Parco Nazionale Gran Paradiso: cento anni, molti problemi

Di Toni Farina, membro del Consiglio Direttivo del Parco come rappresentante delle Associazioni Ambientaliste

Toni Farina

Accadrà l’anno prossimo. Il giorno 3 dicembre 2022 taglierà il traguardo del secolo di vita il primo parco naturale italiano. Senza dubbio un evento di grande importanza che unirà Gran Paradiso e Parco d’Abruzzo (Lazio e Molise), istituito pochi mesi dopo.
Un evento nazionale, Alpi e Appennino, l’Italia insomma. Ricco il programma di manifestazioni, festaiole e convegnistiche. E festaiolo è stato il primo evento del week end del 28 agosto a Degioz, nella valdostana Valsavarenche, a cui hanno partecipato i rappresentanti del Parco d’Abruzzo.
Una scelta non casuale: la Valsavarenche è il cuore storico e geografico del parco. È qui, sulle precipiti balze della Grivola che si rifugiarono alla fine del 1700 gli ultimi stambecchi sopravvissuti a secoli di persecuzione venatoria. Ma la Valsavarenche, con il suo fondovalle e i suoi centri abitati compresi nell’area protetta, rappresenta anche il cuore dei problemi che da sempre assillano il parco. Ne costituisce la perfetta sintesi e, per questo, la scelta di aprirvi gli eventi del centenario è di fatto una scelta politica, un segnale di distensione. Il segnale che il tempo dei contrasti è alle spalle.
Ma è davvero così? Gli acerrimi e violenti contrasti del secolo scorso certamente, ma una visione condivisa sul ruolo dell’ente, e più in generale delle istituzioni “parchi naturali” è ancora di là da venire.
“Non si governa il parco contro le comunità locali”. A Degioz ancora una volta il Presidente Cerise ha ribadito la linea. Condivisibile certo, ma è una scelta strategica che ha e ha avuto il suo prezzo. Come questa strategia verrà declinata nell’era della transizione ecologica sarà la sfida del suo successore quando, a ottobre 2022, si rinnoveranno degli organi di governo dell’area protetta (presidente e consiglio direttivo). Anche per questo il centenario sarà un momento per fare conti e trarre conclusioni.
La concomitanza della scadenza degli organi di governo del parco e il centenario non è l’unica sovrapposizione casuale. Il 2022 sarà anche l’anno in cui andrà a regime il nuovo regolamento, la cui approvazione (l’iter è iniziato) costituisce per l’attuale consiglio una vera prova d’esame.
E per la comunità del parco (i comuni interessati dal territorio) una prova di maturità.
Non meno importante è la scadenza sempre nel 2022 dell’accordo fra enti (parco, Comune di Ceresole, Regione Valle d’Aosta, Città Metropolitana di Torino) su cui si basa la gestione della strada che sale al Colle del Nivolet, croce (molto) e delizia (poco) del parco.

Valsavaranche – Pont – in centro la Grivola

Regolamento

Segnerà la vita del parco negli anni a venire. Il regolamento rappresenta la traduzione nel concreto degli enunciati del piano del parco, approvato dopo anni di lunga gestazione. I vari articoli normeranno ogni aspetto di competenza dell’ente di gestione: urbanistica, attività agropastorali, concessione di permessi, ma soprattutto, ed è quel che più ci riguarda, le attività di fruizione.
Ad oggi di fatto la frequentazione del parco è libera. Varcati i confini si può andare ovunque in ogni stagione e, motori a parte, con qualsiasi mezzo. Limitazioni sono poste per il sorvolo e l’accesso con i cani.
A proposito di mezzi non si può non parlare di biciclette. Oggi è una questione spinosa (non solo per il parco).
“Di norma non si possono abbandonare i sentieri”. Così recita una voce nella bozza consegnata ai consiglieri. Al di là della non facile applicazione e della contraddizione insita nella formula molto “italica” (una norma che dice “di norma …”), è evidente il significato anche dirompente di un simile limite, soprattutto perché a oggi non è chiaro quali siano i sentieri percorribili, anche considerato che la competenza in merito spetta ai comuni. E come la mettiamo con l’alpinismo? E con gli spit nelle pareti che, impatto ambientale a parte, di fatto si configurano come una violazione edilizia? Sono cronaca i contrasti su questo tema nel Parco Alpi Marittime per via degli spit sul Corno Stella. C’è poi la questione della fruizione invernale, o per meglio dire “in ambiente innevato”. Anche questa caratterizzata da un’evoluzione tecnica dei materiali, ma soprattutto di capacità tecnica dei praticanti, in virtù della quale si è di molto ampliato il numero dei praticanti e, allo stesso tempo, si è dilatato il periodo di pratica. A differenza di un tempo, la ricerca della neve vergine e del terreno intonso conducono oggi frotte di sci alpinisti su itinerari un tempo impensabili. Chi penserà alle specie a rischio causa il cambiamento di clima? Insomma, la montagna è sempre più sinonimo di libertà, e ci si scorda della massima di Samivel dedicata proprio al Parco Gran Paradiso: “La libertà di comportarsi bene”. Una massima nascosta dalla polvere del tempo e un po’ venata di retorica, ma sempre valida, e che altre aree protette di ben più giovane età hanno tradotto in norme precise. Fra queste il confinante Parco regionale valdostano del Mont Avic, dove le biciclette sono bandite e solo qualche cima è concessa nella stagione della neve.

Salendo al Gran Paradiso. Alba sul ghiaccio di Laveciau. Foto: Luigi Ranzani

Strada del Nivolet

Al pari del regolamento generale del parco, la regolamentazione dell’accesso con i mezzi motorizzati a questo agevole colle a 2612 metri di quota fra Valle dell’Orco (Piemonte) e Valsavarenche (Valle d’Aosta) costituisce una vera prova d’esame. Per molti aspetti la Prova d’Esame.
La questione “mezzi motorizzati” al Nivolet è stato fin da subito il mio principale impegno come consigliere del parco. Una scommessa possibile, così almeno pensavo nel momento di insediamento del consiglio direttivo. La mia presa di posizione contraria al giro ciclistico d’Italia 2019 al Lago del Serrù, all’interno del parco, anche se doverosa, non ha agevolato le cose e ad oggi devo ammettere che la scommessa non è stata vinta.
Il Gran Paradiso si avvia a doppiare la boa del secolo di vita con una situazione più arretrata rispetto a molte altre zone di montagna con problemi similari, anche esterne ad aree protette. Il confronto fra portatori di interesse è però avviato ed è evidente che il prossimo accordo fra enti dovrà finalmente adeguarsi ai tempi: rinviare ancora l’adozione di limiti più stringenti ai mezzi motorizzati non sarebbe possibile. In caso contrario il cospicuo finanziamento ministeriale per l’acquisto di due navette elettriche (1 miliardo di euro!) per il trasporto pubblico al colle assumerebbe contorni a dir poco paradossali.

Piano del Nivolet. Foto: Toni Farina

Tirare le fila

Ora sono portato a fare dei bilanci sul mio impegno. Frequentando da decenni le valli del parco ed essendo quindi conscio delle difficoltà non mi facevo molte illusioni. Il parco è una realtà consolidata, ma allo stesso tempo bloccata. Nessuno, almeno alla luce del sole, ne mette più in discussione l’esistenza.
E questo anche perché, come afferma il Presidente Cerise: “Finalmente il parco non si limita a fare conservazione, ma sta creando sviluppo”. Che tradotto significa “stanno arrivando risorse in grado di compensare tutti i vincoli imposti”. Ma sempre il presidente ammette che “aver conservato indenne il territorio dagli stravolgimenti ambientali (grandi impianti di sci) costituisce oggi un valido fattore su cui puntare per il futuro”.
La presenza del parco è dunque servita, occorre andare oltre. Dove per oltre si intende superare l’attuale logica dei confini, del dentro e fuori dell’area protetta. La logica del fortino, del parco microcosmo da difendere dai nemici che premono ai confini. Occorre invertire il flusso, dare corpo al parco laboratorio che diffonde il verbo della sostenibilità. Esporta modelli virtuosi. Diventa un nucleo della Rete Ecologica, senza la quale non c’è difesa della biodiversità.
Ecco dunque l’altra mia scommessa: il Parco nazionale Gran Paradiso non inizia (per quanto riguarda il Piemonte) a Ceresole Reale o a Campiglia Soana, ma a Torino. Quando in consiglio affermo ciò sono guardato in modo strano. I colleghi consiglieri non capiscono: non capiscono, o fanno finta di non capire, l’importanza strategica di mantenere la sede principale dell’ente di gestione a Torino. Una sede degna in un bel palazzo storico in centro città, unendo Storia e Natura. In attesa, il parco festeggerà il centenario con una sede provvisoria, improbabile e impresentabile, alla periferia sud dell’area urbana.
La questione è in realtà squisitamente politica, legata all’altra questione esiziale delle aree protette: la governance. Ma qui mi fermo, perché si entra nel terreno minato e scivoloso della riforma della legge quadro con la quale prima o poi toccherà fare i conti.

Toni Farina