La pratica del selvatico di Gary Snyder (Premio Pulitzer 1975): pietra miliare dell’ecologia profonda e del bioregionalismo

“La natura selvaggia non è soltanto «la preservazione del mondo», – è il mondo.”
“Parlare di natura selvaggia significa parlare di interezza, di integrità. Gli esseri umani sono usciti da una tale completezza, e considerare la possibilità di riattivare la nostra appartenenza
all’Assemblea di Tutti gli Esseri non è in nessun senso una regressione.”

Dal 12 luglio sarà disponibile in tutte le librerie La pratica del selvatico (Piano B) di Gary Snyder.

Gary Snyder – insignito del Premio Pulitzer esattamente 50 anni fa, nel 1975  – poeta, ambientalista e figura chiave della Beat Generation di cui rappresentò l’anima più contemplativa e naturalistica ci accompagna in un viaggio che intreccia esperienze di alpinismo, studi di ecologia profonda, insegnamenti del buddismo Zen e riflessioni sul linguaggio, sulla civiltà e sulla libertà.

La pratica del selvatico è un’ intensa riflessione sul nostro abitare la terra. E su come coltivare una vita sociale ed economica che ci metta in contatto con il selvatico che è in noi, e coltivi la natura selvaggia che ci circonda come un luogo in cui una diversità di esseri viventi e non viventi prosperano in accordo al loro stesso ordine.

“Abbiamo bisogno di una civiltà che possa vivere in modo pieno e creativo insieme alla natura selvaggia. E dobbiamo iniziare a svilupparla proprio qui, nel Nuovo Mondo.”

Di Fett – Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=75263431

Snyder sostiene che dobbiamo stipulare un “contratto naturale” su scala mondiale con gli oceani, l’aria, gli uccelli del cielo. La sfida è trasformare le “risorse comuni” in Beni Comuni. Dobbiamo attuare una trasformazione culturale che “inibisca la ricerca del potere e della proprietà, incoraggiando l’esplorazione e la sfida in campi come la musica, la meditazione, la matematica, l’alpinismo, la magia e tutti gli altri modi di essere autentici nel mondo”.

La pratica del selvatico ci suggerisce di impegnarci in qualcosa di più della virtù ambientalista, dell’entusiasmo politico o dell’attivismo, per radicarsi nell’oscurità del nostro io più profondo. Le profondità della mente, l’inconscio, sono le nostre aree interne di natura selvaggia. L’ego cosciente e pianificatore occupa in realtà un territorio molto ristretto. Il linguaggio e la cultura stessa hanno un suo lato selvaggio: le arti sono le aree selvatiche dell’immaginazione che sopravvivono “come parchi nazionali, in mezzo alle menti civilizzate”.

Questo radicamento deve avvenire inoltre all’interno di “nazioni naturali” costituite da catene montuose, fiumi, pianure e paludi. La consapevolezza bioregionale ci insegna che la nostra relazione con il mondo naturale accade in un luogo, e dev’essere fondata su informazioni ed esperienze.  Bioregionalismo significa far entrare i luoghi nella dialettica della storia. Anche se il pluralismo culturale e il multilinguismo sono la norma planetaria dobbiamo trovare un equilibrio tra pluralismo cosmopolita e profonda consapevolezza locale.

“C’è un ordine sociale in tutta la natura – da molto prima che  esistessero libri o codici legali.”

Una vita etica è consapevole e educata: tra tutte le mancanze morali, la peggiore è il pensiero avido. La maleducazione del pensiero o del comportamento verso gli altri esseri viventi e verso la natura, riduce la convivialità e la comunicazione tra le specie, che è invece necessaria per la sopravvivenza fisica e spirituale. Nella produzione industriale di carne del Ventesimo secolo l’atteggiamento verso gli animali, il modo in cui li trattiamo “èletteralmente nauseante, immorale e fonte di sconfinata cattiva sorte per questa società”.

Snyder uno dei maggiori poeti americani del secondo Novecento e una figura centrale nella controcultura statunitense, ha saputo fondere nelle sue opere poesia, pensiero orientale, vita selvaggia e impegno ecologico, divenendo una voce autorevole nel nascente movimento ambientalista.