Il futuro della montagna: ritorno alle Alpi

L’editoriale di Paolo Crosa Lenz, che ringraziamo per il permesso di condivisione, sarà pubblicato su “Il Rosa” numero 3/2019

Paolo Crosa Lenz

Le Alpi stanno cambiando: cambiano il clima e il territorio, cambiano gli uomini e l’ambiente. C’è chi dice che non è vero, sono solo cicli storici, è sempre accaduto e sempre accadrà. La comunità scientifica mondiale considera invece queste tesi come sciocchezze ascientifiche, perché per la prima volta nella storia dell’umanità l’intervento umano incide sul clima. Questo accelera processi storici di lunga durata ed apre scenari nuovi: repentino regresso glaciale, aumento indiscutibile delle temperature medie, eventi meteorologici estremi. E’ nell’esperienza di ogni alpinista la percezione dei mutamenti accelerati del paesaggio alpino.

Dom e Lendspitze. Foto: Sergio Ruzzenenti

Il ghiacciaio del Belvedere, monitorato e studiato dai glaciologi di tutta Europa, è l’icona di un rock glacier (ghiacciaio di roccia). In estate la distesa di detriti che copre il ghiaccio crea un paesaggio sterile e lunare. Il ghiacciaio sottostante non si scioglie da sopra (dove la copertura detritica difende dal sole estivo), ma da sotto (dove l’aria meno fredda scioglie il ghiaccio creando le grotte subglaciali). Le esplorazioni del Gruppo Grotte del CAI Novara hanno individuato sotto il “ghiacciaio nero” ai piedi della parete est del Monte Rosa ben ventisette tunnel subglaciali.
Questo riguarda la montagna e la natura. E gli uomini? Luca Mercalli, uomo di scienza e di clima, ritiene che nel 2040 (dopodomani) Torino e Milano saranno come Calcutta: in estate città torride e invivibili. In quelle città rimarranno i poveri sempre più arrabbiati, mentre i ricchi migreranno sulle Alpi a cercare un’illusione di refrigerio. Non Alpi a fotocopia di città, ma luoghi di scoperta di una naturalità perduta e di una salubrità ambientale sempre più impossibile nelle aree metropolitane.
E’ uno scenario eticamente triste che ci parla di singolari “migrazioni interne” in epoca di migrazioni globali.
Qualcuno sostiene che il tessuto sociale delle Alpi sia fragile e non abbia un futuro (lo si diceva quarant’anni fa ed è un ritornello che non tiene conto di quanto il mondo sia cambiato). Le Alpi non sono più quelle degli anni ’50del Novecento, raccontate con orgoglio e dignità da Nuto Revelli e Plinio Martini oppure cantate dalla memoria sofferta di Cesare Pavese, non sono più terre povere e desolate, bensì luoghi di un benessere individuale invidiato nelle grandi città.
Alpi non povere, ma a volte luoghi di disagio. Questo sì, perché una nevicata prolungata oppure piogge dirompenti possono interrompere il transito di una strada o costringere a scaricare i tetti per la troppa neve. Frane, valanghe e alluvioni creano disagi, non più povertà. Questo però è compensato da un’altissima qualità di vita che fa delle Alpi una nuova “terra promessa” per gli uomini del Terzo Millennio.

I nostri giovani devono essere consapevoli di questa straordinaria opportunità delle “nuove” Alpi dove può essere di valore investire in progetti di vita e impegno di lavoro. Le Alpi devono affermare la propria identità culturale e ambientale come un’alterità rispetto all’ambiente metropolitano. E’ un tema sociologico antico quello della contrapposizione tra campagna e città, tra natura e urbanità, ma oggi si ripropone in termini nuovi come prospettiva sociale futura per la società contemporanea.
Come declinare oggi questa presunta contrapposizione? Dare una risposta, credo sia la sfida grande per le giovani generazioni. Unire la consapevolezza del bene sommo dell’ambiente alpino (una naturalità da non svendere, una ricchezza assoluta da difendere) con la possibilità concreta di nuove professioni che abbiano nello sviluppo sostenibile (sentieri e agriturismi invece di alberghi in cima alle montagne) occasioni di economia concreta e realizzabile. Forse in montagna non si diventa ricchi, ma si può vivere bene.


Nel 2013 è stato pubblicato postumo un libro di Mario Rigoni Stern, il “sergente della neve” (“Il mio capolavoro non sono i libri che ho scritto, ma i miei alpini che ho portato a casa dalla Russia”), che invito i nostri giovani a leggere. Si intitola “Il coraggio di dire no”: in esso la forza commovente della natura si coniuga con un’altissima coscienza morale. Sono le azioni e non i libri a cambiare il mondo, ma ci sono libri che confortano in scelte difficili e aiutano a seguire il sentiero giusto. In anni in cui tutti siamo chiamati a pensare ed agire per il futuro delle Alpi, alcuni “pensieri corsari” possono essere utili.

Paolo Crosa Lenz