Ambientalismo e alpinismo, la montagna chanche per il pianeta
Pubblichiamo, per gentile concessione de IL MANIFESTO IN MOVIMENTO, la prima uscita della rubrica curata da Mountain Wilderness per l’inserto bimestrale del quotidiano comunista.
Di Nicola Pech e Fabio Valentini.
La montagna chanche per il pianeta.
Mountain Wilderness (MW) nasce a Biella nel 1987, riunendo alpinisti di tutto il mondo nel tentativo di difendere e recuperare gli ultimi spazi incontaminati del pianeta. I primi interventi sono di forte impatto mediatico: Reinhold Messner, che si cala sul pilone volante della funivia del Monte Bianco, e Alessandro Gogna, impegnato nella raccolta di rifiuti in Marmolada, danno visibilità all’associazione ma creano anche contrasti e critiche. In Himalaya, la pulizia al K2 con Fausto De Stefani denuncia con forza la deriva delle spedizioni alpinistiche sulle più alte vette del pianeta. Gli alpinisti cominciano a prendere consapevolezza della loro responsabilità nella degradazione dell’alta montagna e della necessità di porvi un limite.
Con il passare del tempo matura la convinzione che la montagna non è solo vette ma anche vallate, cultura e persone che vi abitano e Mountain Wilderness vive soprattutto in forza del coinvolgimento entusiasta di tanti appassionati di montagna, grazie ai quali negli anni sono stati conseguiti risultati importanti come la creazione del Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga o il riconoscimento UNESCO alle Dolomiti Patrimonio dell’Umanità.
Trent’anni di battaglie in difesa di parchi e aree protette, contro il degrado e la banalizzazione del paesaggio, trent’anni in cui il mondo ha accelerato spaventosamente mettendoci di fronte all’urgenza di una crisi climatica epocale. I problemi ambientali sono ormai ovunque riconosciuti centrali nel dibattito politico, eppure gli stessi che ne riconoscono la gravità invocano una crescita economica continua.
La contraddizione tra sostenibilità ambientale e sviluppo economico è spietata ed è il tratto distintivo di questa modernità post ideologica nata dalla caduta del muro di Berlino. Si è indebolita la narrazione dominante che vedeva con fiducia lo sviluppo della società umana e la meta verso cui procedeva, ma nel contempo non si è imposta un’alternativa praticabile per un pianeta che sembra destinato al collasso.
E’ evidente che in questo quadro il ruolo dell’ambientalismo è ancora più difficile: infatti laddove non ci sono soluzioni universali è necessario pensare e muoversi con grande immaginazione intellettuale e politica.
E’ necessaria grande flessibilità per avere visione globale ma capacità di agire locale.
E’ necessaria l’umiltà di capire che le soluzioni valide in un luogo non lo sono necessariamente ovunque.
La Montagna in questo senso può essere una chance per il pianeta, per significati, opportunità, aria che respiriamo. Laddove il residuo patrimonio di identità, cultura e memoria è ancora integro, esiste lo spazio per lavorare sul senso di appartenenza e sulla capacità progettuale di una comunità. Qui, forse, sta il senso di un nuovo ecologismo che sia in grado di cogliere il legame indissolubile tra uomo e ambiente e che sia in grado di stimolare ogni comunità o cultura a mantenere le sue specificità attraverso un senso di appartenenza ai luoghi. Questa forse è la battaglia su cui si gioca il ruolo di Mountain Wilderness e, soprattutto, il futuro del pianeta.
Nicola Pech e Fabio Valentini