Le Montagne sotto attacco.

La grande accelerazione: come la velocità del cambiamento climatico mette in crisi oceani, ghiacciai e foreste. Di Luigi Casanova.

Fino a qualche decennio fa buona parte delle montagne italiane si erano salvate. La logica del profitto stava completando l’azione di distruzione delle pianure: urbanizzazione selvaggia, grande viabilità, invasione delle colline, e, ovunque, la canalizzazione dei corsi d’acqua.

La diga e il serbatoio del Sabbione, 1955 (Archivio storico del Touring Club Italiano)


Oggi quei territori risultano devastati, con tutte le conseguenze che le popolazioni stanno subendo: alluvioni sempre più frequenti e ripetute, franamenti, inquinamento di spazi incredibili (vedasi pfas).
Rimanevano liberi gli spazi delle montagne. Certo vi erano stati imposti i grandi invasi idroelettrici, aree sciabili, scimmiottaggi urbanistici delle città, vedasi Bormio, Sestriere, Cervinia, Campo Imperatore.
Le montagne ancora libere subivano lo spopolamento dovuto all’attrazione delle grandi industrie nei fondovalle e a uno Stato che le svuotava di servizi essenziali. Imponendovi, ovunque possibile, un’unica industria: IL TURISMO.
Alle popolazioni resistenti e residenti non rimanevano che due scelte

  • abbandonare la cura del territorio non più remunerativa;
  • asservirsi ai bisogni dell’ospite, evitando, tragico e diffuso errore, di investire in offerta diversa i invece subendo passivamente la domanda. Una domanda tanto aggressiva che non poteva che trasferire sulle alte quote quanto si viveva nelle grandi aree urbane.

Il modello turistico che si sta diffondendo oggi è attività che sgomita in modo aggressivo: una banale filiera che cancella territori e bellezze, consuma biodiversità, paesaggi, risorse e beni comuni, identità locali. Omologa le culture rendendo il valligiano sempre più simile al cittadino. Nel concreto è avanzata, si è strutturata una corruzione culturale dei popoli delle montagne.
Questo modello turistico non difende la montagna dallo spopolamento, anzi, diventa un motore di accelerazione. Lo si legge in Trentino, in Alto Adige, a Cortina d’Ampezzo. A scappare sono i giovani: non trovano servizi, non trovano lavori di qualità, gli affitti sono insostenibili, comprare casa impossibile, e lavorare come? Al servizio del turismo? Così se ne vanno all’estero.
Questa imprenditoria turistica è allergica alle leggi, sono un fastidio, vengono definite burocratizzazione. Così le si modifica, attraverso le semplificazioni, le leggi di tutela vengono superate nel nome di presunti interessi generali: oggi, anche grazie a incredibili deroghe, le ruspe affondano i loro cucchiai nelle aree protette (vedasi Stelvio, rete Natura 2000 nelle Alpi come in Appennino). Le storiche regole di gestione dei territori vengono lette come imposizioni: ecco quindi l’azione politica che sottomette le Soprintendenze, che asserva gli istituti di controllo, e impone deroghe, impedisce a cittadini e associazioni percorsi partecipativi seri, che permette la devastazione dei centri storici.

Ecomostri al Sestriere

Eppure, vi fosse saggezza, i cambiamenti climatici in atto dovrebbero imporci comportamenti opposti. A esempio un’immediata revisione di tutte le pianificazioni territoriali ritornando a criteri estremamente severi tesi a garantire sicurezza, risparmio di suoli liberi, investimenti in conservazione e biodiversità, studi e ricerche aggiornate.

Invece cosa si registra.

  1. Un accanimento terapeutico diffuso dell’industria dello sci. Che impone il potenziamento delle aree sciabili, che impone nuovi impianti che raddoppiano le portate orarie. Conseguenza: sci in notturna e relativo inquinamento luminoso e da rumore, nuova viabilità, nuovi bacini per l’innevamento artificiale, strutture ricettive sempre più invadenti, investimenti in percorsi specifici per bikers in cerca di emozioni forti, parchi tematici, nuove vie ferrate, la diffusione del lusso, non solo alberghi e ristorazione, ma anche campeggi, voli e trasferimenti in elicottero, diffusione delle motoslitte. Una corsa sfrenata all’urbanizzazione dell’alta montagna. Nel Vallone delle Cime bianche, a Bormio, in Alto Adige e Trentino non se ne parla, Cortina d’Ampezzo. Le ruspe si impongono, vedasi olimpiadi prossime, perfino su frane in movimento.
    E’ la diffusione dell’ipocrisia, grazie a dati strumentali, addomesticati, quindi falsi: leggasi le dichiarazioni delle associazioni imprenditoriali degli impiantisti.
  2. Cambiamenti climatici e grande sete.
    I ghiacciai si sciolgono, le riserve idriche, anche in quota, si riducono, spariscono sorgenti storiche. La sete arriva nelle vallate turistiche, gli acquedotti non sono sufficienti a rifornire impianti sciistici, alberghi sempre più grandi, villaggi turistici. La risposta è uniforme: si investe in bacini di raccolta acque.
    Anche l’agricoltura ha sete, non solo in montagna, specialmente sulle colline coltivate a monocoltura della vite o dei meleti, nelle grandi pianure dove si sono occlusi per sovrasfruttamento i pozzi, dove i fiumi sono stati canalizzati. E allora si propongono nuove dighe.
    Emblematico il caso del Vanoi (Trentino). Si tratta di una valle dimenticata e per questo ancora autentica ricca di selvaticità e grandi suggestioni. C’è un corso d’acqua miracolosamente libero. Per i politici veneti non è concepibile, nemmeno per il consorzio del Brenta. Invece di lavorare sulle proposte alternative, meno costose, perfino migliorative della biodiversità fluviale come proposto da 14.000 firme e da associazioni ambientaliste, si va per vie spicce. Si propone una grande diga. Su terreni tutelati, su terreni con il massimo indice di pericolosità geologica e idrica, ci si ostina sul progetto nonostante non sia finanziato, nonostante l’opposizione di tutti gli enti locali della montagna.
Cantieri in quota per funivie

Non basta. La montagna diventa anche luogo di smaltimento dei materiali delle città. Dopo aver portato nel Primiero di rifiuti solidi urbani della Valsugana, a Trento si lavora per una grande circonvallazione ferroviaria. Non si sa dove smaltire centinaia di migliaia di metri cubi di terreni di scavo, in parte inquinati da industrie attive negli anni ‘70 del secolo scorso. Non si possono invadere gli ultimi spazi rimasti liberi per l’agricoltura. E dove si porta il materiale? A Canal san Bovo, sempre nel Vanoi, a 190 Km. di distanza andata e ritorno, sull’argine dell’alveo del torrente. Ovviamente si dovranno ulteriormente cementare gli argini del torrente, un rio capace ripetutamente di sconvolgere l’intero assetto della valle. Sta avvenendo, una follia che ha dell’incredibile.
Come è follia il proseguimento del gasdotto in Appennino da parte della SNAM. Invece di abbandonare i combustibili fossili vi si continua a investire. E anche in questo caso vittima è la montagna, l’Appennino che sarà attraversato da questa enorme mole di lavori.
Oppure, ancora follia quanto avvenuto e quanto si persegue sulle creste delle montagne dell’Appennino, dalla Calabria fino alla Toscana. L’invasione delle pale eoliche, mostri alti oltre 130 metri imposti alla montagna, viabilità d’accesso compresa, si devastano paesaggi, foreste, sistemi idrogeologici di grande fragilità, si desertifica ogni possibilità di vita su quelle montagne.


Le strade forestali, si diffondono ovunque, anche su versanti fragili, insicuri, sempre più invadenti, sempre più ampie, sempre più costose, non solo da realizzare, ma in seguito da mantenere.
Così continua la frenetica corsa di uno sviluppo impazzito. Si seguono logiche del secolo scorso che dovrebbero essere superate, si è incapaci di leggere il presente e il futuro. Si tratta di una umanità che sceglie di rimanere cieca. Che dopo aver devastato le nostre pianure ora si accanisce sulle montagne. Senza offrire risposte a quanto ci impongono i cambiamenti climatici. Senza fornire risposte ai giovani e ai reali bisogni delle montagne italiane.
Vi ho portato pochi esempi. So di aver tralasciato molto. Ma quanto illustrato è sufficiente per portare chi ci governa, chi ha il dovere di programmare il nostro futuro, a scelte diametralmente opposte.
Comunque è ancora vivo un diffuso orgoglio nella montagna. Da questo orgoglio nascono proposte immediate, da sostenere ovunque: solo pochi esempi. Una moratoria di 5 anni sullo sviluppo di aree sciabili e potenziamento di impianti di risalita, nella pianificazione l’inserimento delle aree di quiete, tranquillità, come sta avvenendo in Svizzera, inderogabili, investimenti, di ricerca e di lavoro, nei settori della conservazione, del potenziamento delle biodiversità, nella garanzia di sicurezza nei territori..