirebbe non indebolito ma rafforzato da energie nuove e la nostra visione del mondo sarebbe più fresca, più limpida.
Questo è davvero il tempo di Alex Langer. I temi sono i suoi temi. I dilemmi sono i suoi dilemmi. La stanchezza è la sua stanchezza. Le speranze sono le sue speranze.
Danilo Selvaggi