Dolomiti Unesco: pochi i fatti e tutti nel segno solo del marketing
Intervista di Francesco Dal Mas a Casanova sul Corriere delle Alpi. Le accuse sono rivolte in particolare a politica e istituzioni: «Si è taciuto molto sulla questione dei passi dolomitici»
Una montagna di delusioni. Così gli ambientalisti di Mountain Wilderness considerano i primi 10 anni delle Dolomiti Unesco: si è fatto più marketing che conservazione del patrimonio.
«Nulla da ridire sulla gestione operativa della Fondazione, perché ha fatto tutto il possibile per concretizzare lo spirito di noi fondatori. Ma la politica e le istituzioni hanno solo interpretato sul piano della ricaduta commerciale un riconoscimento che invece è di tutt’altro segno» sottolinea Luigi
Casanova, voce storica dell’associazione ambientalista.
Perché vi dichiarate proprio voi i “fondatori”?
«Sostanzialmente lo siamo. Era ancora il 1987 quando a Biella, alla nascita del nostro movimento, Carlo Alberto Pinelli lanciò questa idea. Si associarono i più autorevoli nomi dell’alpinismo italiano che erano presenti, da Reinhold Messner ad Alessandro Gogna. Aderì anche il grande Edmund Hilary. In un convegno del 1993, a Cortina, in soli tre giorni, MW, Sos Dolomites e Legambiente raccolsero più di 10 mila firme per il riconoscimento delle Dolomiti come monumento culturale dell’umanità».
Ricordo che avviaste subito un martellante pressing sul ministero dei Beni Culturali e Ambientali.
«Sì, nel 1998, infatti, arrivammo alla definizione del primo progetto riconosciuto dalla Provincia di Trento e dal Veneto».
E quella di Bolzano?
«L’allora presidente Durnwalder bocciò l’idea dicendo che l’Alto Adige non si sarebbe mai fatto comandare da Parigi. Ma immediatamente dopo, il Comitato Centro Cadore per il parco della Marmarole organizzò un convegno a Laggio dal quale sono usciti 51 punti propositivi con i quali chiedevamo la tutela dell’Unesco sulle aree protette delle Dolomiti».
Il 26 luglio 2009 finalmente arrivò l’attesa protezione Unesco. Perché non siete soddisfatti di questi primi 10 anni di gestione?
«Tante parole, pochi fatti: questa, in sintesi, la risposta. Si sono elaborati tanti documenti su come si devono conservare le Dolomiti ma la loro applicazione è risultata di fatto un sostegno al marketing.
La gestione operativa della fondazione non ha nessuna responsabilità. Ce l’hanno invece i politici di tutte le appartenenze che in questi 10 anni sono mancati sul piano della coerenza».
Lei si riferisce alle Province di Belluno, Trento, Bolzano, Pordenone e Udine?
«Sì, e alla Regione Veneto. Anziché promuovere la conservazione dei 9 gruppi di cime dolomitiche riconosciuti dall’Unesco, ci si è affannati a cercare le possibili ricadute economiche di questo marchio».
Probabilmente non poteva essere diversamente, considerati i problemi di spopolamento di cui il Bellunese soffre ormai da anni.
«Certo, ma in questi anni si poteva immaginare e programmare uno sviluppo alternativo, all’insegna della sostenibilità: più turismo naturalistico che sciistico, ad esempio; più agricoltura mirata alla valorizzazione di queste terre che, invece, una zootecnia intensiva. E via con le esemplificazioni»
Il Comelico, tutto intero, sostiene che il suo futuro dipenda dal collegamento sciistico con la Val Pusteria.
«Intanto non è vero che sia tutto il Comelico a pensarla in questo modo. In valle c’è una parte dell’opinione pubblica che ritiene più saggio investire nell’agricoltura e nel turismo naturalistico.
Lo sci è in crisi; ci si può permettere di riqualificare solo le stazioni o gli hub che possono davvero contare sulla neve, quindi da una certa quota in su. Ma su questo, i politici della fondazione Dolomiti Unesco non hanno mai detto una parola. In 10 anni, per la verità, hanno taciuto anche sulla riqualificazione dei passi dolomitici, che sono in condizioni di progressivo degrado (basta vedere i parcheggi)».
Quest’estate non si chiuderà il Sella. Sono state fallimentari le due esperienze del passato?
«Nessun fallimento. Si doveva insistere con le sperimentazioni. Si sa che è necessario anche un cambiamento di mentalità. E questo bisogna promuoverlo. Mi permetta un altro esempio: in 10 anni non è stata fatta una proposta, che sia una, da parte della Fondazione, per evitare lo scempio alle Tre Cime di Lavaredo, con quel mega parcheggio e la strada di accesso dove si incolonnano le auto.
I problemi veri delle alte quote sono rimasti sulla carta. E non perché mancassero le proposte; i soci fondatori della Fondazione ne hanno presentate parecchie ma la gestione politico-amministrativa si è comportata da scatola chiusa. Da un anno, ad esempio, stiamo aspettando le linee guida per gli eventi in quota, con il possibile accesso motorizzato. Noi abbiamo presentato delle proposte per evitare questo degrado ma ci risulta che siano rimaste ancora nel cassetto».
Immagino, quindi, che il 26 non ci sarete a Cortina per festeggiare il decennale.
«Io ed altri di Mountain Wilderness saremo a Rocca Pietore dal 27 al 30 giugno per una serie di iniziative coordinate con l’Amministrazione comunale, iniziative di solidarietà con la comunità più colpita dalla tempesta Vaia».
Questo gemellaggio è esemplare, perché proprio la vostra associazione nel passato è stata in conflitto con le amministrazioni dell’epoca a causa della Marmolada.
«Sì, riconosco che dal conflitto siamo transitati ad un’esemplare solidarietà, trovando negli attuali amministratori di Rocca Pietore un impegno preciso a sostegno delle nostre idee sulla Marmolada e di condivisione, da parte nostra, dello sviluppo sostenibile della val Pettorina. Con il Comune di Rocca e con la Fondazione Unesco stiamo collaborando anche per quanto riguarda la rinascita dei serrai di Sottoguda. Con un’attenzione particolare: che mantengano tutta la loro integrità. E cioè che non ci sia un centimetro di cementificazione».
Francesco Dal Mas