La legge sul ripristino della natura è difficile da capire per noi abituati al consumismo.

In un tempo non troppo lontano, il ripristino e la riparazione delle cose utili era la norma. Si riaffilavano forbici e coltelli, si risuolavano le scarpe, si rattoppavano le camere d’aria delle biciclette dopo una foratura. Certo questo costume era spesso dettato da condizioni economiche modeste, ma anche dal riconoscimento del valore che si dava a ciò che ci apparteneva. Poi è arrivato il boom economico e con esso è dilagata la filosofia consumistica, ben descritta nel 1955 dall’economista americano Victor Lebow, consigliere del presidente Truman: “La nostra economia incredibilmente produttiva ci richiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l’acquisto e l’uso di merci in rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo. Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati ad un ritmo sempre maggiore. Abbiamo bisogno di gente che mangi, beva, vesta, viva in un consumismo sempre più complicato e, di conseguenza, sempre più costoso”.

Stando così le cose si può capire come il concetto legato alla Nature Restoration Law (letteralmente, “Legge sul ripristino della natura”) recentemente approvata in Europa sia di difficile comprensione, legati come siamo alla filosofia dell’usa-e-getta. Perché ripristinare qualcosa? Cambiamola! Si può fare con un’automobile, con una casa, con un cellulare o un computer, perché non si può fare con la Natura?

Sfortunatamente, o per fortuna, le leggi naturali non seguono le regole dell’economia. Per anni abbiamo pensato che bastasse avere più soldi per ottenere il benessere e migliorare la nostra qualità di vita, ma ci stiamo accorgendo che non sempre è così e alcune di quelle che sembravano conquiste si sono rivelate soddisfazioni effimere. Siamo più ricchi, ma meno felici; viviamo più a lungo, ma meno in salute.
“Quando la posta in gioco è garantire una vita sana e felice alle generazioni future, è necessario prendere decisioni coraggiose”; questa la dichiarazione della ministra dell’Ambiente austriaco Leonore Gewessler, che con il suo voto a favore ha garantito il raggiungimento del quorum per l’approvazione della legge.

Il ripristino degli ecosistemi è dunque una decisione coraggiosa, ma quasi obbligata: fino al 70% dei suoli dell’Unione è contaminato e ciò comporta una perdita di 50 miliardi di euro per anno in produzione agricola, una specie su tre di api e farfalle è in calo demografico e una su dieci a rischio estinzione: occorre riuscire ad invertire il calo delle popolazioni di insetti impollinatori per tornare a farle crescere. Acque più pulite, pozzi di assorbimento naturale del carbonio come torbiere e zone umide, fiumi a libero scorrimento per prevenire le catastrofi naturali, incremento del verde urbano sono obiettivi che concorrono a raggiungere i propositi climatici europei, non solo di mitigazione ma anche di adattamento agli eventi estremi sempre più frequenti.

Chi ha votato contro, come l’Italia, ha visto nei vincoli ambientali un pericolo per la sicurezza alimentare ed energetica con possibili perdite economiche per agricoltori, pescatori e selvicoltori, riduzione delle catene di approvvigionamento europee e conseguenti aumenti dei prezzi per i prodotti alimentari, oltre ad ostacoli all’avanzata delle rinnovabili; ma l’agricoltura intensiva e l’uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti, il consumo di suolo, l’inquinamento, la selvicoltura non sostenibile ci hanno portato dove siamo oggi e, come dice uno slogan delle manifestazioni ambientaliste, non abbiamo un pianeta B.

Il cosiddetto Earth overshoot day, ovvero la data nella quale si considerano esaurite le risorse mondiali a disposizione nell’anno, nel 2024 è stato ulteriormente anticipato al 5 giugno; questo significa che per soddisfare i nostri fabbisogni non bastano due pianeti come la Terra.

Il principio di base della Nature Restoration Law è ridare vita a una natura degradata dall’azione umana: la protezione è certamente fondamentale, ma occorre fare di più ripristinando quanto è andato perduto in termini di biodiversità con lo scopo di garantire a lungo termine i servizi ecosistemici da cui dipende la qualità della vita, contribuendo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici in atto.

Al di là della corsa – fine a se stessa – ad attribuire le colpe ai presunti responsabili del clima che cambia, è fondamentale elaborare strategie di adattamento con un occhio al futuro. Con buona pace dell’usa-e-getta.