Il dossier di candidatura Milano – Cortina 2026, il grande inganno.
Abbiamo pubblicato una serie di articoli sulle ricadute negative che le Olimpiadi avranno sui territori coinvolti ma l’inganno viene da lontano: nulla di quanto promesso nel dossier di candidatura è stato mantenuto. Di seguito, grazie alla possibilità di attingere le informazioni salienti dal libro di Luigi Casanova, Ombre sulla Neve, analizziamo i temi relativi ai costi, alla sostenibilità ambientale, alla partecipazione e al consenso.
La candidatura
La candidatura della città di Milano ad ospitare l’evento olimpico e paralimpico invernale del 2026 è stata anticipata da un confronto politico-istituzionale quasi irreale. Cortina premeva da anni per ritornare protagonista degli sport invernali dopo l’ormai lontano evento del 1956. Il Tirolo austriaco e italiano chiedevano visibilità e autonomia. In Piemonte alcuni settori della politica e del mondo sportivo chiedevano di poter ritornare in scena anche per recuperare gli errori del 2006, l’abbandono dei villaggi olimpici, dei trampolini del salto, delle piste di bob e slittino. Opere costosissime lasciate deperire perché il loro utilizzo era insostenibile dal punto di vista economico.
Torino ha subito abbandonato, grazie alla lungimiranza dell’allora amministrazione comunale della città. Il Tirolo si è arenato in conflitti territoriali che non meritano attenzione. Sono rimaste vive all’attenzione del CONI Milano e Cortina. Con la propaggine, ritenuta marginale, della Valtellina e della Regione Trentino Alto Adige.
Il dossier di candidatura proponeva quattro obiettivi, per lo più condivisibili: il costo dell’evento pari a zero, la piena sostenibilità economica e ambientale, la condivisione sociale attraverso la partecipazione democratica, la legacy, cioè garantire che le opere avessero una ricaduta positiva e sociale sui territori e sulle generazioni future. L’evento, vi si scriveva, doveva sconfiggere l’abbandono della montagna. Milano – Cortina doveva anche essere il progetto pilota del CIO nella prima applicazione dell’Agenda olimpica del 2020, agenda che qualora rispettata nelle sue linee guida (troppo generiche) doveva dimostrare la piena sostenibilità di questi eventi, sia estivi che invernali.
Previsioni e ambizioni rispettate? Proviamo a vedere.
I costi
La previsione di spesa ufficiale era stabilita in 1,3 miliardi di dollari. Nessun costo ricadeva a carico dello Stato o delle Regioni. Ma già qui i cedimenti sono incredibili. Questa cifra riguarda solo la gestione dell’evento e viene sostenuta dalla Fondazione Milano – Cortina 2026. Ovviamente con i cospicui contributi delle Regioni interessate.
Ci sono poi le strutture. Nel dossier si scrive che siano già presenti al 92%. Troppo ottimismo, come vedremo quasi tutti gli impianti saranno rifatti, da zero. Il costo complessivo, ricavato solo da atti amministrativi istituzionali, a giugno 2023 supera i 4 miliardi e 200 milioni di dollari (DPCM 26.09.2022 e fondi regionali). Esperti affermano che si sforerà la cifra di 8 miliardi.
La sostenibilità ambientale.
Se la sostenibilità economica sembra già fallita a due anni dall’evento, quella ambientale nemmeno è stata affrontata. Il Dossier di candidatura prevedeva una Valutazione Ambientale Strategica (VAS) preventiva di tutto l’insieme delle opere, come prescritto da direttive europee e leggi dello Stato (2006), una VAS ricca di una visione unitaria. Il percorso non è nemmeno stato accennato, tanto da portare il tavolo delle associazioni nazionali a scrivere nel merito al CIO. Oggi, per gettare fumo sui media e sul CIO, vengono avviate alcune VAS locali regionali e alcune VIA su opere singole, perdendo la complessità del progetto e delle ricadute territoriali. Il tutto in assenza di preventive analisi economiche e sociali. Le opere sono per lo più commissariate, quindi soggette a deroghe a semplificazioni burocratiche che vanno sempre a danno dei territori e della democrazia partecipata. Le singole regioni, Veneto, Lombardia, Province autonome di Trento e Bolzano pretenderebbero che in soli trenta giorni cittadini e associazioni portino risposte ed osservazioni a progetti complessi che hanno avuto bisogno di oltre un anno di studi di dettaglio. In nessuno di questi si dimostra una effettiva ricaduta sociale delle opere, se non nel caso del villaggio olimpico di Milano.
La partecipazione ed il consenso.
Ogni progetto ha avuto i primi vagiti solo con il 2022. Un ritardo che sembra scientificamente studiato per evitare confronto e partecipazione democratica. Non è un caso che tutte le opere infrastrutturali siano affidate ad una S.p.A. pubblica, Infrastrutture Milano – Cortina 2026, che le opere più complesse siano state commissariate o affidate, nel caso della rete stradale, ad ANAS. Le comunità locali sono state cancellate da ogni possibilità di dibattito, laddove i progetti sono presentati al pubblico il confronto è frontale e impedisce ogni approfondimento. Anche l’obiettivo dell’evento sportivo costruito con il consenso dei territori sembra proprio fallito.
La legacy.
Il CIO si raccomanda che ognuna delle opere olimpiche abbia una ricaduta positiva sui territori per offrire un futuro ai giovani, che le diverse opere abbiano un progetto di utilizzo sostenibile nel tempo. Nessuna delle opere è stata portata a una valutazione di legacy. Vedremo, nello scorrere dei territori, come anche questo obiettivo non sia stato perseguito. Un’unica opera ha ottenuto il consenso dell’ambientalismo: la variante ferroviaria dalla linea del Brennero verso la val Pusteria (Rigatal), costo 150 milioni di euro. Grazie alla spinta degli albergatori locali è stato depennato il villaggio olimpico previsto a Livigno, portando un risparmio di oltre 30 milioni di dollari. Ma quali osservazioni hanno raccolto gli altri 4 miliardi di euro di strutture previste?