Non ci sono più boscaioli ed è un problema per tutti.

I boscaioli sono quasi introvabili, fra pochi anni questo nobile e faticoso lavoro rischia di estinguersi.
Chi deve allarmarsi, primi fra tutti chi ci amministra, oggi prende atto, registra il fenomeno e poi si dedica ad altro: a esempio permettere che le aree sciabili dilaghino, o incentivare il consumo di aree agricole di pregio per regalarle alla speculazione del turismo di lusso.
Di Luigi Casanova.

Gli effetti del bostrico

Se ne parla troppo poco. E fatto più preoccupante, non si agisce. Da tempo si è lanciato un allarme.
I boscaioli sono quasi introvabili, fra pochi anni questo nobile e faticoso lavoro rischia di estinguersi. Anche in territori, come il Trentino, dove il 63% della superficie è occupata da foreste.
Il percorso di un simile declino è tracciato da tempo, ne sono responsabili tutte le componenti politiche: chi deve allarmarsi, primi fra tutti chi ci amministra, oggi prende atto, registra il fenomeno e poi si dedica ad altro: a esempio permettere che le aree sciabili dilaghino, o incentivare il consumo di aree agricole di pregio per regalarle alla speculazione del turismo di lusso.
Fino a due decenni fa, alcuni comuni virtuosi, specie in Trentino e Alto Adige, erano dotati di squadre di lavoratori stagionali in bosco, agili, flessibili nell’uso: boscaioli, manutentori di strade forestali, baite, sentieri.
Pure i Servizi Foreste erano ricchi di questi operatori. Lavoratori ricchi di cultura, di manualità, che sapevano come disporre una canaletta di drenaggio su una strada boschiva, come gestire i canali a monte, che aprivano sentieri quando la pesante neve primaverile, o schianti da vento, o franamenti causati da violenti temporali impedivano il transito, a pedoni e veicoli. In poche situazioni virtuose questi lavoratori erano anche dotati di trattori, teleferiche, macchine operatrici. A conservare tale valore di lavoro e culture sono rimasti pochi enti: alcune Regole o Asuc. Comuni e Regioni hanno abdicato totalmente, in Provincia di Trento il servizio lo si è demolito.

Nel concreto si sono allontanati dal territorio professionisti della cura del bosco e degli alpeggi. Si diceva, raccogliendo dai bar: questi lavoratori sono un costo, non producono a sufficienza, non sono controllabili, aumentano il carico di lavoro dei servizi di ragioneria, i problemi della sicurezza sono sempre più complessi da affrontare. Così si è deciso: meglio abdicare al dovere di curare il territorio. Lasciamo ai privati, agli appalti in emergenza, meglio se privi di controlli (ridotto e umiliato il servizio di custodia forestale).
Nel contempo anche i lavoratori di ditte private nel bosco inesorabilmente diminuivano. L’arrivo di macchinari complessi certo ha favorito la produttività e aumentato la sicurezza degli operatori, ma questo processo ha aumentato a dismisura i costi di gestione di tali macchinari. E spariva la formazione continua. Mentre i giovani si allontanavano dalla professione.
Come è possibile oggi convincere un giovane a ritornare a lavorare in bosco quando le amministrazioni pubbliche dimostrano tanto disinteresse, a partire dalle Regioni e dai demani pubblici? Non è sufficiente promuovere qualche ora di formazione: è necessario dotarsi di una strategia. Dapprima la tempesta Vaia e ora la conseguente pandemia del bostrico hanno reso evidente come il territorio esterno agli abitati sia stato abbandonato. Si continua a costruire strade, per lo più inutili, doppioni dell’esistente. Affari d’oro per i privati. Ma chi manterrà questo incredibile investimento nelle strutture viarie forestali, con quali fondi e specialmente con quali operatori? Laddove si sono svenduti gli orti forestali, oggi nel dopo Vaia, è necessario intervenire con leggeri impianti forestali. Le piantine si acquistano a costi esasperati dai paesi confinanti, specie dall’Austria. Si è così perduta la professionalità delle operatrici negli orti e si è cancellata una prospettiva di lavoro, una cultura, questa non si costruisce in pochi mesi o leggendo un manuale.

Gli effetti del bostrico

Fossi nei panni di un operatore turistico sarei preoccupato da questa deriva. Mi chiederei come farò già oggi, ma sempre più nei prossimi anni, a garantire ai miei ospiti sentieri e viabilità in sicurezza, ad avere zone ricreative in bosco pulite dalla caduta di rami e cimali, a garantire i drenaggi sulle strade. Chi interverrà in caso di emergenze, una folata di vento che mi abbatte qualche decina di piante?
Così ci troviamo in presenza di una storia secolare perduta. Nemmeno più l’intervento di emergenza sarà garantito. Si chiude al transito. In attesa di appalti, ovviamente privati e a spese del pubblico. Penso che chi oggi politicamente gestisce i Servizi Foreste debba da subito farsi carico di questi problemi e intervenire con efficacia e sicure garanzie di finanziamento. Del resto in tutto l’arco alpino si gettano soldi pubblici, milioni di euro ogni anno, in potenziamenti di aree sciabili destinate all’estinzione, in funivie prive di sostenibilità economica, vedasi il Bondone (TN), Merano 2000 (Bz). Questi passaggi non destano scandalo, anzi, producono voti certi. Possibile che in Italia non si ritorni a investire nel suo principale capitale: la gestione dei boschi (34% della super-ficie complessiva del Paese) e degli alpeggi in alta quota? Ovviamente partendo dal rilancio del lavoro qualitativo dei boscaioli e di tutti gli operatori del territorio. Possibile non venga recepito il valore strategico del lavoro in bosco? Che Comuni e Regioni non comprendano quale valore rappresenti la gestione di dettaglio del territorio e la promozione delle professionalità di chi lo dovrebbe lavorare? Questo accade. Nonostante Vaia, nonostante la diffusione dei parassiti, nonostante i cambiamenti climatici in atto. Si ritiene invece che coltivare, avere cura del nostro bene primario, la foresta, sia tempo perso.

Luigi Casanova