La tutela dell’Alpe Devero

Pubblichiamo l’intervento di Luca Mozzati ai Sustainable Outdoor Days della Milano Montagna Week del 2019. Il titolo della conferenza era Beni Comuni e Alpe Devero.
Luca Mozzati, storico dell’arte e alpinista, frequenta da 40 anni l’Alpe Devero di cui ne è profondo conoscitore.

L’Alpe Devero è un luogo meraviglioso nel quale, per adesso, la tutela è esercitata solo attraverso gli strumenti che possediamo, vale a dire la legislazione italiana, regionale e comunale, e la legislazione europea: queste non affrontano le tematiche legate ai Beni Comuni, ma sono esclusivamente collegate alla difesa ambientale.

L’Alpe Devero ha cominciato a essere protetta 24 anni fa, assieme alla contigua Alpe Veglia, con l’istituzione di un parco regionale. E’ un luogo che per natura, struttura, vocazione e per bellezza si presta al tipo di turismo che è stato chiamato “dolce”. Ci sono solo tre microscopici impianti, le auto si fermano a un parcheggio sito prima dell’ingresso all’Alpe e quindi, dal parcheggio in poi, è un sostanziale “liberi tutti” per chi vuole camminare. L’Alpe Devero è nell’angolo più settentrionale del Piemonte, in zona Passo del Sempione e al confine con la svizzera Val Bedretto.

L’area protetta istituita nel 1995 abbraccia delle zone di struggente bellezza, nelle quali la natura è assoluta protagonista. Spazio e silenzio sono dimensioni che coloro che vi si recano vogliono proprio cercare. Un luogo dunque necessario al benessere personale, per ritemprare lo spirito; necessario a crescere. Soprattutto per esercitare quei diritti vitali che sono garantiti dalla nostra Costituzione.

Il parco è compreso tra due grandi valli, la val Divedro e la val Antigorio, nel territorio dei comuni di Varzo, Trasquera, Crodo e Baceno. Dalle sua cime si può avere una vista grandiosa sui Quattromila del Vallese. Per motivi politici il parco ha avuto una precisa delimitazione, ma intorno ad esso si è creata una zona tecnicamente detta “di salvaguardia” che beneficia degli stessi vincoli di tutela. Attualmente dunque parco+zona di salvaguardia formano un’area molto vasta, di bellezza straordinaria, che anche un piano paesistico realizzato alla fine degli anni Novanta da un architetto del Politecnico di Milano ha messo sotto tutela per i suoi valori di architettura e urbanistica tradizionale. Questi vincoli hanno permesso a questo luogo di rimanere una perla assoluta in tutto l’arco alpino.

Una novità recente è stata che grazie al direttore uscente del parco, Paolo Crosa Lenz (che purtroppo quest’anno ha terminato il suo mandato, probabilmente senza possibilità di essere rieletto), nel settembre 2019 è stato istituito un gemellaggio con il Parco Paesaggistico della Valle di Binn, in territorio svizzero, realizzando in questo modo il terzo parco transfrontaliero in Italia (il primo è del 1987, unione di Parc national du Mercantour e Parco delle Marittime; il secondo è del 2018, tra Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie e il Parco nazionale sloveno del Triglav).

La Piana dell’Alpe Devero

Questo sottolinea la grande importanza che l’area ha a livello internazionale, perciò ci fa sperare in un aumento dei vincoli di tutela. Fauna e flora, sempre grazie alla protezione, hanno grande diffusione e varietà di tipologie. E’ possibile incontrare, con una certa facilità, molti esemplari di animali protetti proprio perché le aree in cui essi vivono sono state dichiarate in sede europea ZPS (Zone Protezione Speciale) o SIC (Siti d’Interesse Comunitario). Queste sono un’ulteriore garanzia contro qualunque intervento antropico. SIC e ZPS proteggono flora, fauna e tutte quelle forme di biodiversità, più o meno visibili, che oggi la stragrande maggioranza degli scienziati ritengono fondamentali per la salvaguardia di quel delicatissimo ecosistema che, come ormai tutti sappiamo anche se non sempre ammettiamo, è in gravissimo pericolo. Le foto che vi sto mostrando sono quelle che può fare un innamorato di questi posti: ma di certo danno l’idea di come si possa parlare, in questo caso, di Bene Comune. Più aumenta in noi questa consapevolezza e più abbiamo possibilità di salvaguardare ciò che è minacciato. Per fortuna ho qualche amico bravo fotografo. Non tutti siamo capaci di realizzare immagini di questo tipo, ma tutti siamo in grado di apprezzare ciò che ci fanno vedere. Qui per esempio siamo a cinque minuti dal parcheggio: non ci sono grandi infrastrutture, o grandi alberghi. Il pilone che vedete là in fondo è il residuato di una centralina idroelettrica dell’ENEL degli anni Trenta, quando gli operai, per non dover camminare 15 minuti, avevano diritto di andare in teleferica… Oggi queste cose non succedono più. Se vogliamo questo è un residuato di un piccolo privilegio.

Negli ultimi tempi è tornato il gipeto, altro animale straordinario. Naturalisti, birdwatcher e fotografi apprezzano questo patrimonio paradisiaco non meno di camminatori, ciaspolatori, scialpinisti, arrampicatori e quant’altro.

Parco Veglia-Devero. Foto: Toni Farina

Abbiamo un piano paesaggistico regionale. Le regioni devono infatti recepire una legge dello Stato che impone la costituzione di un piano paesaggistico che specifichi, regione per regione, quali sono gli obiettivi della tutele e dello sviluppo sostenibile. La Regione Piemonte nel 2017 ha approvato un piano paesaggistico molto ben fatto che, tra le mille norme che ha, ha pure quella per cui non si possono scavalcare con impianti i crinali delle montagne oltre a una certa quota. Se voi foste tra coloro che, al posto di andare all’Alpe Devero per goderne la bellezza, ci vanno per immaginare quanti impianti ci possono costruire, quanti alberghi ci possono edificare, quanti bar si possono aprire, è chiaro che andreste a pensare che questi crinali rappresentano un malaugurato ostacolo per collegare una valle con l’altra. Può sembrare incredibile a un pubblico accorto e che vive nel 2019, ma purtroppo è quello che sta per succedere. Esiste il progetto Avvicinare le Montagne per svalicare questi crinali e per trasformare quel patrimonio che vediamo in un qualcosa di diverso. Responsabili di questo sono proprio quelle amministrazioni pubbliche che gestiscono le proprietà comunali e che cercano di sviluppare l’economia del luogo. Queste amministrazioni, che nella fattispecie sono quelle dei quattro comuni sopra citati e la provincia Verbania-Cusio-Ossola, si inventano un progetto di sviluppo, “ovviamente” ecosostenibile (ma sapete che oggi questa parola è troppo sulla bocca di tutti), che in realtà interferisce con tutte le normative di tutela che abbiamo citato prima, quindi con quelle comunali, regionali, nazionali ed europee, per realizzare una serie di infrastrutture che, nella logica del piano proposto, andrebbero a garantire il benessere economico e lo sviluppo ad infinitum della zona. Quindi, quello che per noi è un paradiso, perché privo di antropizzazione, per altri può essere un paradiso perché, non essendoci nulla, possono costruirvi quello che vogliono.

Fino a che non avremo una legislazione in grado di bloccare queste minacce, il pericolo ci sarà sempre. L’accordo territoriale che ne prevede lo sfruttamento è stilato dalla provincia VCO e dai quattro comuni, con l’appoggio tecnico di una società privata. Le conseguenze potete immaginarle da soli, non ho tempo qui per descriverle una per una. Questa è la tipologia di uno degli impianti che verrebbero realizzati:

Si tratta di un impianto esaposto, 2.400 persone allora (forse neppure Cervinia ha delle stazioni così). La stazione centrale è lunga 60 m, le due stazioni intermedie sono lunghe 20 m. Realizzando una proiezione rendering, vediamo quanto l’attuale pista del vecchio impianto verrebbe trasformata, con taglio di bosco, ampliamento, livellatura dei pendii, costruzione di bacini artificiali per l’innevamento programmato, adattamento per le discese in mountain-bike. Sulla cima del Monte Cazzola, oggi facile gita per camminatori ma anche meta scialpinistica beneamata da migliaia di persone perché effettuabile con qualunque condizione di innevamento, è previsto il luminoso arrivo di una seggiovia. Vi risparmio, perché magari tra il pubblico c’è qualche anima impressionabile, le piattaforme per punti panoramici che hanno pensato di costruire. Oggi qui c’è il silenzio, lo spazio: sono dimensioni che nel nostro mondo cittadino sono difficili da trovare. E siamo a un’ora di cammino dall’auto, a due ore da Milano, un po’ di più da Torino. Un polmone straordinario. La cima del Monte Cazzola ha un panorama bellissimo, ma potete immaginare cosa succede quando la stessa sia invasa dalla seggiovia e dalle altre infrastrutture. Immaginate la musica dagli altoparlanti, il clamore che viene prodotto dagli sciatori: una forma di inquinamento devastante. Se questo è disturbo per gli umani, figuratevi il disturbo alla fauna. Gli attuali microimpianti verrebbero sostituiti e prolungati tramite un’unica risalita al Monte Cazzola, per collegarsi quindi con l’attualmente immacolata val Bondolero e quindi ancora con quell’impianto, attualmente fuorilegge per via del vincolo dei crinali, proveniente dalle piste di San Domenico. La nuova amministrazione regionale piemontese ha già promesso di cambiare il piano paesaggistico del 2017, così potranno costruire una funivia nuova dal val Divedro. Il piano è in fase di valutazione ambientale strategica, la funivia è attualmente stralciata perché non potrebbe mai essere accettata. Quando il piano sarà approvato, chissà mai che anche la funivia possa trovare il suo spazio. Gli estensori del piano sono molto convinti al riguardo della sua pretesa ecosostenibilità. Questa è una citazione: “L’idea promossa nell’accordo territoriale utilizza il comprensorio esistente tra San Domenico, Varzo e Devero come occasione di ristrutturazione e integrazione in un progetto turistico strutturato ed ecosostenibile”. Per ciò che riguarda gli impianti già costruiti, grazie alla VINCA (Valutazione Incidenza Ambientale) i progettisti hanno dovuto garantire una serie di compensazioni e risarcimenti per quello che già vediamo oggi. E questa è la prova che l’impatto c’è e anche significativo. Il loro progetto è una vera privazione per noi, per coloro che qui non sono mai stati, per gli animali. E’ una sofferenza per ciò che vediamo sparire inghiottito nella cosiddetta ecosostenibilità. Per un luogo che farebbe volentieri a meno dell’essere umano, convinto d’essere il signore del pianeta.

Il Comitato di Tutela dell’Alpe Devero, nato allorché è stato reso pubblico il piano d’intervento, ha lanciato una petizione su Change.org che ad oggi ha raccolti 90.000 firme. Non si tratta di uno scherzo, se pensate che una petizione ambientalista normalmente non va oltre le 40.000. Si tratta di 90.000 individui come noi, che hanno saputo che questo progetto rovinerebbe un luogo e vi si vogliono opporre, sia questo un posto vicino a casa nostra o lontano. Concludo con ciò che dice l’articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica; tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. In più vi riporto una sentenza della Corte Costituzionale che sottolinea la primarietà del valore culturale che non può essere subordinato ad altri valori ivi compresi quelli economici.

Nell’ultimo anno 180.000 persone hanno raggiunto l’Alpe Devero. Vi si sono recati perché quel luogo è incontaminato e non omologato ad altre località alpine molto più compromesse.

L’Alpe Devero appartiene a tutti e come tale va conservata.

Luca Mozzati