Energie rinnovabili e dogmi, la posizione di Mountain Wilderness

L’adesione di Mountain Wilderness al comunicato stampa interassociativo nel quale si lodavano gli autori di una puntata della fiction RAI “ Imma Tataranni” per il coraggio con cui avevano mostrato al pubblico alcune delle caratteristiche negative delle pale eoliche, ha provocato un certo sconcerto tra i frequentatori delle pagine social della nostra associazione, a riprova di quanto i luoghi comuni relativi alle energie rinnovabili, sapientemente orchestrati soffocando ogni voce discordante, abbiano ormai assunto un valore quasi religioso. Da qui, l’accusa: come si permette Mountain Wilderness di aderire alle posizioni retrogade degli “eretici”? Anche se da almeno venti anni la nostra associazione ha sempre avuto idee molto chiare in proposito, dissentendo in parte dalla narrazione dominante, credo sia opportuno riproporre ai lettori, in forma sintetica, le nostre ben radicate perplessità. E di farlo consapevoli tuttavia che tali posizioni possono anche non essere condivise dagli associati, senza alcun pregiudizio, in quanto esulano dalla “mission” prioritaria di Mountain Wilderness, così come è tratteggiata dalla Tesi di Biella. Fatta questa doverosa premessa, veniamo al dunque.

Energie rinnovabili e dogmi

Se vogliamo affrontare senza pregiudizi ideologici e chiusure dogmatiche il tema delle energie rinnovabili dobbiamo cominciare a porci un interrogativo preliminare: l’invasione delle torri eoliche che sta radicalmente modificando la percezione dei nostri paesaggi identitari, massacra i migratori, incide negativamente sulla biodiversità, è davvero “buona”al cento per cento? Cioè rappresenta un’ efficace e definitiva soluzione per contrastare il riscaldamento globale, dovuto alle emissioni di CO2?

Nutriamo il sospetto che i sostenitori ad oltranza della “bontà assoluta” dell’eolico in realtà vogliano solo assolversi dicendo, quando si infilano nel letto, di aver fatto il possibile per fuggire dalla trappola che la specie umana si è costruita attraverso l’illusione dello sviluppo infinito.  In altre parole cercano di garantirsi la coscienza a posto prima di addormentarsi, sperando di trovare la calza della Befana straripante di aria pulita, di ghiacciai in avanzata e di comportamenti virtuosi la mattina successiva. Bene. La notizia che purtroppo dobbiamo dare a costoro è che la Befana non esiste e che il nostro ricorso alle pale eoliche, per quanto invasivo possa essere, non sposterà nemmeno di un centimetro i termini del drammatico problema dell’effetto serra a livello mondiale.   L’Europa è responsabile dell’otto per cento delle emissioni inquinanti di CO2. L’Italia contribuisce producendo un centesimo delle emissioni globali. Se qui da noi si riuscisse a eliminare totalmente l’utilizzazione dei combustibili fossili ( cosa assolutamente impossibile) la differenza a livello planetario sarebbe del tutto insignificante.  Si potrebbe anche tacere, lasciando che i chierichetti delle rinnovabili continuino a cullarsi nelle loro infantili illusioni. Ma come si può farlo quando quelle illusioni hanno effetti tutt’altro che innocui e stanno causando per certo la più drammatica alterazione dei paesaggi italiani mai subita dal nostro paese nella sua storia millenaria? Se la casa sta bruciando –si obietta –  non c’è più tempo da perdere e qualcosa bisogna pur tentare di fare, anche a scapito di altri importanti valori culturali. D’accordo. Ma aggiungerei: “qualcosa di utile”. Il ricorso all’energia dal vento  potrebbe aiutarci a diminuire di qualche minima frazione la nostra dipendenza dagli approvvigionamenti esteri; ma a livello planetario il suo valore resta soprattutto propositivo e esemplare.  Una sorta di auto- incoronazione come apri pista verso la transizione ecologica mondiale, capace di indicare un percorso virtuoso dimostrandone l’efficacia e la praticabilità. L’ambizione è tutt’altro che disprezzabile; ma – ohimè – solo se non si vuole tener conto del contesto. Ed è proprio il contesto a metterci in guardia, sconsigliandoci scorciatoie emotive, soprattutto se pilotate da scaltri interessi.  

Sto esagerando? Il prof. Mark Jacobson della Stanford University,  riconosciuto esperto mondiale di energie rinnovabili, ha dichiarato più di un anno fa che l’Italia, per raggiungere il 20% di energia elettrica da fonti eoliche, dovrà adattarsi a riempire di aerogeneratori ( alti più di 200 metri), una superficie pari all’intera regione Friuli Venezia Giulia. Per immaginarsi l’effetto finale basta snocciolare queste decine di migliaia di “eco mostri” lungo tutto l’arco delle elevazioni appenniniche. Non troveremmo più un paesaggio privo di quella soffocante muraglia rotante, spacciata, con una non lieve mancanza di pudore, come un’ allegra “pennellata” di modernità. Una recente campagna pubblicitaria ha avuto l’impudenza di scrivere: “ E se per salvare il paesaggio dovessimo modificarlo un poco?” Non aggiungo altro.

 Tutto ciò detto, desidero ripetere che noi non siamo contrari per principio all’energia dal vento. Ma abbiamo seri dubbi sull’ efficacia “ virale” della svolta “green” che la comunità europea sta imponendo all’Italia. Ha un senso degradare i nostri più preziosi tesori per offrire una lezioncina a chi, nel resto del mondo, finge solo di ascoltarci? E’ ragionevole accettare che le pale eoliche siano spacciate all’opinione pubblica, senza contraddittorio, come icone e totem indiscutibili della salvezza del Pianeta? Direi proprio di no. Crediamo invece opportuno ridimensionare l’efficacia delle energie da fonti rinnovabili, che resterà marginale per lo meno fino a quando Cina, India, Indonesia e USA continueranno a produrre i 3/4 delle emissioni di CO2 , mentre sparpagliano qua e là, tanto per farci contenti, qualche manciata di pale eoliche. Bisognerebbe piuttosto sollecitare gli sforzi dell’intera comunità internazionale nella ricerca di strumenti davvero adeguati alla mitigazione dell’effetto serra planetario. A cominciare dal risparmio e dalla radicale razionalizzazione dei consumi, per finire con i sistemi di sequestro e stoccaggio ipogeo dei gas termo-inquinanti. Senza considerare un sacrilegio repellente riprendere in considerazione ( anche se con le molle) il ricorso all’energia nucleare di ultima generazione.

L’emergenza climatica e il desiderio compulsivo di dare “il buon esempio” non possono essere utilizzati come lasciapassare per lo scardinamento dei valori naturalistici, storici, culturali del paesaggio italiano. 

Non stupisce più di tanto che le aziende e le lobbies interessate alla lucrosa produzione di energia elettrica dal vento e dal sole, non contente di aver imposto ai cittadini italiani e ai decisori dai quali siamo governati, la narrazione fiabesca delle energie rinnovabili come via maestra per la salvezza del Pianeta, oggi si siano precipitate a cavalcare – pro domo sua – il tema scottante dell’ affrancamento dell’Italia dai fornitori stranieri di gas. Non sembra che l’ oggettiva assurdità di una simile patriottica proposta li preoccupi minimamente. L’importante è utilizzare anche questo ulteriore grimaldello per scardinare le ultime difese di chi tenta di arginare lo tsunami della cosiddetta transizione ecologica, sia ridimensionandone l’efficacia, sia concedendo spazio anche ad altre priorità, naturalistiche e culturali. Alcune associazioni ambientaliste vorrebbero che il nostro Governo stabilisse di passare in tre anni dai 33 GW di rinnovabili eoliche e fotovoltaiche  fin’ora installati ( che coprono  appena il3,5% dei consumi totali di energia,  a 60 GW di potenza, cosa che causerebbe (secondo le imprese del fotovoltaico e dell’eolico) una contrazione della dipendenza dal gas del 20% e una copertura del fabbisogno pari al 10%. Per una fuoriuscita completa da qualunque tipo di fonte fossile bisognerebbe prevedere di installare tra i 350 e i 600 ulteriori GW. Se la strada maestra è questa, rimbocchiamoci le maniche e facciamolo in fretta, incuranti dei piagnistei delle Soprintendenze! Tutti i decreti del Governo sulla semplificazione delle procedure vanno in questa direzione.

Purtroppo la realtà è più complessa e contraddice i troppo superficiali ottimismi: l’attuale 3,5 % di consumi di energia dal vento e dal sole  è già costato agli italiani, attraverso le bollette, 240 miliardi di euro di incentivi ai produttori oltre ai costi in crescita per l’adeguamento della rete elettrica. Inoltre, queste fonti possono fornire solo energia elettrica intermittente. Ciò significa che, per garantire la stabilità della rete elettrica ed evitare blackout quando il sole e il vento non ci sono, bisogna mantenere in funzione gli impianti a gas e remunerarli per questo.  Lascio agli economisti calcolare quanto ci verrebbe a costare il gigantesco passo successivo della decarbonizzazione totale, ad oggi ancora impensabile in un’economia industriale. Ma restiamo alle torri eoliche, la più gettonata icona “pseudo religiosa” della transizione energetica. Solo un bambino può credere che aerogeneratori alti più di grattacieli di cinquanta piani spuntino gratuitamente come fiori di campo (si vedano le scaltre immagini dei soffioni, utilizzate dalle pubblicità), senza richiedere, a monte, un massiccio impiego di energia. Per fabbricare ogni singola pala occorrono 900 tonnellate di acciaio, 2500 tonnellate di calcestruzzo, 45 tonnellate di plastica non riciclabile.  Per costruire e mettere in opera i milioni di aerogeneratori necessari a coprire il 50% del fabbisogno mondiale di energia elettrica ( ipotesi ad oggi assolutamente  fantascientifica), dovremmo cominciare con l’ utilizzare circa due miliardi di tonnellate di carbone e due miliardi di barili di petrolio.

Senza contare l’energia da fonti fossili necessaria per aprire le strade su cui dovranno passare i tir carichi delle pale, i costi energetici dei trasporti via nave (più di un terzo proviene dalla Cina), i costi delle scavatrici e dei movimenti di terra, i costi per le nuove e capillari reti di collegamento e così via. Dopo quanti anni di attività una pala – in una nazione notoriamente scarsa di venti adatti – è in grado di ripagarsi in termine di consumi energetici, per essere da quel momento in poi al nostro servizio a costi accettabili? Qualche ottimista parla di due anni; i più attendibili di dieci. Non dimentichiamo che la vita produttiva di questi mostri raggiunge appena i vent’anni. Di conseguenza la loro effettiva utilità potrebbe rivelarsi notevolmente ridotta. Invece i danni non diminuirebbero. C’è di più. La successiva rottamazione causerà problemi giganteschi anche sul versante di ulteriori sprechi energetici e avrà costi vertiginosi. Se a questa rottamazione si aggiungesse quella analoga dei pannelli fotovoltaici la valanga dei rifiuti supererebbe, del doppio, a livello mondiale, la quantità degli attuali rifiuti derivati dalla plastica. Una prospettiva agghiacciante.

Carlo Alberto Pinelli