Michele Boato, una ricetta per la montagna perduta

Protagonista di coraggiose battaglie per l’ecosistema per la cui sopravvivenza è sempre più necessario un cambiamento di rotta, il professor Michele Boato ha ricevuto un meritatissimo riconoscimento internazionale. Martedì 1° novembre 2016 a Sorrento (Na), presso la Fondazione Sorrento, gli è stato consegnato il Premio Internazionale di ecologia “La città del futuro – Verde Ambiente” giunto alla settima edizione, patrocinato dalla Presidenza della Repubblica e organizzato da Verdi Ambiente e Società onlus e Green Cross Italia. Della giuria hanno fatto parte il professor Giorgio Nebbia e il senatore Guido Pollice. Nato il 13 agosto 1947 a Venezia, Boato si laureò in Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi su Porto Marghera, dove lavorò come operaio nel periodo 1971-72. Boato, grande amico della montagna (è socio di Mountain Wilderness Italia e ha partecipato a importanti campagne come quella per la salvezza del Cansiglio), ha fondato e dirige l’Ecoistituto del Veneto “Alex Langer” dove MW ha sede legale. Luigi Casanova lo ha intervistato per Moiuntain Wilderness Notizie, dicembre 2016.

Michele Boato

 

Michele Boato, veneziano, insegnante, sei stato assessore regionale e deputato. Hai alle spalle decenni d’impegno ambientalista, a difesa dei mari, contro ogni forma di inquinamento, hai difeso corsi d’acqua e montagne. Hai messo a disposizione dei cittadini azioni dirette, riflessioni culturali. Ed oggi ti hanno insignito di questo importante premio: Verde Ambiente 2016. Come commenti questo tuo lungo percorso?

Nascere e vivere i primi vent’anni a Venezia, in laguna, sia in barca sia nuotando nel canale della Giudecca; andare di corsa tutte le mattine da casa (all’Accademia) fino al liceo (a Castello) e poi in bicicletta al Lido: tutto questo è una specie di imprinting che ti segna per la vita. È stato perciò naturale, partendo dal movimento studentesco del ‘68 a Ca’ Foscari, trovarsi a parlare di salute e nocività con gli operai di Marghera, lottare con loro contro veleni come i gas CVM o fosgene, fino ad andare a lavorare nel cantiere dell’enorme centrale Enel in costruzione a Fusina, dove ho visto precipitare un giovane operaio da 50 metri e deciso che così non poteva continuare.
“Da lì è stato tutto un susseguirsi di cose: il petrolchimico di Brindisi, l’esplosione della colonna dell’arsenico di Manfredonia, i fanghi della Montedison di Marghera scaricati a 3mila tonnellate al giorno al largo del Lido di Venezia, le falde acquifere dell’alta padovana inquinate dal cromo esavalente delle fabbriche galvaniche, il traffico sempre più invadente che trasformava anche la piazza centrale di Mestre in una camera a gas e così via. Reagire, manifestare, anche in modo molto forte, era quasi una necessità vitale. Poi, pian piano, si è imposta la scelta di studiare sempre soluzioni alternative. Ed è nata l’idea dell’Ecoistituto, nel 1996 dedicato ad Alessandro Langer.

Alessando Langer è un personaggio a cui dobbiamo molto: messaggi, coraggio e specialmente esempio. Riusciremo a trasferire ai giovani la profondità del lavoro da lui svolto e la complessità della sua visione del mondo e dei rapporti fra noi cittadini planetari?

Con Alex abbiamo fatto un cammino parallelo, partendo dai gruppi di cattolici del dissenso, passando per Lotta Continua, fino ai Verdi; ma senza mai farci troppo incasellare, anzi restando sempre molto critici e sospettati di eresia. Credo che, tra le molte cose lasciateci da Alex (anche un grosso aiuto economico per acquistare la sede dell’Ecoistituto, che porta il suo nome), quella più preziosa sia il suo sottolineare che la conversione ecologica dell’economia non si affermerà tanto sbandierando le catastrofi prossime, quanto rendendola una risposta “desiderabile” ai nostri bisogni più profondi.

Michele Boato con Toio De Savorgnani in Cansiglio

Naomi Klein invita l’ambientalismo ad investire maggiormente nell’impegno sociale. A suo avviso l’ambientalismo teso a difendere unicamente una specificità, biosfera, animali, o acque, perde senso, rimane immaturo e inconcludente. Questa lettura ci porta all’interno di una sfida complessa, al dovere di approfondire conoscenze, alla politica. Ma per dei volontari assoluti come noi tutti siamo non è chiedere troppo?

Una visione unitaria della realtà (pensare globalmente) è il presupposto di un’efficace azione locale e concreta (agire localmente). Affrontare la questione climatica, per esempio, comporta conoscere e maneggiare temi come l’energia, le migrazioni, la produzione agricola, l’alimentazione, i trasporti, l’abitare ecc. La separazione netta tra un aspetto e l’altro della società e della natura diventa addirittura difficile, se non impossibile. Poi però l’impegno di ognuno deve concentrarsi necessariamente su temi e obiettivi ben definiti, altrimenti diventa inefficace.

Difesa dell’ambiente e agire nonviolento. È possibile nella nostra Europa?

La storia dimostra che i mezzi violenti (salvo i casi estremi di legittima difesa) sono controproducenti. ‘Occhio per occhio, diventiamo tutti ciechi’ diceva Gandhi. Poi c’è l’etica (‘tu non uccidere’) che si aggiunge e rafforza la scelta nonviolenta.
Il muro di Berlino è crollato senza colpo ferire, così come si è fermato il nucleare in Italia con i referendum o si è defenestrato il dittatore delle Filippine con enormi manifestazioni pacifiche. Certo, non sempre funziona, Tien An Men insegna; ma l’altra via, più o meno violenta, non porta da nessuna parte, troppo spesso, anzi, ha portato all’auto-isolamento di movimenti che pure perseguivano obiettivi assolutamente giusti.

Da sempre hai investito grandi energie nella informazione, nella diffusione dell’agire ambientalista. A volte mi sembra che i nostri amici sottovalutino l’impegno rivolto alla divulgazione. Siamo a conoscenza di quanto lavoro venga svolto sui territori, dai comitati alle associazioni fino alle singole persone, ma alla fine sembra di non portare a casa nulla forse proprio perché non si ha la percezione di quanto sia diffusa la sensibilità ambientalista.

Occorre soprattutto far conoscere le ‘buone notizie’, cioè le iniziative positive (di persone, comunità istituzioni locali e stati), le battaglie vinte, le proposte alternative ai disastri e alle speculazioni. Così si rafforza la fiducia nella possibilità di migliorare, o almeno non peggiorare, i nostri territori. Chi si aspettava di vincere contro il carbone bruciato dalla centrale Enel di Porto Tolle, nel mezzo del magnifico Delta del Po? Oppure di far chiudere gli inceneritori di Verona o di Marghera? Eppure ci siamo riusciti, e diffonderne la notizia (oscurata totalmente dai media locali e nazionali) è importantissimo, per dare forza a chi, da Civitavecchia a Taranto, sta facendo lotte simili, per non respirare più veleno.

I residenti nelle aree urbane premono sulle montagne per ritrovare quanto è andato perduto: aria pulita, paesaggi, silenzi, esperienze emotivamente coinvolgenti. Questa pressione porta al consumo del bene collettivo. Chi vive in montagna pretende servizi pari a quelli che il cittadino trova nelle metropoli. Stiamo stretti in questo conflitto. Dobbiamo ritrovare condivisione e una specificità netta della montagna. È possibile ricostruire un equilibrio fra questi due modi di intendere la montagna? È possibile invitare i montanari a mantenere sobrietà e i cittadini ad adeguarsi, anche a pretendere offerte più spartane? Quindi offendersi in presenza di certi caroselli sciistici, dell’uso improprio dell’elicottero, delle auto che penetrano ormai ogni bosco e pascolo?

La peste consumista, negli ultimi decenni, ha fatto danni enormi non solo materiali (rifiuti, traffico, ecc) ma anche psicologici: l’atteggiamento non rispettoso da parte dei ‘cittadini’ verso la montagna è uno di questi. Lo stesso vale per i giovani montanari. Per cambiare, forse, sono utili dei sostegni, finanziari e organizzativi, alle iniziative private e ai Comuni che puntano alla sintonia con la natura e al rispetto della montagna: le notti a scrutare le stelle o le stelle cadenti di san Lorenzo, i circuiti ciclabili, i concerti ‘leggeri’ sotto le cime, la riscoperta dei rifugi, le marce sulla neve con le ciaspole, i circuiti con gli sci da fondo, gli orti di montagna, le marmellate di mirtilli e le coltivazioni di erbe medicinali. Ma chissà quante altre idee ‘dolci’ si possono trasformare in modi nuovi e insieme antichi di vivere in sintonia con la montagna.

Luigi Casanova