Il futuro delle Alpi: la terza via
Dopo un inverno molto nevose per le Alpi, tornano le sirene di chi vede nella costruzione di nuovi caroselli turistici fatti di impianti di risalita il futuro delle montagne e dei montanari.
Palo Crosa Lenz si domanda se non possa esistere una terza via tra lo spopolamento e Disneyland.
Editoriale di Paolo Crosa Lenz, direttore de “Il Rosa” n° 1 2018.
E’ stato un buon inverno sulle Alpi. Tanta neve, tanti soldi per albergatori e stazioni sciistiche, un po’ di morti sotto le valanghe. E’ il bilancio di un normale inverno alpino. Tutto nella norma? Non sarà sempre così. Il futuro delle Alpi è legato ad equilibri sempre più fragili tra interventi umani ed ambiente naturale in tempi di cambiamenti climatici irreversibili. Un inverno anomalo non fa la costante, derivata da progressivi innalzamenti delle temperature medie e da estati sempre più calde e aride che provocano crolli di rocce da montagne sempre più sofferenti.
Lo ha capito bene un vecchio uomo buono e vestito di bianco che ha scritto una lettera enciclica sulla “casa comune”. Ho riletto di recente quella “lettera” che andrebbe studiata a scuola. Francesco dice: “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla.”
La seconda metà del Novecento ha visto le Alpi, sia quelle ricche (i grandi caroselli di funi e cemento) che quelle povere (i villaggi desolati dell’abbandono) percorrere due strade. Una è quella della riduzione a museo delle memorie del buon tempo andato, della conservazione di tradizioni e costumi da esibire nelle fiere (il buon selvaggio ai tempi di internet).
L’altra è quella della “periferia metropolitana”, dove riprodurre modelli di divertimento cittadini in una grande discoteca (il cameriere d’alta quota).
Esiste una “terza via”? Cosa diciamo ai nostri giovani affinché possano credere in un futuro per queste “terre alte” che noi tanto amiamo e speriamo possano essere luogo di crescita e felicità per loro e i loro figli? Una risposta va data, magari faticosa e dolorosa, ma ancor di più coraggiosa.
Un’ancora è ancora Francesco (Laudato si’, V, 173): “Urgono accordi internazionali che si realizzino, considerata la scarsa capacitò delle istanze locali di intervenire in modo efficace.” Questa sferzata vigorosa nobilita le politiche europee di tutela della natura (le famigerate e incomprese aree SIC e ZPS) e condanna le visioni locali che considerano le Alpi un salvadanaio da cui prendere soldi. Il valore della montagna è la natura, non il luna park.
La speranza delle Alpi sono i “nuovi montanari” : i nostri figli, non necessariamente coloro che vengono dalle città. Essi sfidano le leggi della “gravità sociale”, perché salgono in alto contro le leggi della fisica e dell’economia. Un recente libro (E. Camanni Storia delle Alpi, 2017) così sintetizza : “Il nuovo montanaro porta linfa vitale perché ha deciso liberamente di vivere in un ambiente difficile, spinto da una motivazione etica ed ecologica. E’ montanaro per vocazione, non per nascita o punizione. Probabilmente sarà l’unico abitante delle Alpi di domani.”
I nostri monti non come un castigo, ma come luogo di libertà e di felicità. Una “casa comune” da costruire con altri uomini e dove convivere con gli animali selvatici, gli alberi della foresta, i fiori delle praterie.
Cosa altro possiamo offrire di più bello ai nostri figli?
Paolo Crosa Lenz