Il caso della translagorai e il limite della montagna

Il caso di Simone Casalini, già publicato su Il Corriere del Trentino del 30 Settembre 2018

Il «Progetto Translagorai» della Provincia di Trento sembrava inizialmente una buona idea. Si è sostenuto che lo scopo era quello di favorire la traversata a piedi della Catena del Lagorai, uno dei trekking più belli del
Trentino.
Il Lagorai è una delle ultime zone wilderness rimaste ancora miracolosamente intatte (quasi) dalle speculazioni e dal turismo di massa. La Translagorai è un percorso di circa 85 chilometri che attraversa tutta la
Catena, sfruttando in gran parte i sentieri che ricalcano le vecchie mulattiere della Grande Guerra in quota.
Il modo migliore e più entusiasmante per affrontare questa selvaggia traversata è senza dubbio con la tenda.
Oppure sfruttando i pochi punti di appoggio come rifugi, bivacchi, malghe, che sono comunque sufficienti come dimostrano le migliaia di trekkers che l’hanno percorsa senza particolari problemi in questi ultimi 40
anni. Magari sarebbe comodo un bivacco in più, massimo due, dislocati nelle tratte più lunghe che comunque non superano i 25 chilometri.
Leggendo il progetto però si apprende con stupore che nessun bivacco sul percorso è stato previsto, con la motivazione di «non intaccare la naturalità dei luoghi».
Lo stupore però si trasforma in incredulità quando si prevede la trasformazione di Malga Lagorai, posta in un santuario naturale con pochi eguali, addirittura in un ristorante da 40 posti (e 20 posti letto). Ma non è l’unico ristorante previsto: un altro è previsto a Malga Valsolero e un altro ancora a Malga Cadinello. Ma che c’entrano i ristoranti con la Translagorai? Niente!
È dunque evidente che la Translagorai è un pretesto, una foglia di fico per coprire il vero obiettivo: aumentare le infrastrutture turistiche a media quota. Questo è tanto più grave riguardo Malga Lagorai: trasformarla in
ristorante sarebbe perfettamente funzionale agli interessi degli impianti del Cermis, che già propongono il giro del Lago Lagorai a chi sale con gli impianti di risalita, ma significherebbe distruggere per sempre la
magia di un luogo unico, rimasto intatto nei secoli.
Le obiezioni al progetto hanno finora suscitato solo reazioni infastidite che non sono mai entrate nel merito delle questioni sollevate. Se non si desisterà da questi subdoli intenti di sfruttamento commerciale, gli appassionati di montagna e del Lagorai sono pronti a promuovere un referendum in valle di Fiemme e ogni altra iniziativa utile alla salvaguardia dello straordinario patrimonio naturalistico e paesaggistico
del Lagorai.
Alessandro Ghezzer

La risposta di Simone Casalini

Caro Ghezzer,
Lei tocca un punto molto delicato che riguarda l’interpretazione della montagna e i modelli di sviluppo che s’intendono perseguire. Da anni esiste
ormai una divaricazione tra i soggetti (istituzionali e non) che agiscono sul territorio e tra gli stakeholders.
C’è chi spinge per una lenta colonizzazione turistica del Trentino, chi per una sua difesa intransigente. Nel mezzo sono stati anche elaborati utili riflessioni sui temi del paesaggio, di come vivere nelle terre alte limitando
lo spopolamento, del limite. La loro traduzione si è spesso scontrata con l’ambiguità e, in altre circostanze, con l’esigenza di tenere insieme più punti di vista.
Il Lagorai, come osservava lei, è forse l’ultimo rifugio del wilderness. Forse meriterebbe di essere lasciato così. Non è, infatti, un valore consentire a tutti di arrivare ovunque.