Dal Presena a Livigno: quando la ricerca di turisti e di crescita diventa follia.

Per tanti è una “visione” quella dei grandi comprensori sciistici, vedendo il successo di Dolomiti Superski, Cervinia-Zermatt e di altre realtà alpine radicate da decenni, per altri una follia che si scontra anche inevitabilmente con le problematiche legate al clima del nostro tempo. E’ di queste settimane l’approvazione da parte di Regione Lombardia dell’ampliamento del comprensorio di Adamello Ski, in particolare per la costruzione di impianti e piste sotto la cima del Tonale Occidentale, distruggendo boschi per far scendere piste, far salire due cabinovie ed interrare tubi per l’innevamento artificiale, obbligatorio su quell’area data la piena esposizione soliva e la quota relativamente bassa (tra 2300 e 1600 metri).

Mi permetto di dire che queste sono delibere approvate da persone che nulla capiscono di montagna, non ne hanno la minima conoscenza e cultura, guardando solo agli albergatori e sindaci che chiedono a gran voce queste opere, ovviamente spinti dalla brama dei guadagni, senza avere alcun spirito critico sulle conseguenze ambientali ed anche su quei maggiori introiti che molto probabilmente non ci saranno, in primis perché molte di queste località collegate non hanno le benché minime possibilità di “sbarcare il lunario” per come sono impostate. Si vuole copiare località come la Val Gardena senza avere mentalità ed “impronta” turistica che possa anche solo avvicinarsi a quelle realtà.

Questo è pericoloso, molto pericoloso, perché rischiamo, oltre a non ottenere i risultati economici sperati, di trovarci intere valli devastate irrimediabilmente, senza avere la possibilità di tornare indietro. Regione Lombardia parla di lavori propedeutici al futuro collegamento tra il Tonale e Santa Caterina, ma queste persone sedute al Pirellone hanno la minima idea di cosa significhi una cosa simile? Hanno idea dei versanti, delle valli, degli ecosistemi, delle mille difficoltà tecniche che ci sono in un collegamento simile? Peraltro, torno a ribadirlo, per buona parte costruito su versanti pienamente esposti al sole dove spesso manca neve in pieno inverno. L’unica via di accesso è ovviamente il Gavia, ma per farlo, dovrebbero almeno raggiungere la cima del Tonale Occidentale, cima soggetta a forte pericolo valanghe dove ci sono già molte polemiche sull’eventuale costruzione di impianti e piste, anche per l’interesse storico della zona, ricca di opere della Grande Guerra. Da lì cosa fare poi? Scendere verso Pezzo e la Val di Viso, ma come faranno a realizzare piste data la complessità del versante? Risalire in qualche modo la Valle delle Messi puntando al Gavia? Oppure addirittura puntare alla zona Caione/Tre Signori per entrare in Valfurva da qualche colle? Una volta arrivati in Val di Gavia poi? Salire come da progetto verso Cima Gavia e scendere al Passo dell’Alpe?

Io non so se si rendono conto cosa significa tutto questo, una tale devastazione di un patrimonio ambientale senza eguali, quello tra la Val di Viso/Messi e la Valfurva, in pieno Parco Nazionale dello Stelvio, che farebbe rabbrividire chiunque abbia un minimo di amore e rispetto per la montagna. Ma qualcuno si immagina la Valle del Gavia, che ospita l’unico esempio di Tundra Artica sulle Alpi, piena di stazioni in cemento armato, sostegni delle cabinovie, paletti di plastica delle piste, schiamazzi e rumori che faranno scappare la fauna, mille pacchetti di sigarette e sporcizia che troveremo poi in estate su questi percorsi, dove anche il rispetto per chi qui ha combattuto la guerra e dato la vita dovrebbe venire prima di tutto.

Stelvio. Foto: Sergio Ruzzenenti

Vogliamo veramente trasformare quest’area in un “parco divertimenti” per gente che troppo spesso non sa neanche dove si trova? Vogliamo portare avanti progetti vecchi di quarant’anni, progetti che ovviamente non hanno un futuro. A malapena stiamo in piedi in queste località lombarde, inutile prenderci in giro, per le tante scelte sbagliate nel corso dei decenni più che per la mancanza di piste da sci; abbiamo pochi impianti che facciamo fatica a mantenere se non con finanziamenti pubblici, e vogliamo farne altri a spese dei contribuenti senza pensare al fatto che le spese aumenteranno, gli sciatori caleranno, il clima ci sarà ostile e non avremo la forza economica di tenerli in salute, ritrovandoci con molta probabilità intere valli distrutte con impianti che diventeranno fatiscenti.

Questa non è una visione lungimirante del futuro cara Regione Lombardia, cari amministratori locali (che cercate di giustificare questi scempi in ottica “green”, per togliere auto dalle strade) ed anche cari albergatori, questo è uso improprio di denaro pubblico, questa è una condanna a morte per quello che era, è e deve rimanere un “pilastro” del nostro turismo: la natura del Parco Nazionale dello Stelvio, l’area protetta più grande dell’arco alpino.

Il Parco è nato con un preciso scopo: quello di preservare flora e fauna di una zona che nel 1935 è stata considerata tra le più belle delle Alpi, non dimentichiamolo mai! La lotta contro questi abusi da parte mia e di Mountain Wilderness continuerà, nel 2021 progetti simili non dovrebbero neanche essere approvati da una giunta regionale che abbia competenze di montagna; per questo, per quanto mi riguarda, non è tollerabile ed ammissibile quanto deciso al Pirellone. Ripeto una frase che avevo scritto già tempo fa in un articolo per il Lago Bianco al Gavia: fin dove ci si può spingere per interessi economici? Invito tutti ad una riflessione a riguardo.

Marco Trezzi