L’alto Appennino e la resistenza

L’Appennino emiliano-romagnolo costituisce un luogo d’elezione della Resistenza italiana. Se alla mente tornano per prime le pagine legate alle vicende dei sette fratelli Cervi a Reggio Emilia o all’eccidio di Marzabotto nel bolognese, sono comunque tante le storie di uomini e donne che meriterebbero di essere raccontate e ricordate.

All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, diversi gruppi spontanei salgono in montagna allo sbando e senza organizzazione; in seguito ai nuovi bandi di arruolamento della primavera 1944, molti altri giovani aderiscono alle formazioni partigiane e si struttura la resistenza contro tedeschi e fascisti. L’attraversamento della catena appenninica rappresenta ancora oggi un’importante via di collegamento tra il nord e il sud Italia, qui si susseguirono numerosi sabotaggi alle vie di transito e di comunicazione con pesanti rastrellamenti per ritorsione; nell’estate del 1944 il comando tedesco in Italia realizzò una linea fortificata che andava da ovest a est partendo dal fiume Magra, tra La Spezia e Massa Carrara, per arrivare fino a Pesaro sfruttando le asperità dell’Appennino toscoemiliano, la cosiddetta Linea Gotica.

Particolare interesse riveste la vicenda della Repubblica di Montefiorino, una delle prime, più estese ed importanti realizzazioni di “zona libera” nel corso della guerra di liberazione. Le forze partigiane modenesi e reggiane, unificatesi per liberare l’alta valle del fiume Secchia, alla guida del comandante Armando (al secolo Mario Ricci) il 18 giugno 1944 prendono possesso della rocca di Montefiorino presidiando così una zona montana estesa quasi 1.000 chilometri quadrati e abitata da 50.000 persone; una settimana dopo viene eletta la Giunta con un nuovo Sindaco e si prendono provvedimenti riguardanti gli approvvigionamenti, i prezzi, l’assistenza, come se la guerra fosse finita. La controffensiva tedesca porta a terminare questa esperienza il 1 agosto seguente, con l’occupazione della città e l’incendio della rocca.

Reggio Emilia, che diede i natali al Tricolore della bandiera nazionale, è tra le città decorate di Medaglia d’Oro al valor militare per l’alto contributo dato alla guerra di liberazione. II prezzo pagato dalla città per l’opposizione al fascismo fu assai caro: 29 uccisi dalle “squadre d’azione” nere, 8 morti in carcere, 32 deceduti in seguito a percosse. A carico di 200 lavoratori antifascisti reggiani furono comminati dal Tribunale Speciale 1269 anni di carcere. Circa altrettanti furono gli anni inflitti dalla Commissione per il confino a carico di altri reggiani; molti espatriarono per sfuggire alle persecuzioni. La memoria non è andata perduta, ne sono testimonianza i numerosi istituti che tramandano le testimonianze di chi ormai a ottant’anni da quei tristi avvenimenti non ha più voce per parlare. Alcuni siti internet di riferimento:

La conformazione delle montagne ha in qualche modo favorito la strategia della guerriglia alla base della resistenza, con i partigiani spesso in grado di nascondersi e di sfuggire al nemico pur trovandosi ad affrontare le difficoltà legate alla rigidità dell’inverno. Sono numerosi i sentieri attraverso i quali le staffette mantenevano i collegamenti tra i vari reparti, gli abitanti dei centri sotto attacco sfollavano alla ricerca di posti più sicuri, i partigiani si spostavano velocemente per sfuggire ai rastrellamenti. Nel prossimo autunno sceglieremo un percorso significativo e, attraverso la guida di un esperto della zona, ripercorreremo le vicende di un periodo storico che ci ha permesso di migliorare le nostre condizioni di vita, anche se purtroppo alla luce degli eventi che si succedono nel mondo pare che non abbia insegnato abbastanza.

Fabio Valentini