Il futuro nei giovani. Intervista a Fausto De Stefani
Pubblichiamo un’intervista a Fausto De Stefani del 2010, i contenuti sono di straordinaria attualità.
Parlare con Fausto sembra la cosa più normale di questo mondo, eppure è difficilissimo infilarsi nei ritagli tra la sua attività con le scolaresche, le serate di proiezione delle sue immagini, le presenze ai vari convegni e dibattiti ai quali viene invitato ed il tempo dedicato al volontariato, senza contare le sacrosante esigenze della famiglia. Ci ha dato appuntamento presso il suo laboratorio per ragazzi in provincia di Mantova, dove è nato e tuttora risiede.
La mia esperienza mi porta a dire che i ragazzi, se raggiunti in tempo e non ancora “rovinati”, rappresentano un investimento concreto per il futuro. Non nutro più fiducia negli adulti, ma questo ai ragazzi non lo posso dire perché devo sempre mostrarmi positivo e ottimista, voglio essere colorato come i disegni dei bambini che difficilmente disegnano in bianco e nero, per loro la vita è sempre a colori; chi si lamenta dei giovani d’oggi non si rende conto che sono invece molto migliori degli esempi che ricevono dagli adulti.
Perché gli 8000, se poi si cerca l’universo nello sguardo di un bambino?
Gli ottomila sono curiosità, emozioni, gioia e disperazione; tutte sensazioni che restano fini a sé stesse, se poi non si riversano nella vita quotidiana e nei rapporti con gli altri. Ho voluto provare, anche se le mie più belle salite le ho fatte su montagne sconosciute. A vent’anni andavo da casa in Adamello a piedi, occorrevano otto giorni, gli amici alpinisti mi davano del matto ma solo così si può conoscere veramente il territorio e non solo le vette. Oggi a dodici anni ti avviano all’alpinismo giovanile, ma se prima non hai avuto un contatto reale con la natura otterremo solo grandi atleti poco sensibili alle tematiche ambientali.
E il pericolo, tutti questi incidenti in montagna?
Ho subito diversi congelamenti, ho rischiato la vita più volte, ma non è certo colpa della montagna. L’andare per monti mia ha dato grandi emozioni, sensazioni forti e straordinarie, mi ha fatto gioire ma anche paingere e disperare; soprattutto mi ha dato la giusta dimensione, mi ha fatto capire che il senso della vita non poteva essere solo arrivare sulla vetta, ma erano ben altri i valori importanti. La montagna non ha bisogno di noi, forse vivrebbe addirittura meglio senza gli uomini, siamo noi ad avere bisogno di lei, potremmo rappresentarne un completamento ma oggi ci tocca difenderla dalla nostra stessa mancanza di sensibilità e rispetto. Dobbiamo sostenere l’idea che l’economia in montagna non viene solo dallo sci o dalle pratiche invasive, ma anche e soprattutto dal mantenimento di un ambiente in equilibrio acquisendone le leggi che lo regolano ed educando gli altri a conoscerle e rispettarle.
Che cosa ti ha portato a Mountain Wilderness?
Ho sempre pensato che l’associazionismo, se libero a 360°, poteva essere una spina nel fianco per chi governa; i partiti politici hanno molta più forza e capacità di incidere, ma sono andati incontro a fallimenti spaventosi. La fondazione di MW per me andava in questa direzione.
Che cosa ha funzionato, e cosa poteva andare meglio?
L’associazionismo è un mondo che discute in continuazione, questo è certamente positivo, ma poi bisogna concretizzare. MW è andata incontro a molte sconfitte, per la maggior parte prevedibili ma bisognava lottare: le poche vittorie sono state davvero significative, e questo mi fa dire che ne valeva la pena. Le aspettative? Alcune positive, altre negative, è inevitabile. Mi sarei forse aspettato più appoggio, all’inizio abbiamo fatto leva sui grandi nomi ma gli alpinisti sono spesso capricciosi e protagonisti, non danno continuità. Oggi la struttura associativa è importante, ma essa è costituita da persone, non dobbiamo dimenticare che le persone sono sempre alla base di tutto. Dobbiamo aumentare i nostri soci e rivolgerci a loro per fargli capire quanto sono importanti, non possiamo delegare a pochi un patrimonio così importante come quello del nostro ambiente montano.
Cosa si può fare in concreto?
A poca distanza da casa mia sono riuscito a bloccare un intervento edilizio, il progetto di un villaggio denominato “le Torbiere” che si voleva costruire sopra le torbiere distruggendole completamente, sono le contraddizioni del mondo in cui viviamo. Con lo stesso impegno mi dedico alla raccolta di fondi per la costruzione del polo scolastico in Nepal o al progetto educativo con i ragazzi delle scuole italiane; il messaggio che voglio lanciare è proprio questo, ognuno deve fare la propria parte, non importa per quanto piccola ed insignificante possa sembrare. Se diamo un esempio ai giovani, questi giovani cresceranno con dei valori.
Quanta wilderness c’è in te nella vita quotidiana?
Non potrei mai fare l’alpinista senza occuparmi del sociale o di quanto mi accade intorno nella vita di tutti i giorni, ci sono obiettivi personali importanti che fanno parte della stessa catena, è una questione di coerenza. Invecchiando le energie calano, dobbiamo impostare la nostra vita su altri parametri che non la vigoria fisica, dovremo accontentarci del sentiero ma essere felici. Lungo il fiume Chiese, a due passi da casa, trovo un silenzio ed un contatto con la natura che sulle affollate vette himalaiane spesso mi è mancato; la wilderness è un rapporto con la natura non mediato, primitivo. Ci sono insegnanti universitari che si stupiscono dei risultati che ottengo con i ragazzi, e allora eseguo un semplice test: gli faccio piantare un chiodo su una tavoletta di legno, pochi ci riescono pur con tutto il loro sapere. Abbiamo perso la manualità, il senso della materia, in questo senso i ragazzi rappresentano davvero la nostra speranza per il futuro.
Una considerazione finale?
Dobbiamo recuperare il senso della fatica, di guadagnarci quello che abbiamo, attraverso la fatica riusciamo a capire parti di noi che altrimenti rimarrebbero nascoste. Con i ragazzi costruiamo oggetti, lavoriamo negli orti, sono esperienze straordinarie che lasciano il segno. In montagna si fa fatica, ma poi la fatica si dimentica e la magia delle montagne lascia intatta solamente la parte più nobile dentro di noi. Anche il volontariato è fatica, so bene che tutti gli attivisti di MW fanno fatica ed ho grande rispetto per loro, sono uno di loro.