L’accesso limitato alla natura durante il lockdown è dannoso per la salute, oltre che ingiusto

Cogliamo l’occasione di un articolo condiviso dalla newsletter di MW France, per coinvolgere soci e lettori in un dibattito che si è scatenato anche all’interno di MW Italia e che ha visto dialogare posizioni diverse.

Una sintesi dell’articolo di Reporterre, le quotidien de l’écologie

Durante il primo lockdown, il divieto di accesso agli spazi naturali è stato fortemente contestato. Con la seconda ondata, si applicano le stesse restrizioni, senza nessuna considerazione in merito ai benefici per la salute delle passeggiate nella natura.

Con il nuovo lockdown, comiciato venerdì 30 ottobre, si ripresenta il tema dell’accesso agli spazi naturali. La scorsa primavera, la questione ha innescato un acceso dibattito nella società francese. Una petizione lanciata su Reporterre “per un accesso responsabile alla natura” aveva raccolto più di 160.000 firme. Molti parlamentari, tra cui l’ex ministro dell’ambiente Delphine Batho, hanno sostenuto la petizione, sottolineando che la privazione della natura potrebbe avere conseguenze negative sul morale e sulla salute dei francesi e che una passeggiata solitaria, all’aria aperta, non rischia in alcun modo di diffondere il virus.

Le nuove disposizioni prevedono che per potersi spostare, i francesi devono avere l’autocertificazione, non possono superare il raggio di un chilometro intorno alla loro casa e possono farlo solo per la durata di un’ora. L’annuncio ha creato nuove polemiche. A che serve aprire foreste, montagne e spiagge se si vuole limitare l’accesso ai soli residenti locali e con così tanti vincoli? Chi ne sarà veramente colpito?
“Ancora una volta, il governo dimostra fretta e improvvisazione. Non avendo ascoltato abbastanza i pareri scientifici sul rischio e l’entità di una seconda ondata, predilige misure semplici e rapide ma prive di logica sanitaria e disuguale, analizza la Guida Alpina Billy Fernandez.

Sono sempre più evidenti gli effetti deleteri di un confinamento senza possibilità di frequentare la natura che contribuiscono ad aumentare la depressione, lo stile di vita sedentario e i comportamenti che creano dipendenze. Molti scienziati e medici hanno anche dimostrato che il contatto con la natura ha un effetto benefico sul rafforzamento del nostro sistema immunitario, riducendo lo stress e l’ansia. Alcuni ricercatori affermano addirittura che una dose giornaliera di natura può prevenire e curare molti disturbi della salute.

Anche il deputato Matthieu Orphelin ha deplorato “una regola troppo discriminatoria”, sottolineando l’accesso diseguale agli spazi naturali: non tutti hanno la fortuna di vivere sulla costa o ai margini dei boschi. La scelta di limitare gli spostamenti a un chilometro rischia di alimentare una forma di ingiustizia. I residenti dei quartieri popolari nel nord di Marsiglia, ad esempio, saranno privati del Mar Mediterraneo per un mese, mentre i benestanti si godranno la loro villa in Costa Azzurra.
I bretoni che vivono principalmente in campagna continueranno a lavorare in fabbrica o nel settore edile per mantenere in funzione l’economia, ma non potranno approfittare della costa nei fine settimana, a differenza dei ricchi pensionati di Saint-Malo o Dinard, i cui palazzi fiancheggiano la spiaggia.

Il dibattito all’interno di Mountain Wilderness Italia

Nicola Pech:

Ciao a tutti,
leggo che “cacciatori e raccoglitori” stanno facendo pressioni per ottenere deroghe al divieto di spostarsi tra comuni.
Qui due articoli in proposito.

https://telenord.it/regione-liguria-chiede-il-via-libera-per-la-caccia-anche-spostandosi-tra-i-vari-comuni

https://www.lastampa.it/cuneo/2020/11/11/news/ai-trifolao-arriva-la-deroga-al-coprifuoco-anti-covid-la-stagione-del-tartufo-e-salva-1.39523772/?ref=su17

Vedo invece che il CAI non sta in alcun modo chiedendo che ai i propri associati venga garantito il diritto di spostarsi tra comuni al fine di raggiungere le montagne.
Se riteniamo che il contatto dell’uomo con la natura sia un diritto, allora dovremmo pretendere che quel diritto venga garantito anche a chi vive in un comune dove la natura non esiste. Soprattutto perché esercitare quel diritto non ha nessun impatto sull’emergenza sanitaria.

Avevo sollecitato questa riflessione anche durante il precedente lockdown, pensate che siano ancora prematuri i tempi per prendere posizione?

Franco Tessadri:

Personalmente credo che forse non è il caso di intervenire in queste dispute, noi abbiamo la nostra filosofia e visone ben chiara della montagna, che comporta l’idea di limitare il più possibile il turismo di massa, sempre e comunque.  In questo momento particolare dove in diverse zone (..rosse) sono stati imposti dei limiti agli spostamenti procurando, piaccia o non piaccia dei disagi alle persone, non mi sentirei in grado di intraprendere una discussione che esporrebbe a mio avviso MW in una condizione particolarmente “vischiosa”, dove molto facilmente si sarebbe tacciati di irresponsabilità. Non so se vale la pena avviarci su questa strada, sembrerebbe un comportamento banale per controbattere a richieste, che possono sembrare illegittime, di altre categorie.
Potrei capire delle limitazioni sulla caccia, ma c’è già l’ENPA che ci pensa, per quanto riguarda i “tartufai” sinceramente non me la sentirei proprio di intervenire e penso che il CAI in questo caso faccia bene a non farlo. Se sbaglio o dico delle eresie non abbiate remore a farmelo presente, ma non riesco a mettere sullo stesso piano questo tipo di spostamenti limitati e zonali, aprendo la rischiosa possibilità di aprire a più grandi movimenti di persone.Poi vediamo bene i DPCM locali che variano molto da regione a regione e che permettono ancora degli spostamenti all’interno dei comuni,
che lasciano ancora qualche buona possibilità di movimento.Dalla nostra parte dobbiamo cercare più possibile di rispettare e comprendere le logiche di queste limitazioni, che mi auguro, ma siamo sicuri, avranno presto un termine, lasciamo almeno in questo frangente la responsabilità alle sole amministrazioni politiche di eventuali scelte che possono essere non condivisibili da tutti.
In ogni caso questa è una discussione sulle libertà individuali che a mio avviso va affrontata in ambito più allargato e non su delle specificità che ripeto, come sopra, potrebbero assomigliare a contenziosi corporativi.

Carlo Alberto Graziani:

Caro Nicola,
il problema che sollevi è grave, delicato e complesso. Ti dico molto
sinteticamente quello che penso, ma sono pronto a metterlo in
discussione.
Premetto che tra caccia e raccolta di tartufi vi è una differenza
sostanziale: la prima è soltanto un’attività di tipo ricreativo, anche
se a noi può non andar bene; la seconda è un’attività lavorativa o
almeno viene presentata come tale, anche se in parte  è pure essa
ricreativa (comunque vi sono famiglie che vivono di questa attività).
Ciò premesso tu poni il problema del diritto alla natura che sarebbe
violato nei comuni dove non c’è natura e pertanto chiedi un’eccezione
al divieto di lasciare questi comuni per raggiungere la montagna. C’è
una significativa incongruenza in questo ragionamento: lamenti infatti
che quel divieto violi non già il tuo diritto alla natura, ma il
diritto ad andare in montagna, a godere della montagna, a respirare
l’aria montana. Ma se il diritto alla natura, inteso come diritto
all’ambiente, è diritto fondamentale che trova il suo fondamento
nell’art. 9 della Costituzione, ciò non significa che la legge non
possa limitare le sue concrete espressioni: andare in montagna, al
mare, nei boschi. nei luoghi panoramici.
Tu fai riferimento a comuni dove non esiste la natura. Se è vero che
esistono comuni senza montagna, senza mare, senza boschi o senza
luoghi panoramici,.non esistono comuni senza natura: perché la natura
è nella villa comunale, nel piccolo giardino condominiale, nel viale
alberato, nel fiore che spunta non si sa come o forse nel vasetto sul
tuo davanzale.
Vi è un altro profilo del problema: riguarda le libertà. Avvertiamo
quel divieto come se violasse le nostre libertà più intime ed
essenziali: libertà di godere delle cose che amiamo di più,  appunto
di andare in montagna o al mare,ecc. In questo periodo  tra i
giuristi, ma non solo tra loro, si è aperto un grave e a volte aspro
dibattito sulla legittimità delle misure governative che, per
contenere la pandemia, violano o violerebbero le libertà, il bene più
prezioso. A parte gli aspetti più tecnici che pure sono fondamentali –
in particolare quelli  legati ai limiti costituzionali dei dpcm – io
parto dalla considerazione che il diritto alla salute – che oggi
diventa diritto alla vita, bene altrettanto prezioso – deve essere
posto al centro e che per questa centralità  ciascuno di noi può, anzi
ha il dovere di, sacrificare non già il diritto alla libertà in sé
considerato, ma alcune delle sue espressioni concrete. Altrimenti la
nostra sarebbe un’azione, più che egoistica, corporativa e non sarebbe
troppo diversa – un po’ sì però – da quella dei cacciatori.

Nicola Pech:

Grazie delle risposte, con riferimento a quella di Carlo Alberto Grazieni, mi sento di dire che consentire ai cittadini un sano rapporto con la natura, soprattutto in un momento di tale pressione psicologica, porti più benefici che rischi. Perchè se è probabilmente vero che frequentare le montagne può potenzialmente aumentare il lavoro di soccorritori e personale sanitario, è certamente vero che il beneficio sulla salute è immensamente più grande ed è tale da diminuire la pressione sulla sanità. E frequentare un parco cittadino non equivale a frequentare la natura.
Obtorto collo abbiamo accettato il divieto del primo lockdown sull’onda della paura ma ora, che si prospettano tempi lunghi, dovremmo essere più lucidi nelle valutazioni. E il divieto tout court di non muoversi dal Comune è insensato, tanto che nelle grandi città con densità abitative paurose si creano pericolosi assembramenti nelle vie, nelle piazze e nei parchi. Quelle si perfette per affollare i reparti Covid. Tenere ancora chiusi i cittadini in casa, a meno di essere la Cina, è impensabile e comunque sarebbe devastante per la nostra salute psico-fisica.
Il CAI e MW dovrebbero sensibilizzare e responsabilizzare i propri soci ma non assecondare divieti insensati e pure inefficaci nel contenimento della pandemia. Sarebbe un bel banco di prova per capire se i frequentatori della montagna sanno darsi un limite e diminuire volontariamente i rischi che si assumono durante l’attività che svolgono. Parlo di rischio perché il pericolo c’è ed è ineludibile ma è pericoloso anche salire sulla scala per potare un albero o per pulire un armadio. Ed è ancora più pericoloso non poter uscire da città piene di veleni inquinanti.
Trovo quindi totalmente dissennate le misure del dcpm che limitano la libertà di spostamento senza una ratio legata al contenimento della pandemia e trovo pericoloso obbedire supinamente.