L’ambientalismo è umanesimo.

Intorno alla conferenza di fine anno sulle aree protette e alla visione ecologica dell’umano.
Di Danilo Selvaggi, direttore generale della Lipu – BirdLife Italia, ambientalista e filosofo.

Danilo Selvaggi

Gli Stati Generali delle Aree Protette: un primo bilancio

Gli Stati generali delle Aree protette, tenuti dal Ministero dell’Ambiente lo scorso 17 e 18 dicembre, hanno chiuso il 2024 naturalistico del governo italiano. Un anno segnato da varie scelte sbagliate, che hanno trovato l’apice nel voto contrario dell’Italia (per fortuna ininfluente) alla Nature Restoration Law.

C’erano dunque tutte le premesse perché la conferenza sulle aree protette – con al centro la possibile riforma della legge 394/91 – si rivelasse un motivo di nuove preoccupazioni per la natura del nostro Paese.

In realtà, i segnali giunti dall’evento sono stati meno critici del previsto. La volontà annunciata dagli esponenti del governo è stata anzi quella di rafforzare le misure di protezione e ampliare la superficie protetta nazionale (come peraltro prevede la Strategia europea sulla Biodiversità al 2030), concentrando il resto della riforma sugli aspetti di governance previsti dalla legge. I quali, del resto, sono tutt’altro che neutri e possono decidere, nel bene e nel male, le sorti di un’intera normativa e della materia interessata. Dunque, sin da ora, è bene prestare molta attenzione agli sviluppi della vicenda.

L’evento di fine anno sulle aree protette è stato però distinto da altri due temi, uno specifico ed uno generale, diversi ma legati tra loro, che è utile citare.

La restoration law europea e i regolamenti attuativi nazionali

Il primo tema riguarda proprio la Restoration Law. Definitivamente approvata lo scorso giugno, la legge europea sul ripristino della natura va ora tradotta nei piani nazionali e messa in pratica. Il Ministero dell’Ambiente ha cominciato a lavorarci e sarà molto importante porre il piano di ripristino anche in relazione alle aree protette e alla Strategia sulla Biodiversità, per far salire di qualità, anche in chiave sistemica, le politiche italiane della natura.

Il tentativo di screditare l’ambientalismo universalista

Il secondo tema è stato invece l’annosa questione dell’umano, cioè la presunta concezione antiumanistica della cultura ambientalista. Più volte citato nel corso dell’evento, l’argomento ricorre da sempre ma in questi ultimi anni/mesi ha assunto nuova forza, soprattutto per le esternazioni italiane di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida, Matteo Salvini e quelle europee di Nicola Procaccini, Manfred Weber, Viktor Orban e così via.

“Rimettere l’uomo al centro”, “Difendere la natura con l’uomo al centro”, “Sconfiggere l’ambientalismo antiumanistico e l’odio per l’uomo” sono concetti che esprimono oggi un nuovo disegno strategico rispetto al passato. Ieri era il “semplice” tentativo di avversare l’ambientalismo in quanto ostacolo allo sviluppo, oggi è il tentativo di creare un diverso ambientalismo, che offra una visione ecologica alternativa dell’umano e del mondo.

Il tema, ampio e impossibile da affrontare qui, conta su almeno due elementi portanti, riassumibili come segue:
1) la sostituzione dell’ambientalismo universalista (Nazioni unite, convenzioni internazionali, direttive europee) con un ambientalismo nazionalista, sovranista e per molti versi localista;
2) il recupero di taluni elementi culturali premoderni, che rimettano in gioco l’idea teleologica di una Terra creata per gli esseri umani, il cui fine ultimo è quello di essere sfruttata dagli essere umani.

(Nb: Il progetto di sostituire le associazioni ambientaliste storiche con “nuove” associazioni ambientaliste si inserisce, quantomeno nelle intenzioni, esattamente in questa prospettiva).

Il ministro Salvini, fan di Putin

Contestare queste idee, e in particolare la seconda, è uno dei compiti di fondo della cultura ecologica. La Terra non è stata creata per noi e non è alla nostra mercè. Pensare il contrario è un’ingenuità scientifica di proporzioni immani ma soprattutto è un errore politico e strategico molto pericoloso, che tra l’altro porta ad un sovrasfruttamento delle risorse naturali e finisce per danneggiare seriamente le stesse società umane.

Contestare questa idea, dunque, non corrisponde affatto all’espressione di un punto di vista antiumanistico.

La cultura ecologica si fonda su valori filosofici, morali, di altruismo, cura, pensiero, scienza, democrazia, che hanno contribuito a costruire la parte migliore – sebbene non dominante – dell’umanesimo occidentale. Certo, a questi valori la cultura ecologica ha aggiunto una novità peculiare e non ovvia, per non dire rivoluzionaria: l’idea dell’importanza della natura. Il fatto che la natura non sia un magazzino inerme al quale attingere a piacimento ma una rete delicata e preziosa di relazioni, che può darci benessere di lungo termine, materiale e immateriale, a patto che impariamo a conoscerla e trattarla meglio.

Ne è scaturita l’immagine di un essere umano maggiormente consapevole del proprio posto nel mondo e delle relazioni da intrattenere con il resto del vivente.

Arne Naess filosofo e alpinista norvegese, pioniere della ricerca interculturale e delle visioni socio politiche non violente, è stato il fondatore agli inizi degli anni Settanta del movimento della deep ecology o ecologia profonda

La cultura ecologica è una cultura umanista

Alla luce di questo, noi siamo allora in condizione di rivedere il luogo comune sull’antiumanesimo ambientalista e, anzi, di ribaltarlo completamente.

La cultura ecologica è una cultura umanistica, fondata su un’idea “ricca” di essere umano.
La cultura antiecologica è una cultura antiumanistica, fondata su un’idea “povera” di essere umano. Un essere umano ridotto a poche caratteristiche, con le quali è decisamente più difficile affrontare l’avvenire del pianeta e della stessa umanità.

Se dalle campagne italiane, negli ultimi ventitré anni, è scomparso il 36% degli uccelli, occuparsene è antiumanistico o umanistico? Porsi il problema di un’agricoltura migliore è antiumanistico o umanistico? Preoccuparsi di modelli così impattanti è antiumanistico o umanistico?

Qui si gioca la gran parte dell’equivoco sull’ambientalismo: quando l’ambientalismo – anche nelle sue versioni radicali – critica l’umano, lo fa pensando non all’umano in quanto tale ma a un umano egoista, imprudente, scarsamente consapevole, distruttivo.

Chiarire questo equivoco significa anche rivendicare il primato di una tradizione su un’altra e nutrire fiducia nel fatto che noi disponiamo di strumenti intellettuali, culturali, morali che meritano di diventare egemonici perché possono aiutarci a costruire un futuro migliore.

Non “umano contro natura” né “natura contro umano”, ma “umano e natura”, come compagni di destino, compagni di viaggio, alleati per la vita.

Anche per questo bisogna sforzarsi di liberare il discorso della natura, e in special modo quello delle aree protette, dall’immagine rediviva dell’uomo che combatte contro il lupo. Pur senza negare le problematiche della convivenza, che sono e saranno serie, il livello del discorso non può essere questo. C’è un mondo di possibilità nella conservazione della biodiversità, nel ripristino degli habitat, nel pensiero dell’altro vivente, nella soluzione delle controversie, nell’uso ragionevole delle risorse, nella promozione di desideri e pratiche che ci portino a godere della natura senza annichlirla, e perciò a vivere vite molto gratificanti.

Questo è umanesimo, non antiumanesimo (né postumanesimo). E’ umanesimo ecologico. Umanesimo nel senso più pieno e auspicabile del termine, per la cui affermazione, giusta e conveniente, dovremmo tutti attivamente lavorare.

Danilo Selvaggi