Confindustria difende lo scempio di Cortina e attacca MW; Pinelli risponde.
“Il partito del no è fuori dal tempo, dalla storia e dal territorio”.
Il presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, Lorraine Berton, commenta così la manifestazione di Cortina per contestare gli interventi (e gli scempi) in vista dei Mondiali del 2021 e delle Olimpiadi del 2026.
La risposta di Carlo Alberto Pinelli
L’esternazione della signora Lorraine Berton, responsabile della Confindustria del Bellunese è talmente intessuta di luoghi comuni, di frasi fatte, di affermazioni disinformate che grande sarebbe la voglia di rimandare in blocco alla mittente il suo giudizio sulla manifestazione ambientalista della scorsa domenica a Cortina,, senza perdere tempo per contestarlo punto per punto. Lo “sparuto gruppo di ambientalisti” che ha dato vita alla manifestazione era composto da qualificati esponenti di Mountain Wilderness Italia, di Italia Nostra, del WWF, della Fondazione Alex Langer, eccetera. Era presente lo stesso Club Alpino Italiano, noto per la prudenza delle sue prese di posizione. Ritengo però opportuno utilizzare qualche minuto per avanzare alcune riflessioni forse non marginali anche se certamente non esaustive.
La signora Berton tira ancora una volta fuori dal cassetto la consunta definizione di “ambientalisti da salotto” per sostenere che “ la montagna è di chi la abita e non di chi la vive solo per una gita fuori porta”. Soprattutto se le motivazioni di questi gitanti derivano unicamente “da capricci e da smania di visibilità”. E meno male che la signora dichiara contestualmente di rispettare le idee di “quei signori”. Chissà cosa avrebbe detto se non le rispettasse! Ora, tralasciando il fatto che la definizione di ambientalisti da salotto ( o di ambientalisti talebani) è l’ultima freccia (spuntata) di chi non ha argomenti seri da opporre, vorrei che la presidente della Confindustria bellunese ci spiegasse come la mette con la Costituzione italiana. La quale tutela il paesaggio ( art 9) a nome dell’intera comunità nazionale, senza fare differenza tra chi vive in pianura, in collina o in montagna e sovraordinando tale tutela alle convenienze circoscritte di ciascuna comunità locale, come ha sentenziato più volte la Corte Costituzionale.
Non ci sarebbe bisogno di ricordare che ciascun cittadino è eguale di fronte alla legge, per diritti e doveri. Mi sembra di capire che invece la signora Berton dia punteggi diversi a seconda della quota alla quale ciascuno di noi ha avuto in sorte di nascere e di operare. Chi proviene dalle città della pianura deve solo star zitto, anche se storicamente proprio ai ceti abbienti di quelle stesse città si deve la trasformazione di Cortina da piccola borgata abitata da un pugno di simpatici allevatori, boscaioli, contadini, in una delle più famose stazioni turistiche dell’intero arco alpino. Come reagirebbe a una simile imposizione il barone Franchetti, se fosse ancora vivo? Chi proviene dalla pianura può solo portare quattrini e non proporre limiti alla degradazione dei paesaggi che ha contribuito a rendere famosi?
Cortina, regina delle Dolomiti. Le valli, le vette, le rocce, le nevi, le foreste e le praterie delle Dolomiti, in larga parte inserite tra i monumenti del mondo dell’UNESCO, rappresentano un patrimonio naturale unico al mondo. Per questo motivo anche un abitante del Ghana o del Perù avrebbe tutto il diritto di preoccuparsi e di reagire venendo a conoscenza di minacce all’ integrità di questo patrimonio. La signora Berton si autoproclama l’ avvocato difensore delle autonome decisioni delle popolazioni locali. Pretesa poco credibile, mi si consenta di dire, perché non mi risulta che abbia mosso un dito per contestare le decisioni del Comitato Olimpico. Decisioni calate dall’alto, senza prevedere un vero e proprio percorso condiviso con la gente del posto. Guarda caso, la richiesta in questo senso era partita proprio dalle tanto disprezzate associazioni ambientaliste.
Non si deprima, la signora Berton, leggendo queste osservazioni. Alla fine concordo con Annibale Salsa, che lei cita a difesa delle proprie tesi. L’avanzata del bosco che a poco a poco si mangia prati e pascoli ormai abbandonati, addolora chi è legato sentimentalmente all’immagine culturale delle Dolomiti. Però eviterei di proclamare, come invece fa lei, che questi mutamenti naturali “stravolgono il paesaggio”. Suona strano che un verbo così melodrammatico venga utilizzato da chi ritiene che i vistosi sbancamenti dei pendii naturali, per aprire e modellare sempre nuove piste da sci, il paesaggio invece non lo stravolgono. Chissà perché. Difendere i prati e i pascoli significa anche – anzi soprattutto – difendere la cotica erbosa che nessun tentativo di “rinverdimento” potrà ricostituire, una volta sradicata. Forse la signora Berton non ne è al corrente, ma il microcosmo della cotica erbosa delle nostre Alpi è un prezioso relitto che risale all’ultima glaciazione. Le condizioni climatiche attuali non permettono quasi mai di ricrearlo artificialmente. Quando la neve se ne va restano solo i sassi e le ghiaie.
Tutte queste in fondo sono quisquiglie. Il punto centrale a mio parere è ancora un altro. Non è accettabile, perché è immorale, utilizzare il prestigio della Confindustria per spingere le comunità locali a proseguire lungo percorsi di sviluppo economico, non solo progressivamente sempre più dannosi per il patrimonio naturale montano, ma anche destinati al fallimento a causa degli inarrestabili effetti del riscaldamento globale del pianeta. Nei progetti studiati all’interno dei salotti dei sodali della signora Berton di questo triste destino non c’è traccia. L’imperativo degli imprenditori è quello di spremere in fretta e fino all’ultima goccia lo sci di pista con le sue devastanti infrastrutture, prima che il disastroso vicolo cieco in cui hanno cacciato le comunità locali divenga chiaro e inequivocabile a tutti.
Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain Wilderness International