La tutela dell’orso marsicano

La situazione attuale dell’orso bruno marsicano appare preoccupante e questo è il momento opportuno per intervenire in modo deciso prima che il quadro generale diventi critico. I punti cardine su cui ho articolato la mia analisi, avendo partecipato al primo convegno scientifico interamente dedicato alla popolazione di orso appenninico sul tema “Orso bruno marsicano: verso una strategia di conservazione integrata”, sono i seguenti:
1) EVITARE LA PERDITA DI IDENTITA’
Secondo l’ IUCN/SSC BEAR SPECIALIST GROUP si dovrebbero attuare piani di traslocazione di esemplari selvatici provenienti da popolazioni il più vicino possibile da un punto di vista geografico, trasferimenti quindi dalle zone Alpine di orsi sloveni o croati. Ciò potrebbe sembrare la soluzione più semplice ma non occorre l’occhio di un osservatore attento per capire che è un’opzione figlia di chi non ha a cuore il destino di questa specie. La perdita di identità dell’orso bruno marsicano sarebbe in tal caso la naturale conseguenza. Lo studio del genoma completo ha rivelato la straordinaria e complessa storia evolutiva di questa piccola popolazione: diversità nei geni del sistema immunitario e olfattivo, e specifici aspetti morfologici e comportamentali. I genomi sono stati sequenziati utilizzando campioni ematici raccolti da animali catturati a scopo di ricerca nel PNALM. Analizzando con maggiore dettaglio i genomi, si è scoperto che in alcune regioni l’orso appenninico non ha subito alcuna perdita di variabilità. La sopravvivenza dell’orso appenninico è legata ad un processo particolare di selezione, detto bilanciante, che ha permesso di mantenere alti livelli di variabilità a questi geni. Inoltre, alcune mutazioni, dannose in altre popolazioni, si sono diffuse nell’orso marsicano favorendone il differenziamento da altri orsi e forse anche contribuendo alla sua sopravvivenza.


2) CONSERVAZIONE EX SITU
Tra le misure per proteggere questa importante sottospecie nel 2013 per la prima volta si è proposto di valutare una conservazione ex situ. Al fine di aumentare il numero di esemplari e mantenere la variabilità genetica si è avanzata l’ipotesi di crioconservare il seme e favorire l’allevamento in cattività. Questo appello non ha riscontrato però particolare consenso finora e ciò non è certamente un buon segno data la scarsa consistenza numerica degli esemplari (circa 50). Non è accettabile che, di fronte alla possibile perdita di questa popolazione endemica, si possa pretendere di bloccare a priori un progetto di conservazione ex situ. Questo tipo di conservazione permetterebbe la creazione di nuclei di femmine riproduttive in altre aree protette, partendo da un primo nucleo che poi potrebbe fornire le femmine necessarie ad una colonizzazione stabile.
3) RETI DI MONITORAGGIO E SVILUPPO PIANO DI CONSERVAZIONE
L’Orso bruno è uno dei mammiferi maggiormente tutelati dalle norme sia a livello nazionale che europeo; considerato “particolarmente protetto” dalla Legge n.157/92, fin dal 1979 compare nell’elenco delle specie rigorosamente protette dalla Convenzione di Berna e la Direttiva “Habitat” (Dir.92/43/CEE, recepita in Italia dal D.P.R. 357/97 e ss.mm.ii.) lo include fra le specie di intesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa.
La piccola popolazione dell’Appennino, identificata dal medico molisano Altobello nel 1921, è rimasta isolata per un lungo periodo dagli orsi delle Alpi e del resto d’Europa e pertanto si è differenziata, sia per morfologia che per genetica, dando origine ad una entità endemica: l’Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus).
La consistenza numerica si è andata progressivamente riducendo negli ultimi due secoli fino ad arrivare ai circa 50 individui di oggi, diffusi fra il Parco Nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise (area di presenza stabile) e l’areale periferico, che si estende fino ai monti Sibillini a nord e al Matese a sud; nel Lazio l’areale periferico o area di presenza occasionale delle specie, è costituito dal comprensorio “Montagne della Duchessa – Cicolano” fino al Massiccio del Terminillo e dalla Catena dei Monti Simbruini-Ernici. Una popolazione così esigua rende l’Orso bruno marsicano una delle specie a maggior rischio di estinzione in Europa (classificata come Endangered nelle categorie di minaccia elaborate dall’International Union for Conservation of Nature).
4) RIDURRE LA MORTALITA’
Tra le cause di morte degli orsi si annoverano l’avvelenamento, l’uccisione con arma da fuoco, cause sanitarie, incidenti stradali. A queste va aggiunta la morte per cause naturali tra cui l’infanticidio. Ancora oggi la mortalità dovuta ad attività antropiche illegali rimane diffusa e gli sforzi di contrasto a tale minaccia messi in campo nei passati decenni si sono dimostrati sostanzialmente inefficaci.
La mortalità indotta dall’uomo rappresenta indubbiamente la principale minaccia alla sopravvivenza dell’orso marsicano, considerando anche la ridotta consistenza e variabilità genetica della popolazione. Gli orsi si riproducono con ridotta frequenza, a causa del notevole investimento parentale: le femmine partoriscono la prima volta non prima di 4-8 anni di età, le cucciolate in media non hanno quasi mai più di 2-3 cuccioli e l’intervallo tra parti successivi è compreso fra 3 e 5 anni


5) CONSERVAZIONE E BANCA GENETICA
L’orso è una specie che per la sua sopravvivenza ha bisogno di territori molto ampi. Diversi sono gli indizi che fanno ipotizzare che la popolazione del PNALM possa essere prossima alla capacità portante (ovvero il numero massimo di orsi che il parco può sostentare): l’ampia sovrapposizione dei territori dei maschi e delle femmine con aree a regime di protezione minore, l’elevato grado di sovrapposizione osservato fra gli orsi e le elevate densità osservate (3.5 orsi/100 km2). Risulta fondamentale, ai fini della conservazione della popolazione, favorire la sua espansione e il conseguente insediamento stabile al di fuori del Parco. Considerato che il PNALM cattura ogni anno un certo numero di orsi per dotarli di radiocollari o per sostituire quelli ormai inutilizzabili, se si fosse intrapresa questa strada, oggi avremmo già una adeguata banca genetica: basterebbe inserire nel protocollo di cattura anche il prelievo di liquido seminale assieme ad altri tessuti. L’esiguità dei numeri la espone al rischio di un repentino e brusco calo, ad esempio in caso di una patologia epidemica aggressiva. Questo ed altri eventi demografici possono a lungo andare far perdere ulteriore variabilità genetica. Non avere una banca genetica significa NON POTER TENTARE UN RECUPERO di questa nel caso di eventi catastrofici. Le linee guida sono tracciate: è doveroso seguirle per mettere al sicuro il patrimonio genetico del nostro orso appenninico, una sottospecie UNICA al mondo.

Andrea Viola