Le montagne non ricrescono

Le montagne non ricrescono è il titolo della manifestazione – un convegno e un corteo cittadino – che si è svolta a Carrara lo scorso weekend per chiedere di fermare le attività estrattive selvagge sulle Alpi Apuane.
Mountain Wilderness ha fin dalla nascita individuato le Alpi Apuane come uno dei luoghi simbolo tra i tanti problemi delle nostre montagne. E su questi temi questo ci siamo impegnati in prima persona o appoggiando movimenti locali. Ed è per questo che siamo stati invitati tra i relatori del convegno.
Ci rappresentava Fabio Valentini, past president e sempre attuale voce saggia e autorevole di Mountain Wildereness Italia. Di seguito le sue considerazioni e il suo intervento
.

Fabio Valentini e Alessandro Gogna al convegno

Gli organizzatori sono stati costretti a cambiare location tre volte, per cercare di accogliere tutti gli interessati a partecipare. Alla fine si è scelto il cinema Garibaldi di Carrara, capienza massima 500 posti, tutti occupati per assistere al convegno dedicato alle Alpi Apuane.

Tra gli assenti, oltre ai rappresentanti dell’imprenditoria che non ci si aspettava certo di vedere entrare in sala, il vero convitato di pietra -trattando del marmo apuano si può ben dire a giusta ragione- era l’amministrazione pubblica a tutti i livelli, dal locale al regionale, che pure dovrebbe seguire con interesse le discussioni che riguardano un bene comune come le montagne.

Delle varie relazioni presentate nella mattinata, non ce ne vogliano gli altri che hanno esposto con perizia tecnica e capacità divulgativa diversi aspetti importanti della realtà del territorio, le due maggiormente coinvolgenti hanno individuato temi più “globali”. Il primo intervento, della ricercatrice universitaria Maura Benegiamo, ci ha spiegato come l’estrattivismo rappresenti un modello di sviluppo sempre più diffuso nel mondo, creando spesso alta conflittualità sociale a danno dei diritti umani. I territori interessati sono funzionali per l’estrazione delle risorse locali, destinate ad essere inserite in logiche di mercato generalmente variabili ed estranee al territorio stesso; il concetto di estrattivismo non riguarda solo le cave o le miniere, si può applicare anche all’agricoltura intensiva o a certe forme di turismo.

Fabio Valentini sul palco del convegno

In questi casi si verifica una sostanziale separazione tra società e natura, la quale deve essere sottomessa per il raggiungimento dei propri scopi, e si spaccia per bisogno sociale il raggiungimento di obiettivi che in realtà portano alla soddisfazione di interessi privati. Questo modello di sviluppo generalmente porta alla progressiva estensione dei progetti sotto forma di gigantismo o di grandi opere, creando le cosiddette “zone di sacrificio” ai fini del mantenimento di un sistema economico e di consumo: si esaltano i vantaggi per i consumatori globali a fronte di un danneggiamento locale, esattamente il contrario del concetto di sviluppo sostenibile, e i territori investiti da questo processo diventano sempre più marginali. Siamo tutti a rischio di sacrificio.

La Tenda Gialla di Mountain Wilderness fuori dal cinema Garibaldi di Carrara

Nell’ultima relazione del convegno Alessandro Gogna ha invece portato interessanti riflessioni sul rapporto tra l’uomo e le montagne; partendo dalla constatazione che l’indole umana ha il bisogno di conquistare, ha ripercorso varie tappe della storia dell’alpinismo. La prima forma di conquista della montagna è stata di carattere esplorativo, poi si è passati attraverso la conquista a scopi militari per il governo del territorio, in seguito si è arrivati alla conquista sportiva; oggi la conquista è per lo sfruttamento economico, dopo questo passaggio non resta che la conquista distruttiva esercitata con l’estrattivismo. Questo percorso è frutto di una cultura che predica l’assenza di limiti, una cultura che alcune “correnti” di alpinismo hanno cercato di contrastare a partire dalla fine degli anni ’60; il Nuovo Mattino prevedeva di rinunciare alla vetta privilegiando come si saliva, nelle spedizioni internazionali si è inventato lo “stile alpino”. Oggi in alpinismo non c’è evoluzione se non considerando la riduzione dell’uso di mezzi artificiali, occorre rinunciare a qualcosa per raggiungere un risultato che possa essere considerato valido; al contrario, nella società attuale la filosofia no limits introdotta negli anni ’90 e cavalcata dal marketing è un’offesa che facciamo a noi stessi, all’umanità e alla natura. Le Alpi Apuane rappresentano un laboratorio di estremo valore, solo vedere la montagna come un bene pubblico può servire a combattere l’antropocentrismo, qui ci troviamo nel cuore di un problema che non è solo di questo territorio.

Le conclusioni del convegno sono state affidate al presidente generale del CAI Antonio Montani, che ha parlato di modelli di sviluppo sbagliati: sulle Apuane, come a Cortina, non c’è né sostenibilità ambientale, né economica, né sociale. Le recenti chiusure di sentieri esercitate dalle forze dell’ordine su sprone di amministratori ed imprenditori chiamano alla disobbedienza civile, verrà proposto un fondo di solidarietà ambientale destinate a quelle sezioni del club alpino che si sentono in qualche modo ricattate dai contributi pubblici. L’assenza odierna di esponenti del Parco regionale delle Alpi Apuane non è passata inosservata, dovrà partire un gruppo d’azione permanente per l’istituzione di un parco nazionale, unico modo per garantire salvaguardia ambientale e sviluppo sostenibile a questo territorio sottraendolo alle pressioni locali.

Nel pomeriggio oltre un migliaio di persone ha partecipato alla marcia cittadina che ha chiuso questa giornata, aprendo però un nuovo orizzonte sulle battaglie future: più di cento associazioni, comitati e movimenti hanno partecipato a questo evento, già dal giorno successivo partiranno i primi gruppi di lavoro, occorre prepararsi.

Il corteo cittadino

Il testo dell’intervento di Fabio Valentini al convegno

Buongiorno a tutti, vi ringrazio per il gradito invito e vi porto il saluto di Mountain Wilderness Italia.

La nostra associazione, nata nel 1987, fin da subito ha individuato le Alpi Apuane come uno dei luoghi simbolo tra i tanti problemi delle nostre montagne. E per questo ci siamo impegnati.

Già nel giugno del 1990 contribuimmo ad organizzare un convegno proprio qui a Carrara, sul futuro delle Apuane; in seguito molti altri se ne sono svolti su questo tema, e a diversi di questi ho potuto partecipare in prima persona.

Ci sono state decine di raccolte di firme, numerose manifestazioni, molti articoli sui giornali anche a livello internazionale, documentari visti in tutto il mondo per raccontare quello che sta accadendo; perché nessuno potesse dire “io non sapevo”.

Ci siamo impegnati con coerenza anche in vertenze nelle aule dei tribunali, pur nella consapevolezza che anche una cosa ingiusta può essere legale. Lo sapevamo, purtroppo il buon senso non è legge. Ma dovevamo combattere.

In tanti si sono mobilitati, da personaggi illustri a comuni cittadini, e il risultato è che oggi siamo ancora qua, a parlare dell’incerto futuro di queste montagne.

È la sorte destinata a chi si occupa di ambiente. Non abbiamo in mano né il potere politico né quello economico, eppure quando qualcosa va storto danno la colpa a noi, accreditandoci di chissà quale influenza sulle decisioni.

Se si verifica un’alluvione è colpa degli ambientalisti, che hanno impedito la pulizia dei fiumi. Se manca l’acqua per l’agricoltura, è perché gli ambientalisti non hanno voluto gli invasi di raccolta. Se la montagna si spopola, è perché qualcuno continua a lottare, con ostinazione, contro l’impoverimento a scopo industriale di territori che andrebbero tenuti con cura, per le generazioni future.

Occorre un equilibrio.

Le cave in Apuane esistono da secoli, e nessuno si è mai sognato di chiedere il divieto di estrazione. Ma da tempo non ci si accontenta più di prelevare il necessario, si va ben oltre, e senza troppi scrupoli. Per il ritorno economico di pochi, che si arricchiscono, si distrugge un territorio. E a chi lo abita, non restano che gli spiccioli.

Vi consiglio la lettura di un libro; si intitola “Perdere l’Equilibrio”. L’autrice, che ha trent’anni di carriera nel Corpo Forestale dello Stato, ci racconta che quando ci capita di perdere l’equilibrio non si sa mai come va a finire: possiamo ristabilirci senza alcun danno, oppure cadere e farci male o addirittura precipitare e morire. Chi va in montagna questo lo sa bene.

Questo vale anche per gli ecosistemi, e le Apuane sono un ecosistema, del quale abbiamo bisogno: per l’acqua, per la biodiversità, anche per il marmo -che ha dato e dà da vivere a molte persone-, e per tanti altri “servizi ecosistemici” che però non siamo in grado di monetizzare, e dunque ci appaiono poco importanti.

Le montagne non sono isole, ma un sistema interconnesso da una rete che unisce tutti gli altri sistemi, e ciò che accade in quota si ripercuote inevitabilmente anche nel fondovalle.

Dunque dobbiamo ritrovare un giusto equilibrio, per non perdere ciò che questo meraviglioso territorio può ancora dare alla comunità, per non svuotarlo e saccheggiarlo come se non ci fosse un domani. Perché un domani comunque ci sarà, anche quando noi qui presenti non ci saremo più.

I tempi della natura sono diversi dai nostri, che ci sentiamo i padroni della Terra. E, come dice il titolo di questo convegno, le montagne non ricrescono.