Metamorfosi del riconoscimento DOLOMITI UNESCO – da tutela a marketing

Di Silvia Simoni, Gianluca Vignoli, Luigi Casanova.

Quando nel 2009 la commissione di Siviglia ha iscritto i nove sistemi delle Dolomiti al Patrimonio mondiale UNESCO, nei nostri cuori era forte la convinzione che questo riconoscimento avrebbe portato una svolta culturale verso la tutela dell’ambiente e del paesaggio, condivisa a vari livelli della società e soprattutto delle comunità montane che le abitano.
Il rapporto che sancisce questo riconoscimento (Report of Decisions, Seville, 2009) pone come elementi fondamentali l’esistenza e il mantenimento dell’integrità di porzioni di territorio non ancora antropizzate. A protezione di tali zone, dette core, sono state istituite zone buffer per salvaguardarne l’integrità.

L’iscrizione delle aree citate a Patrimonio Mondiale Dolomiti UNESCO si basa sulla stesura di una Strategia di Gestione che garantisce la tutela e la salvaguardia dell’integrità del territorio, in modo particolare viene richiamato il divieto di intensificare le infrastrutture e la necessità di gestire in modo sostenibile il maggior flusso turistico derivante dal riconoscimento stesso.
Nel successivo rapporto dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN) del 08.10.2011 è scritto che: “il riconoscimento (dei nove sistemi Dolomitici a Patrimonio Mondiale Dolomiti UNESCO, ndr.) è confermato sulla base del positivo progresso del lavoro sulla Strategia di Gestione Complessiva […] a condizione che tale strategia: […]
d) includa il criterio che non permetta lo sviluppo di stazioni sciistiche all’interno del Patrimonio Mondiale e delle aree buffer;
e) includa politiche per uno sviluppo ecologicamente sostenibile del turismo”.
A 10 anni da questo riconoscimento uno sguardo a volo d’uccello sulle Dolomiti racconta l’epilogo di questo clamoroso fallimento. Una Fondazione virtuosa con le mani legate dalla politica, che non riesce a concretizzare la Strategia di Gestione (SCG) che integra la Strategia per il Turismo, elaborata nell’ambito del processo partecipativo DOLOMITI 2040, pilastro su cui si basa l’iscrizione nel Patrimonio UNESCO.
Il paesaggio è la vittima principale della mancata attuazione delle politiche per la gestione sostenibile del turismo, i cui obiettivi basilari sono la conservazione, la comunicazione e la valorizzazione del bene e pertanto dovrebbero basarsi su pochi punti strategici:
A) non permettere che le attuali aree sciabili vengano ampliate (né all’interno delle zone core né ai loro confini), anche quando questo viene spacciato come alternativa ecologica al dilagare della mobilità automobilistica;
B) al di sopra dei fondovalle sia vietato ogni ulteriore potenziamento della ricettività alberghiera;
C) la pressione turistica, soprattutto se motorizzata, venga drasticamente tenuta sotto controllo, non arretrando di fronte alla necessità di porre divieti e limitazioni, anche radicali ed impopolari. Questi punti non esauriscono i problemi, ma fungono da pietre miliari per indirizzare un percorso virtuoso verso la sostenibilità.


In questi 10 anni purtroppo non è stato così. Si è assistito al proliferare di raduni di mezzi motorizzati organizzati e propagandati sia da privati che da amministrazioni locali, purtroppo non contrastati dalla Fondazione Dolomiti UNESCO: eserciti di quad, fuoristrada, motoslitte, motociclette hanno percorso sentieri, boschi, prati di quota, pendii innevati con notevole disturbo all’ambiente naturale, alla fauna, all’integrità del paesaggio (Falcade 2016- 2019, Alpe di Siusi 2018 e 2019 (in prossimità zona UNESCO), San Martino di Castrozza 2019). Al danno materiale va aggiunto un danno simbolico, altrettanto grave, soprattutto se si pensa che uno degli obiettivi della SCG prevede l’armonizzazione delle norme sull’uso dei mezzi motorizzati, elicottero, motoslitta, quad e esposizioni.


Le tre Cime di Lavaredo ogni estate si trasformano in un parco giochi in quota, le loro pendici sono ridotte a parcheggi che purtroppo ogni anno vengono ampliati, insieme al pedaggio per l’accesso, che frutta diversi milioni di euro al Comune di Auronzo di Cadore, socio della Fondazione. Così invece di promuovere politiche di accesso sostenibile alle Tre Cime, si fa business a spese dell’ambiente.
Una situazione simile si presenta anche sulle strade dei passi dolomitici che si trasformano ogni estate in code interminabili di auto, moto, camper e pullman. I tentativi pilota delle Province di Trento e Bolzano di regolamentare il traffico nei mesi di luglio e agosto 2017 e 2018 sono miseramente falliti tra le proteste miopi degli esercenti e le minacce di Zaia.
Tanti sono gli areali a rischio di commercializzazione e banalizzazione a causa di progetti per la realizzazione di nuove infrastrutture turistiche (impianti di risalita, piste da sci, bacini per l’innevamento, alberghi), che ammanteranno le Dolomiti al posto dei prati verdi e dei pallidi ghiaioni.

Tanti sono i progetti di assalto alla montagna, accelerati ed amplificati dagli imminenti campionati mondiali di sci (2021) e dalle Olimpiadi invernali (2026): ad esempio, solo per citarne alcuni, l’impianto di risalita al Sans Bianchet in Marmolada, il collegamento Sesto Pusteria (BZ) – Padola in comune di Comelico Superiore (BL), gli impianti e bacino di innevamento a Serodoli (Brenta), la nuova pista da sci ai piedi delle Tofane, nuovo bacino per l’innevamento Passo Feudo (TN) ai piedi del Latemar, la torre di vetro di 18 m al Catinaccio (BZ), il collegamento Arabba-Monte Civetta (BL).
Le minacce peggiori sono la svendita e la banalizzazione delle Dolomiti, che passano attraverso l’infrastrutturazione pesante della montagna, cosicché la sua fruizione diventa appannaggio del turismo di massa e degli amanti del lusso. Questo è il culmine dello sviluppo insostenibile di cui le Dolomiti sono oramai vittima; loro che per secoli hanno ospitato coraggiosi alpinisti, amanti dell’essenziale, e popoli fieri delle loro tradizioni.