Dal Trentino una storia esemplare: Val Jumela, come lo sci distrugge nel tempo un intero patrimonio.

Allora, negli anni compresi fra il 1998 e 2000 riguardo l’assalto a val Jumela, chi sosteneva l’ampliamento dell’area sciabile, diceva: – “si tratta dell’ultimo collegamento”-, – “sarà l’ultima espansione dello sci”-. Così parlavano sorridenti i politici trentini, così dicevano gli imprenditori del turismo di Fassa e di tutto il Trentino. A loro dire si trattava di un sacrificio indispensabile, ammettendo che l’ambiente fosse pregiato e fragile. I valori naturalistici dell’area erano tutti documentati, fin da quando SOS Dolomites proponeva al Ministero dell’Ambiente, 1987, l’istituzione della riserva naturale della Val Jumela e Val di Grepa. Valli che erano un libro illustrato della geologia delle Dolomiti, dei valori della vegetazione, della flora, della fauna, del paesaggio, un’unicità naturalistica di un insieme monumentale, tutto era certificato in studi di alto profilo scientifico.

Già allora migliaia di cittadini trentini e ambientalisti replicavano ai miopi “sviluppatori”  che laddove si arriva con nuovi collegamenti la qualità del territorio verrà perduta per sempre. Si costruisce un effetto domino che comporta la diffusione di punti ristoro, di altri servizi legati allo sci, nuove strade in quota, lavori sul territorio che non avranno più fine (vedasi Franco de Battaglia bollettino Commissione TAM della SAT, anno 2000). Alla fine questo è quanto accaduto in Val Jumela con il collegamento fra l’area sciabile del Buffaure e il Ciampac, con tempi sempre più accelerati, il territorio è stato manomesso in ogni ambito:  non si sono imposte solo due nuove seggiovie e due nuove piste.

Tutto era nato dalla volontà della locale società Buffaure (Fassa) sostenuta dalla culturalmente debole amministrazione di centrosinistra guidata da Lorenza Dellai e dalla comunità locale ladina di distruggere il lavoro propositivo naturalistico e culturale di un nuovo Trentino che era sorto dopo il disastro di Stava (19 luglio 1985, 268 morti). Da allora si è dato il via al processo di cancellazione culturale del lavoro  sostenuto dall’illuminato e lungimirante Walter Micheli (1985 – 1993 vicepresidente della Giunta Provinciale). A partire da quell’arrogante atto politico venivano vanificati obiettivi lungimiranti che avrebbero aperto il Trentino a un turismo di qualità. Il processo di demolizione legislativa e culturale trova conclusione nella ancora più misera cultura politica delle amministrazioni Fugatti.

A conferma dell’effetto domino che il diffondersi della monocultura dello sci impone alla montagna sul Buffaure oggi ci si avventura, su proposta della locale società  sciistica, a sostenere la costruzione di un grande invaso per la raccolta dell’acqua per l’innevamento artificiale di 80.000 mc. di capienza, in valle di San Nicolò,  su aree a pascolo e forestali (loc. Pians de l’Ancona), in zona già devastata dall’overturism. Si dovranno cambiare le destinazioni urbanistiche di diverse particelle fondiarie, in prossimità del lago sorgerà un nuovo spazio ricreativo a uso turistico estivo, si sosterrà il potenziamento della variante sulla pista Panorama, si sostituirà  l’attuale seggiovia con una cabinovia che porterà il trasporto dalle 1800 persone ora a 2500. Il tutto avviene con il sostegno del Ministero del Turismo, l’apporto economico dei fondi europei e della cassaforte pubblica degli impiantisti Trentino Sviluppo. Subito dopo, mai sazi, si penserà allo sviluppo della  Ski area del Catinaccio con i collegamenti da Pera a Meida e non solo.

Tutto questo avviene in presenza dell’evidenza, traumatica, dei cambiamenti climatici. Chi se ne frega, si pensa fra i decisori politici comunali e della Provincia: importante per gli impiantisti è incassare subito e imporre in tempi utili l’urbanizzazione definitiva delle alte quote, a qualunque costo e senza pensare a una qualunque prospettiva del futuro: gli usi e i piaceri delle città devono imporsi alle montagne.

Chi ci propone questo sviluppo insensato rientra fra quanti giornalmente piangono degli effetti nefasti dell’overturismo, del traffico automobilistico insostenibile. Si tratta degli stessi attori che poi impediscono ai politici qualunque regolamentazione dei transiti sui passi dolomitici. Di chi chiede (vedasi variante recente del PRG di Soraga) l’aumento edificabile delle aree alberghiere. Gli stessi attori che sostengono la follia del BRT (Bus Rapid Transit che comporta ulteriore consumo di suolo pregiato), quanti chiedono di distruggere i prati di Fiemme per fare un nuovo ospedale, quelli che impediscono alla Fondazione Dolomiti UNESCO un ruolo propositivo e che la fanno soccombere in un ruolo, questo si banale, di ufficio di Marketing turistico.

Quanto accaduto attorno a Jumela in poco più di vent’anni porta Mountain Wilderness Italia a chiedere a tutto l’arco politico che governa le Alpi una immediata moratoria che riguardi non solo l’ampliamento, ma anche il potenziamento delle aree sciabili esistenti. Dobbiamo diversificare l’offerta di lavoro sui nostri territori. Il turismo così gestito, massificato, porta a “turistificazione” a omologazione culturale, a soffocamento di energie positive, alla fuga dei nostri giovani dai territori. La giunta provinciale di Trento, da subito, deve porre un freno alla proliferazione e potenziamento dell’industria dello sci. E’ fondamentale, da subito, ricorrere a una lunga moratoria che permetta un ripensamento della gestione del nostro territorio e dell’economia delle montagne. Ne va del futuro delle nuove generazioni e specialmente della qualità del vivere dei residenti delle nostre vallate. Perché non riprendere l’umiltà, la profondità della cultura politica e ambientale che una personalità di alto valore etico e morale aveva tracciato trent’anni fa, nel tentativo, oggi fallito, di riqualificare un Trentino che allora usciva umiliato dalla tragedia di Stava? Mi riferisco a Walter Micheli.

Luigi Casanova