La pena di morte per gli orsi è una soluzione? Di sicuro siamo lontani dalle leggi della natura

Dal Blog a cura di Mountain Wilderness su Il Fatto Quotidiano.

Ci sono attività sportive nelle quali il rischio di un incidente mortale viene messo in conto. I piloti di Formula 1 o i motociclisti, chi pratica il base jumping, gli stessi alpinisti che affrontano pareti verticali al limite dell’impossibile sono consapevoli di questa eventualità, anche se si cerca di ridurre al minimo i fattori di rischio.

Andrea correva lungo i sentieri, era un runner, non si aspettava certo una fine così atroce e violenta. Per certi versi è come un infortunio sul lavoro o un incidente stradale, può essere frutto di una disattenzione, di un errore umano o di un fattore imponderabile, sta di fatto che accade. Mettiamo in atto tutte le possibili precauzioni, ma accade quando meno te lo aspetti ed è troppo tardi.

Probabilmente nemmeno l’orso se lo aspettava. Non è un animale aggressivo, lo diventa quando si sente minacciato, a torto o a ragione, è dotato di dimensioni e di armi naturali tali da diventare pericoloso, non siamo in grado di difenderci; non è cattivo, la cattiveria è una prerogativa tipicamente umana, segue un istinto, nulla di premeditato.

Il simbolo del Parco Adamello-Brenta è proprio l’orso. Incontrarlo non è certamente frequente, ma è possibile. Ricordare che le probabilità di un evento simile sono molto basse non serve a nulla, soprattutto non rincuora i familiari e gli amici che hanno perduto un affetto. E non offre soluzioni.

All’epoca della Convenzione di Berna del 1979 il problema era diverso: difendere l’orso dall’uomo, e non viceversa. “Se fino al XVII secolo la presenza dell’Orso bruno sulle Alpi era ancora abbondante e diffusa, dal secolo successivo il progressivo disboscamento e la trasformazione agricola delle aree montane, sommati alla costante persecuzione dell’uomo, hanno determinato la progressiva rarefazione della specie. Alla metà del XX secolo l’orso era estinto in quasi tutte le Alpi, ad eccezione del piccolo nucleo residuo del Trentino occidentale, anche questo interessato però da un progressivo calo numerico che lo portò quasi all’estinzione alla fine degli anni ’90, quando fu quindi iniziato il programma di reintroduzione” (AA.VV., 2010 – Piano d’Azione interregionale per la Conservazione dell’Orso bruno nelle Alpi centro-orientali – PACOBACE. Quad. Cons. Natura, 33, Min. Ambiente – ISPRA). La reintroduzione degli orsi in Trentino tra il 1999 e il 2002 da un lato ha sortito l’effetto sperato riportando la popolazione all’attuale numero di circa un centinaio di esemplari, dall’altro ha riproposto le antiche difficoltà di convivenza alle quali non si era più abituati da tempo.

Gli strumenti a disposizione per la gestione degli orsi “problematici” prevedono in casi estremi anche l’abbattimento dell’animale, non staremo qui a disquisire su chi è favorevole o contrario ad una pena di morte che è istituzione del tutto umana e non esiste nel mondo animale, regolato invece da quelle leggi della natura che di frequente non comprendiamo essendoci sempre più allontanati da essa. La montagna non è solo un paesaggio ma anche e soprattutto un ambiente naturale, del quale spesso dimentichiamo le regole cercando di piegarle ai nostri più o meno legittimi interessi; quando non ci riusciamo, il risultato assume i contorni della disgrazia. Come in Marmolada lo scorso anno, come oggi, come ancora purtroppo succederà.

La deportazione o lo sterminio degli orsi è una soluzione? Lasciamo il dibattito agli esperti veri e a quelli presunti tali, che esternano le loro convinzioni attraverso i libri o le pagine dei giornali. Certo dovremmo sterminare non solo orsi e lupi ma anche le vipere ed altri animali pericolosi, perfino i rottweiler e i pitbull che alcuni scelgono come compagni di vita pur essendo protagonisti sulle cronache di tragedie anche mortali.

Ora si cercano le responsabilità. Il PACOBACE rappresenta il documento di riferimento dello Stato Italiano e di Regioni e Province Autonome in materia di gestione e conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi, anche in relazione ai criteri e procedure d’intervento in situazioni critiche e d’emergenza. Sta agli Enti preposti cercare di dare attuazione ai suoi contenuti e di dare risposte, se possibile non solo sul piano emotivo ma anche scientifico. Purtroppo da anni questo progetto è stato abbandonato dalla politica locale, l’area protetta non ha più guardiaparco, mancano i controlli (solo tre orsi hanno il radiocollare), non si è investito in educazione ed informazione.

Nel frattempo piangiamo la morte di un ragazzo, che correva in montagna.