I boschi vanno curati

Introduzione

Fino ad un decennio i comuni significativi per produzione del legname del Trentino, erano dotati di squadre boschive composte da 2 a 6 dipendenti stagionali che riuscivano ad intervenire in ogni emergenza del territorio. Accanto a questa attenzione la Provincia di Trento affiancava gli operai delle migliorie boschive, sempre operai stagionali, esperti, formati, che intervenivano in diradamenti, cura della viabilità forestale, sentieri. Parliamo di qualche centinaio di lavoratori. Oggi sono ridotti a qualche decina, impossibilitati ad affrontare qualsiasi vera urgenza (temporali, franamenti, schianti, attacchi di parassiti).
Nelle Alpi fino a 30 anni fa la forestale gestiva gli operai ex Tot, cioè una realtà simile al Trentino diffusa su tutte le montagne. Tutto sparito: i boschi oggi sono abbandonati, utilizzati solo per produrre, gestiti con una logica puramente economicista. Si sperava che la tempesta Vaia, primo caso così diffuso e traumatico in Italia, portasse a un ripensamento nella cura della montagna. Niente: abbiamo ancora superfici enormi devastate, oltre 10 mila ettari di boschi, e nessuno riflette su come recuperare dal punto di vista qualitativo foreste strategiche. Pubblichiamo un articolo che il nostro socio Luigi Casanova da venti giorni ha spedito alla stampa locale convinto venisse pubblicato. Nonostante i solleciti non è stata pubblicata nemmeno una sintesi. Quanto scritto, anche se riferito in modo specifico al Trentino, ha valore per tutte le regioni forestali italiane: un esempio di come riprendere la cura del nostro territorio, anche all’esterno degli abitati.

Foreste distrutte dalle tempesta Vaia che colpì il nord est italiano nell’ottobre 2018.

I boschi vanno curati. Investendo in squadre di boscaioli pubblici. Una risorsa per i boschi e per la società. Di Luigi Casanova

Luigi Casanova

Da oltre un decennio il Servizio foreste della Provincia ha demolito il suo apparato di operai stagionali forestali. Sono rimaste attive squadre minimali che non riescono nemmeno più a ricucire le tante ferite che i boschi subiscono. A questa sciagurata scelta politica (era Dellai e poi sempre confermata) sono seguite quelle dei comuni. In tante realtà pubbliche dotate di un ingente patrimonio boschivo fino a qualche anno fa erano attive squadre di boscaioli pubblici, per lo più stagionali: anche queste squadre sono state un po’ ovunque smantellate o ridotte ai minimi termini, portate ad esaurimento. Gli amministratori comunali delle valli portano attenzione solo all’ambito urbano, all’arredo di piazze, stravolgendone senso e funzioni. L’economia turistica montana ormai si è ridotta a prestare attenzione al paese e alle aree sciabili: il resto del patrimonio, l’essenza, il cuore dell’offerta turistica, è abbandonato. Non solo perché c’è stato il traumatico evento della tempesta Vaia, ma per rispetto delle generazioni future, si deve ritornare a investire nella cura dei boschi. Se la nostra generazione ha goduto di boschi straordinari e altamente produttivi è perché nonni e bisnonni intervenivano giornalmente nel gestire questi spazi strategici della montagna alpina.

Cura dei boschi significa prima di tutto gestire vivai forestali locali (abbandonati dalla Provincia). Poi seguire i diradamenti, intervenire dove necessario con piantumazioni variegate, significa mantenere libere le strade forestali e i drenaggi di queste, significa seguire giornalmente la rete dei sentieri, significa bloccare l’avanzata del bostrico non appena questo si presenta, intervenire nei pascoli per impedire che l’avanzare del bosco li banalizzi o li renda inutilizzabili allo scopo. Significa anche molto altro: investire in personale specializzato (dopo adeguata formazione) e ricostruire professionalità specifiche, significa offrire al turismo certezza sulla agibilità e accessibilità in sicurezza delle nostre foreste. Ancora, significa investire in lavori e lavoro che stiamo perdendo e non riusciremo più a recuperare. Qualcuno, in provincia e nei comuni ad alta vocazione forestale, si sta chiedono chi, fra pochi anni, al massimo un decennio, andrà ancora a lavorare in bosco?


Nella mia esperienza professionale ho imparato molto del mio lavoro grazie ai dipendenti pubblici forestali, personale dotato di passione, forte di esperienza, forte di cultura in quanto capace di leggere quanto i percorsi scolastici non riescono a spiegare, capaci di interpretare le pieghe più intime del territorio di loro competenza. Invece chi amministra oggi ritiene che il dipendente pubblico, anche in bosco, costi troppo, produca quasi nulla, sia impegnativo da gestire anche in pratiche burocratiche, in termini di garanzia sulla sicurezza. Costa, tempo e denaro: quindi meglio appaltare la gestione del territorio ai privati. Questi amministratori, pigri e privi di visione, non si accorgono che determinati lavori in bosco, specie in presenza di eventi devastanti come alluvioni, franamenti, attacchi di parassitari (stiamo attendendo la rivincita del bostrico sulla inerzia della provincia e di troppi comuni nel recupero del legname schiantato da Vaia), necessitano di interventi immediati, possibili solo laddove è attiva una squadra pubblica di boscaioli o di addetti alla manutenzione della viabilità forestale. Attendere i tempi degli appalti, quando vi sia disponibilità di ditte, sempre più rare, innesca altri problemi, idrogeologici e di diffusione dei parassiti. Ed i costi in situazioni di emergenza per l’ente pubblico sono e saranno sempre più insostenibili. Questo mio intervento vuole essere una sollecitazione forte rivolta agli amministratori pubblici perché ritornino a vedere nel bosco una risorsa. Una risorsa che ricambia servizi ecosistemici complessi nel lungo periodo, una risorsa di paesaggio e di ricreazione, una risorsa in termini di produzione e di biodiversità, una risorsa che dona sicurezza a chi la montagna la abita, anche agli operatori turistici e ai loro ospiti. Perché il sistema foresta rimanga efficace nell’offrire tanta ricchezza è necessario venga gestito e curato giorno dopo giorno, da personale specializzato e ben formato, da una marea di giovani che ritornino a lavorare nei nostri boschi. E’ necessario che a questo personale venga fornita attrezzatura moderna, non solo motoseghe e accette, ma trattori, verricelli, una teleferica moderna, formazione. L’esperienza mi ha insegnato che, anche in tempi relativamente brevi, si avranno ricadute positive importanti nella ricostruzione delle foreste ferite, nel recupero di professionalità perdute o dimenticate, nel ritorno anche economico di un investimento che non può che essere pianificato e strutturato nel lungo termine, una ricaduta strategica anche nella offerta turistica e culturale. Attendo sul tema, da subito, un segnale forte dalla Provincia per il ritorno alle virtù gestionali del passato, dai comuni perché investano sul potenziamento del loro patrimonio, dal sindacato perché si svegli da un lungo torpore e ritorni alla capacità di costruire un disegno sociale della montagna, promuovendo politica forestale e sostenendo assunzioni. Vaia, ma non c’era bisogno di un simile evento, ci impone il dovere di investire in coraggio e lungimiranza. E di abbandonare la diffusione e il potenziamento, devastante dal punto di vista ambientale e paesaggistico, costosissimo, delle nuove strade che si stanno imponendo ai boschi trentini.
Luigi Casanova