Assalto alla Marmolada. L’impatto del turismo di massa su un ambiente fragile.

Cronache di una giornata di ordinaria follia e riflessioni sull’impatto del turismo di massa su un ambiente fragile come quello delle Dolomiti e della montagna in generale. Di Alessandro Lavarra.

Quest’anno la neve a quote invernali è arrivata presto. Purtroppo non c’è nulla che faccia sperare in una attenuazione del fenomeno del riscaldamento globale, si tratta di episodi senza nulla di anomalo. Questa perturbazione fredda ha comunque permesso agli appassionati di scialpinismo delle mie zone di darsi il tacito appuntamento di inizio stagione in Marmolada già a metà ottobre.

Marmolada, 17 ottobre 2020

Forse anche per le rinunce della scorsa stagione, in cui le questioni di salute pubblica hanno cancellato le attività di una splendida primavera, anch’io non ho saputo rinunciare al richiamo della prima neve. Dopo aver osservato il meteo e gli accumuli per tutta la settimana lavorativa sabato 17 ero diretto a passo Fedaja.

Non mi aspettavo certo una giornata all’insegna della solitudine e della contemplazione, conosco bene la situazione, ma mi sono comunque sorpreso di trovare automobili già parcheggiate alle otto e mezzo del mattino fin dall’inizio della diga sul lago di Fedaja.

Il clima era quello di festa di un grande raduno di amici e di appassionati, anche se non sono mancati quegli spiacevoli episodi di arroganza di chi, forte di grossi fuoristrada, pretende di arrivare comunque fino alla partenza delle gite a costo di farsi largo tra gli altri per parcheggiare abbarbicato ad un tornante al limite delle possibilità della propria trazione integrale.

La salita lungo il tracciato all’ombra dei piloni recentemente abbandonati della cestovia di Pian dei Fiacconi, era più frequentata di una pista del più gettonato comprensorio dolomitico durante le feste di Natale. Il pendio regolare ormai segnato dai numerosissimi passaggi brulicava letteralmente di persone.

Marmolada, 17 ottobre 2020

Certo, anch’io ero parte di quello spettacolo umano che avviliva il panorama, gruppi e gruppetti disordinati che sbuffavano a diverse velocità sulla neve, così tante persone che al colpo d’occhio mi ricordavano le foto della ritirata dalla campagna di Russia, quelle colonne disordinate di soldati sbandati, sagome scure sul bianco delle distese innevate.

Oltre alla sciata e al ritrovo di tantissimi amici questa giornata in Marmolada è stata l’occasione per una riflessione sulla frequentazione della montagna invernale. Per me da qui sono da evidenziare 3 punti:

  1. La Marmolada è sempre più esposta e fragile. Il ghiacciaio sta subendo l’assalto del turismo di massa oltre a rimanere sempre nel mirino di chi vorrebbe ulteriormente addomesticarla con gli impianti di risalita.

L’ambiente glaciale, i salti di roccia, i crepacci, la quota non rappresentano più una barriera naturale nè per la frequentazione di massa nè per i progetti imprenditoriali. La montagna più alta delle Dolomiti non rappresenta più un simbolo di maestosità degno di rispetto ma un parco giochi o un terreno edificabile e mostra tutta la sua fragilità già fatta emergere dai mutamenti dovuti al clima.

  • Lo scialpinismo e la frequentazione della montagna invernale sono fenomeni in fortissima crescita. Questo è un dato ormai confermato. Lo hanno ben capito le aziende di settore che rispondono a questa tendenza con un’offerta, di materiali e attrezzatura, sempre crescente e che intercetta le esigenze di un pubblico sempre più specializzato: da chi ricerca la performance atletica e il fitness, a chi il piacere della componente sciistica e free-ride, o chi, invece, è orientato alla difficoltà alpinistica o allo scialpinismo classico e al touring.

Chi frequenta la montagna, ha osservato, stagione dopo stagione, l’aumento della numerosità dei praticanti (e qualità e varietà delle attrezzature!) solo le amministrazioni locali sembrano cieche di fronte all’evidenza e anziché intercettare e guidare questa tendenza, perseguono modelli di turismo vecchi di decenni che in tutti i modi hanno dimostrato la loro insostenibilità economica e ambientale e che, con la scusa del sostegno al turismo, continuano a dirottare fondi milionari in cantieri inutili e spesso dannosi, quasi sempre, in località già afflitte dalla frequentazione di massa che di cemento, scavi e piloni non avrebbero certo bisogno.

  • La tecnologia e le nuove abitudini “social” hanno ulteriormente massificato la frequentazione della montagna. Lo sfoggio di foto, panorami, imprese sui social network ha contribuito ad attrarre sempre più persone verso la montagna innevata. Oggi reperire informazioni sulle condizioni della neve o sulla percorribilità di un itinerario è questione di un click. Ci sono gruppi facebook e forum ricchissimi di dettagli in tempo reale. Poter ripetere una gita di cui abbiamo visto relazione, video, commenti, foto, rende sicuramente più accessibile questo sport rispetto a quanto lo fosse quando ci si doveva basare solo sulle informazioni delle carte meteo e sulla propria conoscenza dell’ambiente e delle stagioni.

Questo, di fatto, apre anche la montagna invernale ad una frequentazione di massa e ne riduce il fascino e il piacere della contemplazione e dell’avventura. Potrebbe però essere il presupposto su cui costruire e comunicare un’offerta turistica più evoluta, orientata all’equilibrio tra le esigenze dei residenti, dei turisti e dell’ambiente.

Resta su tutto il fatto che i fenomeni di massa, se non ben governati portano a quell’effetto parcheggio del centro commerciale, non degni per i panorami di montagna.

La montagna non ha anticorpi contro la massificazione. Le amministrazioni, gli enti e gli operatori non hanno ancora chiaro la velocità del cambiamento e la rapidità delle trasformazioni. Abbiamo visto, per esempio, al lago di Braies, quale squilibrio nei flussi di turisti può portare una fiction e oggi in Marmolada la velocità delle informazioni in rete quale massa di scialpinisti possono spostare. Non possiamo non alzare il livello di attenzione e di consapevolezza se vogliamo garantirci qualche scampolo di natura anche nel prossimo futuro.

Dobbiamo impegnarci tutti perché il turismo si adegui alla montagna e non la montagna si trasformi per assecondare il turismo.

Alessandro Lavarra