Cento e non più cento (Il Colle del Nivolet e i cento anni del Parco Gran Paradiso)

Un secolo, no mas. Rubo questa battuta, allo stesso tempo ironica e amara, di un abitante di Ceresole per ragionare sulla ingloriosa fine dell’iniziativa A piedi fra le nuvole e annessa (blanda) limitazione dell’accesso dei mezzi motorizzati al Colle del Nivolet. Di Toni Farina, ex Consigliere del Parco Gran Paradiso.

A piedi tra le nuvole. Colle del Nivolet tra la Valle dell’Orco e la Valsavarenche. Foto: Toni Farina

È storia nota quella della strada del Nivolet, ma non è superfluo ripeterla. Costruita negli anni ’60 come servizio agli invasi idroelettrici dell’alta Valle Orco, fu poi allungata fino al colle e oltre con lo scopo di configurare un collegamento diretto con la Valsavarenche. Un’opera espressamente turistica, disponibile 4 mesi all’anno, pensata per valorizzare il Parco nazionale Gran Paradiso, uscito malconcio dal Ventennio e dalla guerra. Erano gli anni ’60 del ‘900 e il futuro viaggiava su quattro (o due) ruote e un motore a scoppio. Ma, alla luce dell’accaduto, le cose non sono granché mutate, se ancora oggi, nell’era in cui la sostenibilità ambientale è un dogma, l’era del Green New Deal, si immagina che solo la libera circolazione dei mezzi motorizzati (anche quelli elettrici lo sono) in delicati ambienti naturali possa costituire una prospettiva per le “terre alte” e i loro abitanti.

La storia è noto ebbe un esito inglorioso: in virtù dei costi, e di un parziale ripensamento, il progetto si arenò sulle balze rocciose che incombono su Pont Vaslsavarenche. Ma la ferita rimase ed è ben lungi dal rimarginarsi.

Ma veniamo all’oggi. Certo la scelta, strategica o improvvisata che sia, di liberare il Nivolet da limitazioni è figlia di questo tempo di paradossi e involuzioni, di un quadro politico tutto fuorché favorevole alla conservazione degli ambienti naturali. Ma questo non basta a dare una spiegazione: per trovarla occorre guardare nel parco stesso, cercarla in questo parco centenario. E allargare lo sguardo ai parchi in generale, al loro ruolo, al loro governo, considerato tra l’altro che alle porte c’è la riforma della legge quadro nazionale sulle aree protette. La mitica “394”, da anni ormai in precario equilibrio.

Dopo la giustizia e l’assetto istituzionale, anche “l’assetto naturale” del Paese ha dunque bisogno di un tagliando. E nel merito qualche indicazione giungerà dall’Europa, visto che anche la Direttiva Habitat, fin qui argine a tanti sconquassi, è da tempo oggetto di attacchi di note forze politiche (nonostante l’Agenda 2030). Da rilevare il fatto che, con la Direttiva Habitat in vigore, un eventuale nuovo accordo fra enti per la regolamentazione dei flussi sulla strada dovrà essere soggetto a valutazione di incidenza.

Foto: Toni Farina

La decisione di chiudere l’esperienza ventennale di A piedi fra le nuvole cade in questo contesto. Probabilmente il Decisore (tecnico o politico o entrambi) non si attendeva una simile reazione popolare. Il “popolo”, o almeno una parte importante, aveva fatta propria la scelta di una pur debole limitazione e si attendeva un passo avanti basato su scelte coerenti. E invece ora si riparte e il fondato timore è che, alla luce del citato quadro generale, si riparta da prima dell’anno zero. Da prima del 1922, quando il parco vide la luce.

“Se 100 anni non sono serviti a farsi accettare, a far sì che il Gran Paradiso -parco naturale sia considerato dalle comunità locali non un’opportunità ma una iattura, tanto vale prendere atto e andare oltre”. Così si è espresso (amaramente) il mio interlocutore. Una battuta, che però trova localmente sponde robuste. Battute a parte, la decisione giunta alle soglie dell’estate, nonostante gli accennati propositi di ripartenza ha piuttosto l’aspetto di una capitolazione. Una resa a quanti non hanno mai visto di buon occhio le chiusure domenicali. Una resa a quanti in realtà, questo parco ancora oggi mal sopportano. Basti vedere l’andamento delle ultime elezioni comunali a

Valsavarenche per trovare conferme.

Che fare?

Forte di Bard, sabato 1 giugno. La sala convegni ospita l’incontro “La frequentazione responsabile dell’ambiente montano in primavera e estate” organizzato dalla Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del CAI (fa seguito a un convegno parallelo tenutosi in Trentino prima del Covid incentrato sul turismo in ambiente innevato). Fra gli interventi spicca quello di Bruno Bassano, direttore del Parco nazionale Gran Paradiso. Titolo: “Frequentazione turistica e tutela al Colle del Nivolet: un complicato compromesso”. Intervento attesissimo: la notizia del Nivolet non più “engine free” è di due giorni prima.

Compromesso complicato? Non possibile, se si affronta la questione con gli strumenti “tradizionalmente” propri di un’area protetta. I parchi naturali sono nati per porre limiti a un certo sviluppo, e su questi limiti costruire un futuro possibile. Ma i parchi stessi hanno un limite: il confine. Un dentro e un fuori, e tentare di sciogliere il rebus “Nivolet” limitando (ancora) i ragionamenti al “dentro” non porta lontano. E così non sono bastati 23 anni di sperimentazione per arrivare a una condizione stabile, o semi-stabile.

Ma la storia insegna: se non si progredisce si arretra.

Quando, nel 2019 assunsi il ruolo di consigliere dell’Ente parco Nazionale Gran Paradiso (designato dalle associazioni di tutela ambientale), reduce da una frequentazione assidua del territorio, e quindi conscio dei problemi e delle difficoltà, individuai due possibili (e complicati) filoni di intervento: la sede istituzionale del parco e la strada di accesso al Nivolet. Due elementi diversi all’apparenza, ma in realtà correlati. Ero, e sono tutt’ora convinto, dell’importanza di collocare la sede istituzionale del parco in una grande città, Torino in primis. Situazione in realtà attuale, ma “provvisoria”, vista la “location” assolutamente inadatta. Non entro nel merito delle ragioni di tale convincimento, già espresse in altri scritti. Mi limito a dire che proprio una visione “non locale” è pre-condizione necessaria ad affrontare in modo efficace anche il nodo Nivolet, e più in generale la problematica delle direttrici di accesso alle valli montane con la conseguente massiccia presenza festiva di mezzi motorizzati.

In questo senso il Nivolet è un laboratorio: all’interno di quel laboratorio più vasto che è il Gran Paradiso. E come tale va gestito, governato in modo sistemico. Questo non è avvenuto. E non è avvenuto in virtù proprio di una visione non solo locale (o localista), ma appunto limitata.

Mi è spesso capitato in consiglio di affermare che il parco non inizia a Ceresole, o Valprato, o Introd (ecc…), ma a Torino (o Milano), ovvero in una grande area urbana i cui abitanti chiedono ambiente, paesaggi, frescura in estati sempre meno vivibili. E lo fanno con i tempi e i modi loro consentiti. Con abitudini consolidate. Che generano un approccio all’ambiente naturale inadeguato, anarchico. Questione di educazione certo: ma non di meno legata ai modi e nei tempi con i quali si sale alla montagna.

Il parco inizia a Torino, perché a Torino inizia lo spostamento. E il parco, il suo fragile territorio ne subisce le conseguenze. Tenta (illusoriamente) di porre un argine al flusso impetuoso. Ma alla fine l’argine cede, e il confine cade.

Servizio navetta al Colle del Nivolet. Foto: Toni Farina

Così accade sulla Sp 50 del Colle del Nivolet. Che per il Comune di Ceresole diventa nelle domeniche estive di bel tempo una valvola di sfogo.

Che fare dunque? La (complicata) soluzione al rebus Nivolet sta prima di tutto a valle. Laggiù nella pianura. Sta nella riattivazione della ferrovia Canavesana, nella prevista elettrificazione della tratta Rivarolo-Pont Canavese. Sta nel “treno del Gran Paradiso”. Servizio pendolari e, al contempo, prodotto turistico.

Sta nell’intermodalità treno+bici, nella ciclovia del Nivolet. Sta nello spalmare vantaggi e svantaggi, oneri e benefici, dei flussi sull’intera Valle dell’Orco.

Sta in un efficiente sistema di trasporto collettivo: bus nella valle, navette nel parco. Un sistema che determini un avvicinamento più mediato, riflessivo, meno schizofrenico, all’ambiente montano.

Sta nel trattare l’argomento “fruizione turistica” in modo tecnico-scientifico al pari di altre competenze proprie di un’area protetta: soprattutto di una grande area protetta sovraregionale come il Gran Paradiso.

Come detto, il clamore suscitato dalla decisione di abbandonare “A piedi fra le nuvole” ha suscitato vivaci (e inattese) reazioni. Ma, come detto, è anche una sconfitta e l’immagine dell’ente di gestione del parco ne esce alquanto acciaccata. Posso immaginare il disappunto dell’ex Presidente Italo Cerise (mi perdonerà per questo) che ha fatto della concertazione il cardine del suo mandato. Concertazione assidua come metodo di governo, più volte ribadito nei due anni di festeggiamenti del Centenario. Ma ora questa improvvida (o ragionata) decisione si configura come un sasso gettato nell’acqua stagnante di un ente che in due anni di festeggiamenti non ha trovato modo e tempo di pensare ai cento anni a venire. Il futuro alla festa non è stato invitato e ora si fa sentire.

Auguri al Nivolet e al Gran Paradiso tutto.

Toni Farina