I grandi predatori in Italia in forte aumento. Sulle montagne invece si impongono stranezze: cammelli, alpaca e lama.

Sul fronte dei grandi predatori carnivori in Italia ci sono buone notizie. Pur tra contraddizioni, investimenti, avvelenamenti, decisioni inaccettabili delle province e regioni autonome (abbattimenti e catture fuorilegge) questa fauna oltremodo pregiata si sta riprendendo spazi di natura dei quali l’uomo l’aveva privata.

La cattura dell’orso Papillon (M49)

In Appennino la popolazione dell’ orso marsicano mostra segni di ripresa grazie a sei o forse sette nuove cucciolate. Sicuramente la fragile popolazione non è in regressione.
La popolazione di orso bruno in Trentino è prossima a quota 100, numero insperati raggiunto in soli 20 anni dal lancio del progetto europeo Live Ursus, cioè il ripopolamento della popolazione autoctona ormai estinta. Preoccupano comunque due aspetti. La consanguineità della popolazione che porta ad un progressivo decadimento genetico e l’isolamento della popolazione in un areale ormai inadeguato (il parco naturale dell’Adamello – Brenta), troppo ristretto. La popolazione non riesce a diffondersi altrove causa l’eccesso di antropizzazione delle zone confinanti, l’imponenza delle strutture viarie, autostrade e ferrovie, che ne impediscono di fatto la migrazione in altre zone naturali. Mancano i corridoi ecologici auspicati invece con energia dalla ormai sempre più inattuata Convenzione delle Alpi. I comportamenti sconsiderati della Provincia autonoma di Trento (catture e abbattimenti ad ogni minimo eccesso di confidenza del selvatico) impediscono di dare piena attuazione al piano di gestione concordato con le associazioni ambientaliste nel 1999 e poi rivisto (in negativo) nel 2015. In pratica i territori limitrofi dimostrano una insofferenza e disinteresse verso l’accoglimento, una situazione che deve preoccuparci. Il progetto prevedeva che dal Trentino la popolazione ursina si diffondesse su tutte le Alpi. Per gli amministratori trentini (tedeschi e svizzeri) invece di imbracciare il fucile è venuto il momento di ridefinire il progetto condividendolo da subito con Lombardia, Veneto e provincia di Bolzano, poi con gli Stati alpini. Le femmine infatti non migrano come ci si attendeva, sarà necessario in tempi brevi arrivare a catture mirate e a dei trasferimenti condivisi. Un altro aspetto, fondamentale, trascurato, anzi meglio dire oscurato dalla amministrazione provinciale trentina, è quello dell’informazione e della formazione delle popolazioni locali. Invece di potenziare il settore della conoscenza questa giunta ha addirittura cancellato la presentazione pubblica del Rapporto annuale sui predatori e ultimamente nega a chiunque l’accesso al recinto – lager dove sono rinchiusi gli orsi definiti problematici, ultimo in ordine di tempo M49 – Papillon.


Sul nostro territorio rimane invece attiva una lince maschio in Trentino, purtroppo isolata e sempre più anziana e qualche sporadico avvistamento nelle zone di confine con la Slovenia e la Svizzera. Anche questo un tema da affrontare con serietà e professionalità, abbandonato in Italia dopo le ricerche condotte da Bernardino Ragni e da Franco Tassi negli anni ’80 e ’90.
I lupi offrono invece sempre maggiori soddisfazioni. In tutta la penisola si è passati da una popolazione avviata all’estinzione degli anni ’70 di circa 70 unità, alle 2000 certe per difetto di oggi. I lupi finalmente sono presenti lungo tutto lo stivale, dall’Aspromonte fino a tutta la catena alpina. Quattro branchi di lupi stazionano ormai da tempo sul confine fra Trentino e Sudtirol – Alto Adige. Un dato importante in quanto è risaputa l’ostilità di questa provincia autonoma alla convivenza con qualunque predatore naturale. E’ una Provincia dove ancora dettano legge le corporazioni degli allevatori e dei cacciatori. Del resto è l’unica realtà in Italia a permettere annualmente l’abbattimento di 1500 marmotte.

Si rimarrà basiti, ma il Sudtirol – Alto Adige accetta invece la presenza di animali che con le Alpi nulla hanno a che fare: fin dai tempi di Annibale gli elefanti avevano avuto scarsa fortuna. Oggi invece possiamo trovare cammelli (ben tre), alpaca e lama alla Tuffalm di Fiè, sullo Sciliar, ma le due specie andine sono ormai diffuse ovunque in Dolomiti. Tanto per sottolineare come le Dolomiti giorno dopo giorno vengano picconate non solo dalle ruspe degli impiantisti e dei rifugisti, ma cancellate anche dal punto di vista culturale: ridotte ad un sempre più banale e indicibile parco giochi.

Luigi Casanova