I fallimenti delle tutele UNESCO sulle Dolomiti, una responsabilità solo politica.
La genesi di Dolomiti Patrimonio naturale dell’umanità: cenni storici
Nelle giornate del 7, 8 e 9 agosto 1993 Mountain Wilderness Italia, Legambiente e S.O.S. Dolomites organizzarono a Cortina d’Ampezzo un’articolata iniziativa tesa a proporre all’UNESCO l’inserimento dell’intero arco delle Dolomiti nell’elenco dei grandi Monumenti del Mondo (World Heritage). In soli tre giorni si raccolsero oltre 10.000 firme. L’iniziativa venne portata all’attenzione del Ministero dei Beni Culturali italiano. Da lì ebbe inizio un lungo processo istituzionale, culturale e sociale, non privo di difficoltà, che condusse al successo di Siviglia, quando il 26 giugno 2009 le Dolomiti vennero dichiarate dall’UNESCO Patrimonio naturale dell’umanità.
La scelta del patrimonio naturale fin da subito fu aspramente criticata dall’associazione in quanto l’aver scelto di tutelare solo gli ambiti rocciosi e le aree già parco naturale o inserite in Rete Natura 2000 impediva l’avvio di un progetto di tutela complessiva dell’area dolomitica compresa fra i fondovalle fino agli alpeggi e alle fantastiche rocce (Convegno di Pieve di Cadore, 2010). Già allora era emerso evidente come i politici avessero guidato le Dolomiti a divenire un banale marchio turistico, utile a una mercificazione del territorio, da proporre alla collettività nazionale e internazionale cancellando di fatto da quello stesso territorio i tanti valori e le identità delle popolazioni che lo abitano: sparivano così ogni richiamo culturale, storico, identitario e di alta valenza conservazionistica, sia dei paesaggi che degli ambiti naturali. Non solo, ma nella scelta venivano esclusi dalla tutela UNESCO gruppi montani strategici fra i quali il Sassolungo, il Sella-Boè, i Monzoni-Costalunga, le Piccole Dolomiti. La tutela venne ristretta solo ad aree in qualche modo -anche discutibile- già tutelate, come i parchi nazionali, regionali, provinciali e le zone inserite in rete Natura 2000, aree ZPS e SIC (ora ZSC), alcune delle quali sono prive di un piano di gestione. Una scelta, come poi accaduto, che secondo noi avrebbe reso problematica la gestione del territorio e avrebbe fatto perdere alle Dolomiti intere la visione della loro complessità vitale, l’intreccio indissolubile di eccezionalità naturali e di culture altrettanto sfaccettate e ricche di valori, che meritavano di essere dichiarate con lungimiranza patrimonio culturale dell’umanità. La Strategia Complessiva di Gestione (SCG) approvata a Siviglia prevedeva come obiettivi basilari la conservazione, la comunicazione, la valorizzazione del bene: tale strategia doveva mirare a gestire il livello accettabile di visitatori e quell’insieme di vite ed esperienze che si legavano al vitale tessuto connettivo dei fondovalle.
Consapevole della fragilità strutturale dell’iniziativa e per superarne alcuni degli effetti sterilizzanti, il Programma esecutivo (Obiettivo A1, punto 3) aveva previsto “L’individuazione e valorizzazione del sistema di corridoi ecologici e paesaggistici”. Un percorso mai iniziato, anzi, a oggi divenuto in alcune amministrazioni obiettivo da disconoscere (Regione Trentino-Alto Adige).
Nonostante questo insieme di limiti tanto preoccupanti, fin da subito l’associazione ha offerto alla Fondazione Dolomiti UNESCO collaborazioni e contenuti di alto spessore tanto da partecipare attivamente alla fase partecipativa che ha portato alla stesura del piano di gestione denominato Dolomiti 2040 (2017).
L’uscita di Mountain Wilderness dal Collegio dei soci sostenitori e le relative motivazioni.
La delusione maturata nel dicembre 2019 a Venezia, in un convegno sostenuto da 11 associazioni ambientaliste (delle quali 9 nazionali) ha portato Mountain Wilderness ad abbandonare il Collegio dei soci sostenitori a causa dell’inefficienza operativa della Fondazione; assieme alle altre associazioni è stato elaborato un severo documento di critica portato a Parigi all’attenzione dell’UNESCO. La motivazione principale dell’abbandono stava nel fatto che il piano di gestione, ricco di contenuti ritenuti da noi positivi ed auspicabili da attuare nei tempi stabiliti con precisione, certi, veniva fin da subito abbandonato. Ancora oggi non un solo passaggio di quella programmazione è stata attuata. La responsabilità di tanta sciatteria e disinteresse ricade totalmente nel Consiglio di amministrazione della Fondazione.
A dimostrazione della sottovalutazione del ruolo minimale della Fondazione sta anche il fatto che si sia deciso di trasferire la sede della Fondazione stessa dal centro di Cortina, Corso Italia, alla lontana periferia di Acquabona. L’ente non deve risultare visibile.
Sul territorio delle Dolomiti, specie fra i residenti, si riscontra delusione, si parla apertamente di fallimento della mission conservazionistica della Fondazione e fra cittadini impegnati si diffondono le richieste rivolte all’UNESCO di togliere il patrocinio alle Dolomiti.
I problemi mai affrontati
Mountain Wilderness Italia, pur se in modo sintetico, intende entrare nel merito dei problemi mai affrontati, problemi concreti che attendono risposte da decenni. Le risposte a questi temi oggi sono più che mai urgenti visti i cambiamenti climatici in atto e le severe conseguenze che questi stanno portando all’ambiente alpino nel complesso, in modo ancora più severo nelle fragili Dolomiti. Sono problemi urgenti sostenuti anche dai media nazionali. Si pensi agli eccessi delle presenze turistiche: nel 2018, quando ancora la Fondazione mostrava qualche segnale di vitalità e propositività, a Sesto Pusteria organizzò un convegno internazionale sui temi degli eccessi di presenze turistiche, anche nelle aree protette. Tutti gli interventi invocarono scelte coraggiose miranti al numero chiuso degli accessi.
Se la Fondazione Dolomiti UNESCO ha fallito nella sua mission a nostro avviso la prima causa sta nella scelta del 2009 di arrivare a tutelare solo gli ambiti di alta quota. I nove siti indicati meritevoli di tutela, per lo più rocciosi, hanno permesso di evitare, scientemente, una valutazione complessiva di quanto accadeva nelle immediate pertinenze: potenziamento della viabilità stradale, diffusione di aree parcheggio per favorire l’uso dell’auto privata, demolizione del servizio di trasporto pubblico, potenziamento progressivo delle aree sciabili, potenziamento delle strutture ricettive -anche i rifugi in alta quota-, azione pressante di marketing turistico diffusa ovunque con un uso strumentale del marchio Dolomiti UNESCO, anche laddove questo non coinvolge il territorio. All’insieme già di per sé preoccupante si è accompagnata un’azione devastante delle pubbliche amministrazioni (Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Regione Veneto, Regione Friuli Venezia Giulia) nel favorire l’urbanizzazione delle alte quote e nella colpevole assenza di controllo e proposta da parte del Ministero dell’Ambiente. In ogni situazione si è favorito e ancora si favorisce il diffondersi del turismo di massa.
Un altro aspetto riguarda il tema del valore della conservazione e del potenziamento della biodiversità naturale. È evidente che quando si potenzia la pressione antropica, anche con la costruzione di nuove infrastrutture pesanti in prossimità del patrimonio da tutelare, lo stesso patrimonio viene intaccato nei suoi valori non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche naturalistico. Si pensi solo agli effetti della tempesta Vaia e del successivo attacco alle foreste dello scolitide bostrico. In un ambiente forestale tanto sconvolto sarebbe stato necessario coordinare gli interventi a livello interregionale e rivedere l’intero impianto culturale che ha guidato fino ad oggi una silvicoltura ritenuta naturalistica.
Sul tema della Formazione la Fondazione Dolomiti UNESCO si è rinchiusa in un fortino dal quale non escono notizie e studi sul patrimonio da tutelare, sui flussi del turismo e l’impatto che questa monocultura sta portando sulle alte quote e sulla vita quotidiana delle popolazioni che vi abitano. Ci si è accontentati di coinvolgere rifugisti, guide alpine, ovviamente l’ordine dei giornalisti per poi avere da questi ricadute di immagine ed omissione di altre culture. Così si è evitato accuratamente di mantenere coinvolti nel processo informativo e formativo tutti i soggetti portatori di criticità e di stimoli tesi al miglioramento degli obiettivi definiti nel passato, a parole sostenuti come pilastri dell’azione della Fondazione. Si è trattato di un’azione di ricercato isolamento che ha solo nociuto alla stessa Fondazione.
Gli interventi urgenti e necessari
L’altro tema, già citato in premessa, riguarda la cancellazione dai programmi della Fondazione dell’attuazione del programma di gestione 2020 – 2040. In questo modo non si sono affrontate nemmeno le emergenze che vogliamo da subito elencare:
– chiudere al transito delle auto private la strada delle Tre Cime di Lavaredo, oltre alla regolamentazione severa del traffico sui passi dolomitici;
– limitare o vietare gli accessi nelle aree già oggi oltremodo antropizzate o in situazioni dove da tempo i limiti sostenibili sono stati superati;
– contrastare l’intensificazione e il potenziamento delle infrastrutture o un loro uso inappropriato che porti impatti negativi sui valori del bene (prescrizione del WH Committee, 26.06.2009);
– vietare la pratica dell’eliturismo, oggi sostenuta ed alimentata direttamente perfino in province dove questa attività tanto devastante dovrebbe risultare vietata per legge (vedasi Provincia autonoma di Bolzano);
– avviare una politica conservazionistica dei beni naturali;
– praticare una politica di contenimento del potenziamento dei rifugi, sia privati che del CAI o della SAT, vedasi come esempi i recenti casi dei rifugi Santner Catinaccio e Boè (SAT), o rifugio passo Sella ex CAI (anche se alcuni di questi risultano inseriti in ambiti esclusi da Dolomiti UNESCO);
– evitare con coraggio i silenzi o gli interventi minimali e subito trascurati legati al potenziamento delle aree sciabili, dal Comelico per arrivare a Cortina, al Catinaccio, alle Dolomiti di Brenta, alle Pale di San Martino, al Latemar. Quanto avvenuto a Cortina fra le Tofane e passo Falzarego e verso le 5 Torri in occasione dei mondiali di sci alpino, arrivati perfino all’uso dell’esplosivo sulle rocce, è scandaloso, come è scandaloso il silenzio tenuto sulla proposta dei tre collegamenti sciistici privati fra Cortina e Val Badia, Arabba e Monte Civetta o il potenziamento dell’area sciabile verso la Marmolada. Era auspicabile che anche in prossimità del patrimonio realmente tutelato si promuovesse una revisione totale delle aree sciabili arrivando a sostenere nel tempo immediato una opzione zero nel potenziamento di questa attività, limitando gli interventi solo a minime razionalizzazioni ed aggiornamenti anche tecnologici. Come del resto è scandaloso il silenzio tenuto dalla Fondazione sulla candidatura accettata della val Gardena di ospitare i campionati del mondo di sci alpino 2031. Da tempo l’associazionismo locale chiede che l’area del Sassolungo e Sassopiatto diventi parco naturale di profilo provinciale, mai un intervento di sostegno a questa proposta è giunto dalla Fondazione.
Sarebbe troppo dispersivo elencare ogni capitolo del piano di gestione che non è stato attuato. La situazione è talmente grave da chiedere fin da subito alla Fondazione di riprendere un percorso di revisione del piano, ancorandolo ad investimenti economici e finanziari condivisi dai territori interessati. Un aggiornamento dovuto anche per fare fronte in modo innovativo agli effetti dei cambiamenti climatici e per rispondere in modo incisivo alle recenti modifiche introdotte dal Parlamento all’art. 9 della nostra Costituzione.
L’attività economica riferita al potenziamento delle aree sciabili risulta essere l’attività più critica che ci porta a diffondere anche sulle alte quote gli effetti di un eccesso di antropizzazione e di infrastrutturazione che invade anche i settore della ristorazione, dell’accoglienza, della viabilità.
I temi da affrontare sarebbero ancora molti, ad oggi ci fermiamo a questa forte denuncia. Chi volesse approfondire trova documentazione più esaustiva nel continuo impegno che Mountain Wilderness ha svolto sul tema e nel documento che nel 2020 l’associazione assieme ad altri 10 sodalizi ha inviato all’UNESCO a Parigi.