Non torneranno i larici. Quando la legge non fa il suo dovere?
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Segnaliamo questo fatto. Saranno i lettori stessi a farsi un’opinione di quanto sia legittima o illeggitima, forzata o libera da interessi, efficace o inefficace, ai fini della difesa dei beni comuni (anzi, primari, come le foreste, l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo) l’azione della Procura di Belluno.
In data 5 giugno 2024 il Giudice dott.ssa Elisabetta Scolozzi, su richiesta del PM Dott. Claudio Fabris, ordina l’esecuzione del decreto penale di condanna nei confronti di Peruffo Alberto, cittadino italiano, residente a Montecchio Maggiore, Vicenza, «per reato previsto dall’art. 639, co. 2, c.p. perché imbrattava il pilone di sostegno della cabinovia denominata “Freccia nel Cielo” scrivendovi, con vernice di colore giallo, la frase “non torneranno i larici”. In Cortina d’Ampezzo, il 19 febbraio 2024».
Il reato è stato commutato in una pena pecuniaria di 500 euro, con traccia sulla fedina penale.
Alcune considerazioni fattuali. Alberto Peruffo, attivista sociale e ambientale, alpinista, socio di MW e del CAI (da decenni), noto per il suo rigore scientifico e per le sue azioni altrettanto rigorose, nonviolente, coordinatore di molte lotte nel Veneto devastato e contaminato (leader del movimento No Pfas italiano), ha partecipato come attivista alla grande mobilitazione del 19 febbraio per tentare di salvare il bosco di Ronco, organizzata da Mountain Wilderness e dai comitati locali, insieme con altre importanti associazioni ambientaliste nazionali. Manifestazioni svoltasi in modo assolutamente civile, dove ognuno dei partecipanti ha portato il proprio singolare contributo. Alberto è stato tra gli oratori ufficiali spiegando le connessioni tra le grandi opere e le contaminazioni.
Durante il percorso, alla luce del sole e alla presenza di vari giornalisti, ha lasciato un messaggio che osiamo definire – contro il parere del giudice – poetico: “non torneranno i larici”, declinando la formula “non torneranno i prati”, presa dal titolo di un suo libro che capovolge il titolo del film di Ermanno Olmi – “Torneranno i prati” – per far capire quanto sia necessaria la presa di posizione attiva delle cittadinanze per salvare i territori, il pianeta, dalla devastazione messa in atto dalle politiche predatorie, specie in Veneto (Olmi abitava in Altopiano di Asiago, di fianco a Mario Rigoni Stern, grande sostenitore di Alberto Peruffo nella lotta contro le basi militari a Vicenza).
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La scritta, di ridotte dimensioni, molto poco impattante dal punto di vista ambientale (40 cm x 15 cm), ma non concettuale, è stata fatta su un pilone d’acciaio distante dalla normale frequentazione pubblica, vicino all’area di cantiere, con un colore acrilico leggero e lavabile, mediante un pennello d’artista (non con una bomboletta spray). Lo scopo era di lasciare un monito simbolico e un pensiero su cui riflettere, durante la manifestazione. Scritta che le intemperie avrebbero cancellato in breve tempo.
Tale procedura di manifestare un pensiero, altrimenti effimero, potrebbe essere discutibile ed eventualmente criticabile, invitando lo stesso esecutore, visto e accertato l’identità secondo un’accurata indagine preliminare (!) mediante documenti fatta dalla Procura, di rimediare o di spiegare la ragione di tale atto ritenuto “criminale”. Senza per forza mettere in esecuzione un procedimento, addirittura penale. Contro un cittadino italiano che da anni si dà da fare per difendere i beni comuni e primari.
Dal canto suo l’autore, ma pure noi tutti, ci chiediamo dove siano finiti le denunce, gli esposti, le carte consegnate alla stessa Procura negli stessi giorni antecedenti la distruzione del Bosco di Ronco. Lo stesso Peruffo, primo firmatario, con il Presidente dell’Eco-istituto Alex Langer Michele Boato, con l’ex Presidente di Mountain Wilderness Italia Adriana Giuliobello, con le consulenze di Paola Favero (già comandante del Reparto per la biodiversità di Vittorio Veneto, socia CAI, MW, GISM) e di Carlo Alberto Graziani (già professore ordinario di Diritto Privato nelle Università di Macerata e di Siena, socio di MW e collaboratore attivo al Tavolo delle Associazioni sulle Olimpiadi), aveva spedito alla Procura di Belluno, al Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso, alla Direzione difesa del Suolo – U.O. Forestale – Sede di Belluno, un dettagliatissimo esposto (allegato) per tentare di difendere il bosco di Ronco. Esposto del quale non ha mai ricevuto risposta dalla stessa Procura che si è invece resa operativa per condannarlo penalmente.
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Ora, noi tutti ci domandiamo, se dal punto di vista dei danni ambientali e sociali (sottolineati dallo stesso esposto), ovvero sia dal “macello” di 500 e più larici, molti dei quali secolari, come accertato da varie documentazioni e fotografie, operazione eseguita da una ditta di Cortina con il beneficio del dubbio sulla legittimità e della regolarità dei cantieri, taglio ad altissimo impatto ambientale, mediante motoseghe, mezzi a motore, movimentazioni di merci, con cantieri aperti a potenziale inquinamento da cemento con additivi contenenti PFAS nella vicinissima sorgente del Lago Bandion (come allertato dallo stesso Peruffo e i Comitati di Cortina), se tutto questo possa essere trascurato a fronte della punizione per una innocua scritta di “imbrattamento”, come scritto dalla Procura.
Scritta che, a ben vedere, non ha assolutamente niente a che fare con l’imbrattamento (sudiciume, bruttura, espressa della parola… anzi richiama il colore giallo autunnale dei larici che non vedremo più), soprattutto di fronte all’imbruttimento e all’imbarbarimento che la stessa Cortina sta vivendo in questi mesi per i lavori delle Olimpiadi, per i quali la stessa Procura è stata silente e inerte, nonostante le montagne di documenti, relazioni, esposti fatte da regolari cittadini italiani che non hanno nessun interesse particolare, se non difendere la generale salubrità e civiltà dei luoghi in cui vivono.
Se questà è la civiltà giuridica che difende i nostri territori, noi ci dissociamo.
Il Direttivo di Mountain Wilderness Italia
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