Cosa significa essere “ambientalisti radicali”?

Qual è il ruolo dell’ambientalismo nell’era della transizione ecologica? Perchè veniamo accusati di estremismo, ideologismo, di incomprensione verso bisogni elementari di chi in montagna vive? Vi proponiamo una riflessione di Luigi Casanova.

Non è facile per Mountain Wilderness sostenere posizioni ferme, radicali. Veniamo accusati di estremismo, ideologismo, di incomprensione verso bisogni elementari di chi in montagna vive.

Nonostante questo si ritiene sia fondamentale mantenere radicalità nella difesa della natura. Lo strapotere delle ragioni dell’economia strutturata nel breve periodo e a vantaggio di poche lobby ce lo impongono. Ce lo impone l’ipocrisia di chi usa termini come sostenibilità o valorizzazioni a sproposito: termini utilizzati anche quando si consumano in modo irreversibile biodiversità, paesaggio, ecosistemi interi, complessità e interazioni fra ambienti fra loro diversi. Una accettazione di una economia tanto distruttiva ci ha portati in soli due secoli a dover fare i conti con il probabile collasso della vita umana sul pianeta terra.

Da tempo in montagna siamo protagonisti, dove le energie ce lo permettono, nell’impedire anche le più piccole speculazioni: una mulattiera trasformata in strada, una malga che viene riconvertita a rifugio, un sentiero di alta quota che da pedonale diventa ciclabile, una nuova strada forestale. A prima vista sembrano interventi minimali, specie quando rapportati agli impatti delle grandi opere negli ambiti urbani.

Perché è nostro dovere mantenere alta l’asticella della radicalità, nel pensiero e nell’azione? Perché forti della storia del passato. Ovunque un ambiente integro sia stato profanato da una strada, o da un ampliamento di un rifugio o malga, o dove è arrivato un impianto di risalita, nel breve volgere di pochi anni si sono sommate altre infrastrutture, sempre sostenute, giustificate da ragioni di sostenibilità economica, dal dover mantenere vissuta la montagna. Attraverso deroghe per ampliamenti, potenziamento di servizi ritenuti essenziali, accessibilità con mezzi a motore sia in estate che in inverno, arricchimento delle offerte anche proponendo iniziative che nulla hanno a che vedere con il contesto culturale della montagna, forzando pianificazioni e scienza, violando aree protette, sia di parchi che in Rete Natura 2000. Nel pensiero corrente i servizi offerti nelle grandi aree urbane devono essere portati fin sotto le rocce, la città trasferita alle alte quote. Ovunque si siano violati limiti storici, anche idrogeologici, in tempi più che brevi la montagna si ritrova trasformata, in peggio. Ovunque, nelle Alpi come sugli Appennini, nelle isole, stiamo perdendo beni comuni causa il diffondersi di “valorizzazioni” sostenute dall’idiozia orami comune di una frase cara ai politici: “perché la montagna senza l’uomo MUORE”.

Solo mantenendo alta la nostra radicalità possiamo almeno provare a difendere gli spazi aperti e naturali rimasti: la radicalità culturale e dell’impegno oggi più che mai è un valore prezioso da sostenere. Le montagne soffrono non certo quando lasciate libere nella loro evoluzione, ma proprio quando incise dalle nostre scelte, invasive: aree forestali denudate, nuova viabilità, diffusione degli impianti sciistici, pale eoliche distribuite su ogni crinale, corsi d’acqua regimati e privati di vegetazione riparia, centraline idroelettriche portate fino quasi alle sorgenti dei rivi, l’urbanizzazione delle alte quote. Costantemente veniamo privati di silenzi, di paesaggi intonsi, di contemplazione autentica, di rapporto intimo con vegetazioni particolari e con le mille complessità e armonie faunistiche. Dobbiamo essere decisi: basta consumo di suolo, basta umiliazioni inferte alle montagne. Quindi rimanere forti di una fermezza priva di mediazioni. Siamo radicali, per rimanere ricchi e liberi.

Luigi Casanova