Dolomiti Monumento del Mondo: documento di mountain wilderness italia
Per ripercorrere la storia di Dolomiti Unesco, pubblichiamo un articolo del 2005 di Fabio Valentini, allora Presidente di Mountain Wilderness
Dal 6 all’8 agosto 1993 un grande pallone aerostatico si sollevò in volo su Cortina d’Ampezzo: recava un’aquila rossa e nera, il simbolo di Mountain Wilderness. A terra, una manifestazione promossa da MW, Legambiente e SOS Dolomites; dodicimila firme raccolte, per chiedere all’UNESCO di riconoscere le Dolomiti come uno dei grandi monumenti del mondo all’interno della convenzione per il patrimonio mondiale. La scelta di Cortina non fu casuale: nel gennaio 1992 una legge dello Stato aveva incluso le Tofane tra i “beni patrimoniali suscettibili di gestione economica”, rendendo in pratica possibile la loro vendita a privati. Di come quelle firme furono rese negli anni seguenti carta senza valore, lo sappiamo bene. Quando tutta la documentazione era già pronta per essere trasmessa agli organismi internazionali, il grande no della provincia di Bolzano; senza il parere favorevole delle amministrazioni locali interessate, la domanda non poté partire.
Dolomiti Monumento del Mondo. Lo sono sempre state per diritto acquisito, agli occhi di chi frequentava per lontananza geografica altre regioni montuose. Le montagne per eccellenza, un simbolo dal fascino unico ed irripetibile, che si poteva raggiungere poche volte all’anno. Un sistema ricco di rilievi esteso e complesso, di grande effetto panoramico, arricchito da un ambito culturale fatto non solo di rifugi e bivacchi in quota, ma anche di malghe e pascoli in valle, di abitanti dai linguaggi sconosciuti e dalle tradizioni antiche. Una Terra di Mezzo con fate e gnomi, parlamenti di marmotte, giardini di pietre rosate.
Si dice che quella poesia non c’è più. Vorrei chiederlo ai giovani di oggi. Ai miei occhi si è un po’ offuscata, lunghi anni di battaglie ambientaliste hanno dato una prospettiva diversa a queste montagne, è come sapere che Babbo Natale non esiste e tuttavia continuare la tradizione dei regali, anche questa è conservazione di cultura. Le Dolomiti sono stanche, al loro posto chiunque crollerebbe. Sono state molto sfruttate, mostrano profonde rughe, un poco di tutela non può che aiutarle. Ma quale tutela? “Abbiamo già istituito i nostri parchi”, disse Bolzano negli anni ’90; è di dieci anni dopo la denuncia europea di gravi violazioni alla legge Habitat nei parchi altoatesini.
Si è proposto di porre sotto la custodia dell’UNESCO quelle stesse aree parco già protette, le zone più in quota, le punte dell’iceberg: un marchio di qualità, una DOC internazionale commercialmente sfruttabile, zone di eccellenza in qualità di richiamo per le allodole. Come se anziché preservare i cervi dalla caccia si proteggessero solo i loro maestosi palchi, lasciando il resto dell’animale al libero utilizzo per la pasta al sugo ed altre prelibatezze. Ci vuole una bella dose di ipocrisia per certe affermazioni, nel dibattito tra “patrimonio naturale” e “patrimonio culturale”: diciamolo chiaramente che le Dolomiti vengono considerate in primo luogo un patrimonio economico, e come tali si cerca di gestirle.
Tutelando francobolli di territorio non riusciremo mai a dare un senso organico all’immenso patrimonio dolomitico, faremo collezione di figurine ma non completeremo mai l’album, insomma falliremo. E a rimetterci saranno sempre loro, i monti pallidi. Ogni tanto ne crollerà un pezzetto, ma è un processo naturale. Il 13 giugno 2004 crolla la Trephor, una delle celebri Cinque Torri di Cortina, chi se lo ricorda? In contemporanea dalle pagine del Corriere della Sera Reinhold Messner, pur sottolineando l’incongruità dell’accostamento tra il crollo e la mancata tutela dell’UNESCO, riapre la questione. Il professor Piero Villaggio, alpinista accademico e docente al Dipartimento di ingegneria strutturale dell’Università di Pisa, scrive sul notiziario del CAI: “Sappiamo tutti che le montagne dolomitiche poggiano su un sottofondo soffice, quindi l’equilibrio delle torri più esili ed inclinate è più precario. Ma circa quarant’anni fa, tutto il pendio a monte delle Cinque Torri venne letteralmente arato per costruirvi un impianto di discesa, sradicando la vegetazione e frantumando i massi. Questa operazione ha alterato la permeabilità del terreno e la consistenza statica degli strati sottostanti il Gruppo. Non c’è nessuna correlazione tra la devastazione soprastante ed il crollo? Ritengo di sì e che si possano determinare quasi esattamente i fattori del degrado meccanico delle faglie”.
Mountain Wilderness resta sulle sue posizioni originarie; non per miope immobilismo, ma perché riteniamo sia ancora una proposta valida nel suo aspetto complessivo, non dettata dagli impeti sentimentali di un ambientalismo tardoromantico ma dallo studio e dalla conoscenza del territorio. I punti principali ed irrinunciabili della nostra proposta originale sono tre: un progetto unitario non parcellizzato, l’inscindibilità del binomio tra ambiente e cultura, lo sviluppo sostenibile delle popolazioni locali. Le Dolomiti sono un grande ecosistema che comprende anche l’uomo, ma in cui l’uomo non è al centro pur essendone parte importante: è infatti in grado di influenzarne direttamente il destino. Natura e cultura vanno a braccetto, legate indissolubilmente dalla storia che oggi è tanto di moda cercare di riscrivere, ma che nessuno può cancellare. Tranne forse qualche cantiere, progetti di superstrade e gruppi di seconde case, oltre ai soliti interessi elettorali; se le montagne avessero diritto di voto, chissà…
Fabio Valentini