Alpinismo, ossigeno e doping. Alcune riflessioni (3)

Il parere di Paulo Grobel, guida alpina francese, famoso organizzatore di spedizioni e trekking, garante internazionale di Mountain Wilderness.Il parere di Maurizio Giordani, guida alpina, alpinista himalayano, garante di Mountain Wilderness International.

Aprire un dibattito sull’utilizzo dell’ossigeno in Himalaya?
Semplicemente, a mio avviso, non c’è motivo di rivangare un simile argomento. La cosa infatti è assodata: le bombole d’ossigeno sono una droga dopante. Cioè un indebito elemento esterno che aumenta le prestazioni in quota. Punto e basta.
Purtroppo la grande maggioranza degli alpinisti che affronta l’Everest continua a utilizzare l’ossigeno; e oggi questa pratica si sta diffondendo anche sui “piccoli” 8000.
Per quale ragione un “desiderio di Everest” dovrebbe giustificare l’uso di qualsiasi mezzo per raggiungere la meta? Allora, a questo punto, paradossalmente, perché non utilizzare l’elicottero per evitare i rischi della prima seraccata, sopra il campo base del versante nepalese?

Che cosa spinge gli alpinisti, desiderosi di confrontarsi con le più alte vette della terra, a rifiutare di vivere pienamente ciò che costituisce la specificità della grande altitudine e il suo principale interesse: l’ipossia e i suoi pericoli? Certamente è lecito porci delle domande sul significato reale e sulla reale nobiltà delle realizzazioni di questi veri o presunti alpinisti. Ma alla fine dei conti quelli sono fatti loro. Che facciano e dicano dunque quello che vogliono, da Mazeau a Jourjon. Del resto l’uso dell’ossigeno non è che la parte visibile dell’iceberg dell’eccesso dei mezzi utilizzati indebitamente. Penso che l’abuso sistematico delle corde fisse e la negazione della nozione della salita in cordata veicolino un messaggio ancora più deleterio. C’è un immenso rischio di vedere propagarsi e rendere sistematiche queste forme di ascensione devianti, da l’Island Peak all’Everest passando per l’Ama Dablam.

Dunque porsi il problema della liceità dell’ ossigeno equivale a mettere in discussione la quasi totalità dei mezzi utilizzati dagli alpinisti per realizzare un’ascensione “ alla moda”. E stimola a riflettere sulla recente evoluzione ( involuzione?) dell’alpinismo sulle più alte montagne della terra. Le previsioni non sono certo tranquillizzanti. Temo che l’avvenire non ci riservi sorprese positive, sull’Everest o altrove.

Anche lasciando da parte le questioni etiche e filosofiche sono convinto che l’utilizzo dell’ossigeno sia oggettivamente pericoloso.
Esso permette a chi se ne serve di ritrovarsi un bel momento in un luogo dove non potrebbe e non dovrebbe trovarsi. Se qualcosa nell’erogatore va storto o la bombola si svuota strada facendo, costui è perduto. Letteralmente perduto. In qualità di guida di alta montagna ritengo che sia una situazione molto complicata da gestire. Aiutare qualcuno ad andare più su di quanto sarebbe capace comporta l’accettazione di un rischio supplementare. La stessa guida potrebbe trovarsi in serie difficoltà nella gestione di un cliente sprovvisto di risorse psico-fisiche sufficienti. (vedi gli incidenti al Manaslu con un cliente e al Makalu con un nepalese; le circostanze dei quali non son state analizzate a dovere per trarne insegnamenti).
Inoltre mi piace molto la nozione di condivisione e di apprendistato che esiste nell’alpinismo. Raggiungere una certa sobrietà nell’uso dei mezzi tecnici in Himalaya necessita un apprendistato che ha alla radice la reale volontà di mettere in gioco tutte le proprie risorse naturali, spesso al prezzo della riuscita. Senza aggiungere che questo approccio “by fair means” presuppone una catena organizzativa, relazionale e decisionale impeccabile. Per concludere non assumerò mai ossigeno e non lo faranno neppure i miei compagni di cordata. E non andrò mai sull’Everest……
malgrado un forte “desiderio di Everest”.