Luigi Casanova, il custode del bosco
Esponente di Mountain Wilderness Italia (del cui house organ “MW Notizie” è direttore) nonché vice presidente di Cipra Italia, Luigi Casanova è uno dei più noti rappresentanti dell’ambientalismo alpino. Di professione custode forestale nelle valli di Fiemme e Fassa dove risiede, per una legislatura è stato assessore comunale a Cavalese, poi ha guidato per tre anni Mountain Wilderness Italia. Collabora con Italia Nostra e WWF e nel Forum della Pace rappresenta il Movimento Nonviolento. Oltre all’impegno pubblico, i suoi desideri più veri sono la montagna, i boschi, le amicizie, gli affetti. Il quotidiano “Trentino” lo ha incontrato noi siamo lieti di poter riprendere, per gentile concessione, questa intervista del 9 ottobre 2016 .
Uomo simbolo di Mountain Wilderness
Sangue bellunese sia da parte di mamma che di papà, Luigi Casanova, classe 1955, è un trentino che vive e respira ogni giorno nei boschi trentini. A Moena, come custode forestale del Comune, sorveglia il taglio del bosco e guarda al mondo cercando quell’equilibrio che la natura offre. “Ma io non sono un ambientalista di città, dovete mettervelo bene in testa”, mi ammonisce subito. Che cos’hanno mai gli ambientalisti di città? “Non è facile capirsi. Loro guardano alla natura, ai boschi, alle montagne come a cattedrali. Cattedrali da conservare immutabili. Sì, dico io, ma voi lo vedete il vostro Duomo di Milano? Quante volte c’è un cantiere attorno? Il nostro ambiente, la natura, le Dolomiti si conservano anche intervenendo, agendo, mica dicendo sempre “no”. È come essere in un cantiere”.
E anche la vita di Casanova è come un cantiere. Fin dalla nascita. Il papà e la mamma di Luigi si erano conosciuti all’ospedale. Il papà, minatore in Argentina, un giorno s’avvicinò a una carica che stentava a esplodere: la mina scoppiò, le schegge gli finirono negli occhi. Rimase cieco. Aveva 25 anni. La madre, invece, aveva avuto dei malanni da ragazza: malattie oggi forse banali o controllabili, ma allora, in tempi di guerra, la curarono male. Rimase cieca. E i due, entrambi non vedenti, si incontrano all’ospedale di Belluno: lei perché lavora come massaggiatrice, lui invece perché inizia le cure per la silicosi.
Si sposano poco dopo. Luigi nasce nel 1955. La sorella Maria Teresa nel 1957. Poi, quando Luigi ha 4 anni, il papà muore. E da quel momento Casanova diventa già un “fratellone” e per di più l’accompagnatore ufficiale di mamma Lea. “Un momento. Facevo da guida, sì. Ma la mamma, energica com’è, cercava di fare tutto da sola”. Grazie all’Unione italiana ciechi Lea trova un bel lavoro a Rovereto e lì ci porta anche i figli. Luigi cresce, fa le pulizie in casa, diventa perito chimico e poi entra in fabbrica. E lì inizia la storia del ribelle. Primo lavoro a Sacco, alla Manica, azienda leader per il solfato di rame. “Sì, ma dura poco. Dopo sei mesi m’hanno cacciato: stavo organizzando il sindacato”. Ah, vedi che il buongiorno si vede dal mattino? “Beh, poi sono andato alla Marangoni”. E com’è andata? “Ci sono rimasto quattro anni. Subito delegato sindacale e poi ho costruito il coordinamento sindacale fra le sette sedi della società. Ma ero deluso. Così quando si presentò l’opportunità di lavorare nei boschi con la cooperativa Olaf di Folgaria io mi inserìi: c’era da andare in val di Fiemme e Fassa. Dico al caporeparto: datemi un’aspettativa di sei mesi, se mi piace me ne vado per sempre. No, no, mi risponde, lavora e taci. Dopo cinque minuti mi richiama: ‘ti vogliono in direzione’. C’erano sia Mario Marangoni che Osvaldo Bastoni. ‘Qui c’è un assegno. Se ti va bene prendilo e non farti vedere mai più’. Ho preso l’assegno”.
E siamo al 1982. Casanova torna nelle sue montagne, diventa boscaiolo e conosce sua moglie, Letizia, che ora è direttrice del laboratorio analisi di Cavalese. “E senza Letizia e tutta la sua pazienza, io non avrei mai potuto fare tutto quello che ho fatto dopo”. Che poi a questo punto Casanova è già un sindacalista – pacifista fatto e finito, giusto? “Pacifista, sì. Anche se preferisco dire nonviolento. Ricordo i tempi della Lega per il Disarmo Unilaterale, quando ho fondato l’Associazione trentina per il disarmo unilaterale. La differenza fra me e gli anarchici ed ex partigiani che facevano parte della Lega per il disarmo è che loro erano terrorizzati dalla bomba atomica mentre io e alcuni preti eravamo per il totale rifiuto della guerra”.
Casanova come i preti… “Assolutamente. Guarda che – sorride – mi chiamano spesso ‘il frate’ quando intervengo all’interno delle associazioni ambientaliste… Mi dicono che faccio la predica”. Beh, il frate che è il terrore di tanti politici… Un Casanova-Savonarola… “Ma va là. Io ho frequentato molto il movimento nonviolento di Verona, quello di Mao Valpiana, e i miei maestri filosofici sono Gandhi e Aldo Capitini. E quindi il mio essere ambientalista nasce da questa impronta della nonviolenza: non è passività, ma agire nonviolento”. E cioè? “Vuol dire che anche quando hai lo scontro più duro ti lasci sempre una porta aperta. Per un dialogo, per una trattativa. Perché la persona che hai di fronte non è mai il nemico. Combatti le idee, non le persone. È questo, vedi, che marca la differenza dalla sinistra comunista”.
Quindi Casanova è un anti-comunista? “Sì. Io sono di sinistra. Ma sono anti-comunista, perché il comunismo è totalizzante»”. È per questo che Casanova è riuscito a stare insieme con Mauro Gilmozzi, a fargli da assessore a Cavalese? “Qui apriamo la parte in cui sono stato con i Verdi. Cinque anni bellissimi a Cavalese (che hanno fatto la fortuna, meritata, di Gilmozzi), periodo difficilissimo per me con i Verdi del Trentino, con il partito che secondo me puntava ad alleanze spregiudicate pur di essere al governo: e così nel 1993 sono uscito”. Ma con la politica c’è un eterno-ritorno di Casanova. Che culmina nel fattaccio del 2003. Quando il movimento “Costruire Comunità” di Micheli e Passerini sceglie Luigi Casanova e Piergiorgio Cattani come propri candidati nella lista dei Ds alle provinciali e Dellai pone il diktat, dicendo che Casanova no, non può candidarsi. “Io mi sono fatto l’idea che Dellai temesse un grande successo di Costruire Comunità, cosa che gli avrebbe sbilanciato l’intera area di governo”.
Ma Casanova è, innanzitutto, l’uomo simbolo di Mountain Wilderness e di tante sue battaglie. “Un onore per me. Sono stato presidente per 4 anni e ora sono portavoce”. E ha realizzato un accordo con Vascellari e la società funivie della Marmolada. “Una grandissima battaglia. Abbiamo vinto tre processi, fino in Cassazione. E alla fine siamo arrivati a un accordo”. Ecco l’uomo del dialogo, l’opposto dell’estremista. “Beh, quando c’è una trattativa mica scherzo, però”. Ma quella porticina aperta… “Sì. Quella è stata difficile da fare digerire anche a tanti amici delle associazioni ambientaliste. Preferiscono dire no. Ma con il no restiamo fermi. E un po’ alla volta sbatteranno via noi e le nostre idee”.
Vuoi vedere che Casanova è tutt’altro che Savonarola? “Io lavoro ogni giorno nei boschi. E so una cosa: quando tagli gli alberi per procacciarti il legname devi insieme preparare il bosco del futuro. Quando curi il bosco devi pensare a come sarà fra 100 anni. Le piante adulte di grandi dimensioni danno un tornaconto economico oggi, certo, ma non possono essere tolte in modo spregiudicato”. E i boschi sono al sicuro? “La Provincia lavora bene nei boschi: è attenta al futuro. La Magnifica Comunità di Fiemme no”. Ecco la polemica. “Ho già fatto dei documenti”. Allora ricominciamo dai boschi? “Sì. Dobbiamo puntare all’ecologia in senso pieno. Il bosco è fragile: non possiamo diradare e far crescere un bosco coetaneo. Dopo alcuni anni, se arriva il vento forte, gli alberi giovani cadono come birilli, con effetto domino. Il bosco è come una grande famiglia: ha bisogno dei genitori, dei nonni, se possibile anche di qualche bisnonno”. Grazie, frate Casanova.
Paolo Mantovan
da “Trentino”, 9 ottobre 2016, per gentile concessione