La pubblicità e il futuro dell’uomo-macchina
Pubblichiamo l’articolo di Franco Michieli di Mountain Wilderness N.1 2017.
Le foto di natura selvaggia o di auto in corsa negli stessi elementi sono immagini ingannevoli che toccano nel vivo la nostra filosofia “wilderness”.
Nei prossimi anni avverrà un ulteriore mutamento radicale nello stile di vita dell’umanità, seguendo la tendenza che lungo le epoche preistoriche e storiche ha portato l’uomo a distaccarsi sempre più dalle capacità del proprio corpo, sostituite dal potere delle protesi tecnologiche. Tutto cominciò circa 70.000 anni fa, quando l’uomo si scoprì capace di costruire armi da caccia e quindi di confezionare abiti e calzature in pelle di animali; con queste dotazioni, poté lasciare le foreste calde e irradiarsi nei continenti, tra faune sconosciute e climi altrimenti invivibili. Non possiamo snobbare un uso equilibrato delle protesi: senza di esse non esisteremmo più, e tantomeno potremmo frequentare l’alta montagna col solo corpo nudo. Eppure, nel difendere la relazione con la wilderness, oggi più che mai stiamo facendo i conti con questa caratteristica umana: saper costruire oggetti e macchine che “prolungano” il corpo e il suo potere, senza che la mente sia in grado di potenziare in egual modo la propria consapevolezza di come usare quel potere. Il risultato è la dismisura del nostro agire, l’incapacità di metterci dei limiti, e di proteggerci da noi stessi.
Se negli ultimi 25 anni si è celebrato il più clamoroso distacco della storia dal corpo e dalla realtà, sostituiti dalla virtualità della rete che tiene catturata almeno mezza umanità, e presto tutta, e a cui si accede solo con un dito e con la mente, presto si toglierà anche quel dito.
Entro pochi anni, lo si dà per certo, l’uomo smetterà anche di guidare le proprie macchine, che saranno condotte dalla tecnologia del Web. Verranno meno anche molti degli ultimi gesti fisici della vita domestica, perché vi provvederanno dei robot.
L’errore è pensare che sia sufficiente “usare bene” e con “moderazione” questi mezzi perché la vita continui come prima, solo migliore. Al contrario, passare dal rapporto continuo del corpo con la materia percependo tutti i limiti dell’essere vivente, a una vita cerebrale dove tutto pare possibile, è cosa che modifica drasticamente l’essere umano, il suo pensiero, la sua coscienza, i suoi modelli.
Ma è poi vero che tutti vorremmo smettere di “guidare” e abbandonarci all’automatismo? Certo che no. Per questo è iniziata una campagna mondiale di marketing, per ora su iniziativa della case automobilistiche, volta a imporre il nuovo traguardo. Mentre prima la pubblicità delle auto verteva sul “piacere di guidare”, di colpo si è spostata a un livello ben più ingannevole, che tocca nel vivo la nostra filosofia della wilderness. Nelle pubblicità attuali si alternano immagini di natura selvaggia, con persone e spesso bambini a contatto con la neve, la terra, i grandi spazi, e immagini dell’auto in corsa negli stessi elementi, imponendo l’idea che le prime coincidano con le seconde, ovvero che l’auto percepisca le stesse sensazioni di quei bambini per conto dell’uomo che vi siede dentro. È il primo passo; una volta acquisito dal pubblico, il messaggio diverrà più esplicito.
La frontiera che ci troviamo di fronte è dunque il tentativo di assegnare alle macchine la sensibilità umana, e di spingere l’uomo a usarle ovunque al posto del proprio corpo e dei propri sensi. È facile prevedere come questo influirà sulla fruizione della wilderness. Siamo condannati alla sconfitta?
No, non è detto. Talmente smisurato è questo passo, che forse non avrà il successo cui aspira. Io constato, in esperienze in giro per montagne, che molti non vedono l’ora di spegnere i cellulari e riscoprire giornate di silenzio e di immersione corporea nella natura. Occorre lavorare su questo.
Franco Michieli