La massa in vetta, il rischio in agguato

Il premio giornalistico Vittoria Sella è stato istituito nel 1997 per ricordare la prematura scomparsa di questa grande amica di Mountain Wilderness; riservato ad articoli su temi di ambientalismo alpino, è stato assegnato nel gennaio 1998 a Venezia da una giuria presieduta da Fosco Maraini.
Riportiamo di seguito il testo dell’articolo primo classificato, pubblicato sulla rivista Mountain Wilderness 1/1998.

L’articolo anticipa temi strettamente legati a società securitaria e alpinismo, da sempre cari a Mountain Wilderness

In montagna non ci sono garanzie di incolumità per nessuno. Lo dimostrano i morti del Gran Zebrù. Eppure c’è una forte corrente di pensiero che da anni sta promuovendo un processo di deresponsabilizzazione individuale dalle conseguenze imprevedibili. Questo processo è figlio del business delle vette e di un concetto distorto di democrazia. Tutti devono andare dappertutto, perché altrimenti la montagna diventa elitaria. E invece la montagna deve essere di massa, come la società in cui viviamo. E’ noto che una corretta valutazione dei propri limiti e delle incognite oggettive del terreno su cui si intende muovere è figlia innanzitutto della consapevolezza di dover contare sulle proprie forze. Non a caso tutti i grandi alpinisti sono degli individualisti al limite del patologico. I processi di emulazione di questi modelli su scala più ampia, si sono invece tradotti – curiosamente – nel loro esatto contrario. Si è assistito cioè ad un processo di socializzazione del coefficiente di rischio che è cresciuto di pari passo con il numero di frequentatori delle vette. Oggi spetta infatti alla collettività allestire una rete di sicurezza che consenta di mantenere il rischio entro margini socialmente accettabili. Le capacità indivuduali contano sempre meno. Ed è inevitabile che sia così, perché quanto più cresce il numero dei frequentatori occasionali – per motivi di business – tanto più il livello tecnico medio è destinato ad abbassarsi. Portare la massa in montagna ha dunque un costo, sia economico che in termini di vite umane. La domanda ora è questa: fino a che punto ha senso sostenere questo processo dal punto di vista etico, culturale e, appunto, economico?

Verso il Wasenhorn. Foto: Sergio Ruzzenenti

La risposta è semplice: superata una certa soglia non ne ha più. E probabilmente questa soglia è pericolosamente vicina. E’ notizia di queste settimane la proposta del soccorso alpino dell’Avs di installare sulle montagne altoatesine colonnine di soccorso simili a quelle in funzione sulle autostrade, un prototipo è già stato installato lungo il sentiero che porta al Collalto, una delle cime più aspre delle Vedrette di Ries. Sepp Hoelzl, il gran capo del soccorso dell’Avs vorrebbe installare questi totem di acciaio alti tre metri lungo ogni sentiero situato ad almeno due ore di cammino da un rifugio. “Per tutelare la sicurezza del turista”, dice. Ogni colonnina costa 10 milioni e seguendo le direttive dell’Avs ne servirebbero circa 4000, per un investimento totale di circa 40 miliardi. Fatta salva la buona fede del proponente, la proposta è demenziale. Da tutti i punti di vista. Dal punto di vista economico si commenta da sé, dal punto di vista etico e culturale sarebbe gravemente irresponsabile.

Verso il Wasenhorn. Foto: Sergio Ruzzenenti

Sicuramente piacerebbe alle aziende di soggiorno che potrebbero vendere sempre di più e sempre meglio la grande mistificazione dell’”avventura per tutti”, quella senza rischi. Al contrario le colonnine sarebbero l’apoteosi di quel processo di deresponsabilizzazione del singolo di cui abbiamo parlato prima. Posizionate alla base degli itinerari più isolati (come in effetti si intenderebbe fare), darebbero la mazzata finale a quel poco di pudore che ancora è rimasto nei tanti frequentatori occasionali delle vette che già oggi si sentono le spalle coperte dal telefonino. Indubbiamente i totem salverebbero la vita a qualcuno, contribuendo però in modo sostanziale a mandarne al macello molti di più, magari da qualche altra parte fuori dalla provincia di Bolzano. Vittime inconsapevoli di un’esperienza che non hanno e che credono di avere, di una preparazione che non hanno e che credono di avere, di un’umiltà che non hanno e che nessuno gli ha mai insegnato.

Mauro Fattor