La rivolta di Courmayeur e la scissione implacabile tra sviluppo e bellezza

Da l’Amaca di Michele Serra del 11/10

A Courmayeur (AO), diversi importanti cantieri sono attualmente in fase avanzata di realizzazione ed enormi palazzi che superano i dieci piani destinati ad uso alberghiero e residenziale stanno spuntando nella frazione di Entrèves e sulla Strada Regionale, quella che conduce alla zona pedonale del centro storico. Un processo di urbanizzazione che sta creando malumori e proteste, soprattutto per lo scarso rispetto del paesaggio che gli abitanti imputano a costruttori ed architetti responsabili dei recenti progetti edilizi.

Si legge dei timori di alcuni influenti abitanti di Courmayeur circa nuovi condomini, nuovo cemento, nuovo “sviluppo”, nuova perdita di integrità (ovvero di identità) ambientale e paesaggistica.

Colpisce, e ahimé stupisce, che nel 2018, dopo tutto quello che è successo non solo in Valle d’Aosta, ma nell’arco alpino quasi al completo, ci sia ancora qualcuno che ritiene utile far sentire una voce di dissenso: come se non fosse già tutto accaduto, come se fosse ancora reversibile uno snaturamento durato più di mezzo secolo, violento, metodico, tenace, che ha portato benessere insieme a bruttezza, quattrini insieme a svendita di territorio, e di anima.

Io vivo in Appennino, una specie di gigantesca catena minore, dal Cadibona a Scilla, meno turistica delle Alpi, meno sfruttata, meno antropizzata, e forse ancora intatta in molte parti proprio perché dimenticata. È tremendo, ma inevitabile, constatare che laddove lo sviluppo si è bloccato, la bellezza è intatta.

E viceversa. Tragica colpa della mia generazione e della precedente (gli italiani della seconda metà del Novecento) è stata la scissione implacabile tra sviluppo e bellezza, tra economia e anima. Come se fosse impossibile tenerle insieme.

Di qui la nostalgia reazionaria per la montagna povera e abbandonata; in opposizione alla crapula “modernista” di uno sviluppo edilizio folle, volgare, invasivo, che ha arricchito molti indigeni ma impoverito i paesaggi, le culture locali, lo spirito di comunità. Trovare una sintesi convincente, e applicabile, tra sviluppo e bellezza, salverebbe l’Italia e gli italiani.