Ancora una strada scempio in Valmalenco

Un’estate con numeri da record, sulle Alpi, teatro di un turismo, spesso di prossimità e mordi e fuggi, dove orde di escursionisti si sono accalcati – molti per la prima volta – lungo i sentieri, in cerca di natura ed aria aperta, necessari ai più dopo il periodo di confinamento legato alla pandemia di Coronavirus.
Forse non se lo aspettavano del tutto nemmeno gli operatori locali e le amministrazioni, che in alcune aree hanno dovuto mettere in atto provvedimenti eccezionali per limitare l’afflusso veicolare, ed arginare gli accessi.
Se questa situazione lascia intravedere la possibilità di un cambio di rotta del turismo montano, legato storicamente ad uno sci alpino oggi in forte crisi, non sempre i territori rispondono prontamente e con lucidità ai cambiamenti in atto.
E’ da tempo nota, infatti, la diatriba fra le comunità locali che vogliono trasformare gli antichi sentieri di accesso agli alpeggi e agli agglomerati rurali di versante in comode piste carrabili e chi reputa questi atti insensati attacchi verso la montagna e l’ambiente, che impediscono lo sviluppo di un turismo più sostenibile di quello legato ai motori.
La consapevolezza che i sentieri siano beni preziosi, testimonianze storiche e culturali inimitabili e uniche, ma anche strumenti indispensabili per soddisfare un turista attivo che ricerca esperienze autentiche nella propria vacanza, non è di fatto ancora stata acquisita da molte comunità locali.
E gli scempi che le scelte di intervento, spesso poco attente alla sensibilità dei luoghi e realizzate con budget inadeguati, portano sul territorio sono ferite che restano a lungo e che, oltre a deturpare gli aspetti estetici dei luoghi, spesso innescano fenomeni di dissesto davvero notevoli, inducono penetrazione antropica in aree sensibili dal punto di vista faunistico e provocano frammentazione negli habitat.
E’ recente la proposta del Comune di Lanzada, in Valmalenco, di realizzare una nuova pista – l’ennesima in zona – per raggiungere un nucleo particolarmente suggestivo sul versante meridionale del gruppo del Bernina, la località Dosso dei Vetti, in provincia di Sondrio, aprendo un varco verso aree di grande interesse naturalistico, quali l’alpe Campascio, poco distanti.

Veduta della conca di Franscia, l’antica mulattiera che
conduce ai rifugi del Bernina passa attreverso le balze rocciose
assolate. La nuova strada andrebbe a sventrare questa sezione di versante. Foto: Michele Comi


Le finalità esposte quelle usuali, si parla di consentire alla montagna un presidio e di favorire le attività agro-pastorali in quota, cui si riconosce il merito di fornire servizi ecosistemici, oltre che di conservazione del paesaggio e delle strutture rurali.
Ma il castello crolla quando comunità e tecnici più attenti puntano il dito, evidenziando come la strada non sia per niente indispensabile, anzi costituisca un doppione di quella che, sul versante opposto, già raggiunge la località, oltre che uno scempio ambientale atteso che minaccia versanti particolarmente acclivi e instabili.

Qui l’agricoltura non c’entra nulla: si intravedono in queste scelte promesse elettorali fatte a pochi proprietari di immobili ed edifici rurali, così da abbreviare i tempi di risalita dal fondovalle. Si intravedono limitate capacità progettuali dei comuni più piccoli, che fanno fatica ad uscire dal proprio schema di proposte. E si intravede lo spettro di nuovi impianti sciistici, proprio quando è impossibile negare gli effetti del cambiamento climatico, che sulle Alpi stanno manifestandosi in modo più intenso che altrove.

La bucolica piana dell’alpe Campascio, meta finale
della nuova rotabile. Foto: Michele Comi

Ma fino a quando la collettività si deve far carico di scelte scellerate che favoriscono pochi, e dei danni che ne conseguono, che spesso, oltre a quelli immateriali, comprendono manutenzioni difficoltose ed onerose per garantire l’accesso veicolare nel tempo?

Marzia Fioroni