Il caso Vanoi scatena una guerra dell’acqua tra Veneto e Trentino

Già nel secolo scorso si era ripetutamente provato a imbrigliare le acque del torrente Vanoi. Nel 1950 un’eventuale diga era stata proposta con lo scopo di produrre energia idroelettrica. Il progetto venne accantonato per i costi eccessivi e per rischi geologici evidenti. Vi si riprova a fine anni ‘90 del secolo scorso, questa volta con un progetto del Consorzio del Brenta motivando l’opera con la necessità di acqua dell’agricoltura del bassanese. Una diffusa opposizione dei residenti, di tutto l’associazionismo ambientalista e del mondo della cultura della montagna fermò i nuovi progetti. Si erano schierati contro alpinisti, scrittori, attori fra i quali ricordiamo Paolo Rumiz, Marco Paolini, Gianfranco Bettin, Fausto de Stefani, Gian Antonio Stella, Massimo Cacciari, Mauro Corona.

Oggi il Consorzio della Brenta è tornato all’attacco. Grazie ai fondi del Pnrr, al sostegno del Ministero dell’Agricoltura, si è dato vita a un progetto che dovrebbe avere più ricadute, fra loro tutte in contraddizione: scopo irriguo delle coltivazioni della pianura, scopo idroelettrico, invaso di laminazione di piene, area ricreativa – turistica.

Su tavolo vi è un investimento ricco di oltre 200 milioni di euro, si prevedono due ipotesi, un invaso di circa 20 milioni di mc. di acqua e uno di 33 milioni. Un grande lago, lungo circa 4 km, si imporrebbe alla valle del Vanoi distruggendo un ambito naturalistico e paesaggistico miracolosamente oggi ancora integro.

L’agricoltura della pianura padana ha sempre più sete e nei decenni ha consumato in modo indiscriminato tutte le sue risorse idriche. Sperperando, svuotando i pozzi, non investendo nel risparmio e in un  utilizzo razionale. A oggi solo il 16% delle colture dell’area del bassanese è irrigata a goccia (nelle vicine Province autonome la percentuale sale al 90%), l’agricoltura è ormai industrializzata con coltivazioni a forte consumo idrico e allevamenti fuori scala.

Come si intende risolvere il problema? Ancora una volta aggredendo la montagna. Nonostante tutta l’area interessata dal progetto risulti a forte rischio geologico, i franamenti dai versanti siano continui, si sia in prossimità di aree protette (Rete Natura 2000) con SIC che garantiscono la riproduzione naturale della trota marmorata (Salmo marmoratus) e il torrente ospiti ancora lo scazzone (Cottus gobio).

Qualora realizzata la diga avrebbe ripercussioni irreversibili anche sul tessuto sociale del territorio, già oggi fragile causa un progressivo spopolamento, sul clima e quindi sugli habitat anche di alta quota.

Qualunque persona razionale in presenza di queste minime osservazioni riterrebbe impossibile imporre una simile opera. Non è così invece per il governo nazionale e per il governo regionale del Veneto. In forza del decreto legge denominato “Siccità”, il 39/2023, l’opera è stata commissariata. Così, a detta dei proponenti, è più semplice per superare i vincoli sui temi ambientali, sociali, della sicurezza, del principio di precauzione. In questo modo lo Stato si appropria  di decisioni che spetterebbero ai territori, umiliando i principi di autonomia e di autogoverno, umiliando i percorsi partecipati della democrazia. Nel concreto si è dato il via a una vera e propria guerra dell’acqua. Nonostante si rischi un nuovo Vajont: non è un caso che una montagna in prossimità del previsto lago di chiami Colle Tòc, un nome che dovrebbe far riflettere, ci riporta a quanto accaduto a Longarone nel 1963.

Le popolazioni locali si sono ribellate. Hanno costituito un comitato che raccoglie decine di cittadini attivi, migliaia di firme, hanno il sostegno dell’associazionismo ambientalista nazionale, trovano energie anche in alcune forze politiche. Perché le alternative alla devastante diga ci sono. Infatti il fronte dei NO non è sordo al tema della solidarietà, è consapevole del bisogno di acqua della pianura. Ma al mondo agricolo chiede da subito un diffuso investimento nel risparmio nell’uso della risorsa. E poi di investire risorse (una spesa prevista di un decimo del costo dell’intera opera) investendo lungo la Brenta in casse di espansione,  in Aree forestali di infiltrazione (AFI), nel recupero di volumi negli invasi già attivi sul torrente Cismon, in opere di sicurezza idraulica, in una politica che ostacoli il progressivo consumo di suolo libero. In un prossimo convegno verranno illustrate nel dettaglio queste alternative. Nel frattempo associazioni, circoli culturali, cittadini hanno presentato nel merito al governo e al Consorzio del Brenta osservazioni già esaustive.

Luigi Casanova