Montagne in movimento. Il Manifesto per il turismo dolce e i Laboratori alimentano la fiducia in un prossimo recupero delle montagne italiane.
La montagna italiana è in movimento. Le scelte politiche dell’ultimo decennio che hanno imposto un taglio dei servizi ai cittadini hanno colpito in modo particolare le già fragili terre alte del nostro paese. La logica utilizzata dalla politica è stata una sola: razionalizzare sulla base del numero di utenti per servizio. Tagliare. Così facendo si sono chiusi ospedali, scuole, si sono ridotti i servizi pubblici di trasporto (treni e autobus), si è trascurata la manutenzione della viabilità, sia le grandi infrastrutture che le strade con minori transiti.
Già mantenere abitata la montagna era impegnativo, oggi, causa l’assenza delle istituzioni, specie dello Stato, chiedere ai giovani di rimanere in quota per lavorare è impossibile. Rimangono attivi solo pochi resistenti, certo tenaci, certo orgogliosi, certo capaci di riscossa, ma questi nel profilo (sempre e solo numeri) elettorale contano poco se non nulla.
Nonostante una situazione tanto drammatica, dal basso sta maturando una nuova resistenza, capace di proposta politica e sociale, capace di aggregare istituzioni locali, operatori economici, culturali e cittadini.
La situazione delle Alpi è molto diversa da quella della dorsale appenninica. Anche nelle Alpi vi sono luoghi in sofferenza, si pensi al cuneese, o alla Valtellina, a gran parte del Cadore e della Carnia. Ma ci sono diffuse situazioni di turismo maturo che riescono a mantenere alti livelli occupazionali e a evitare l’abbandono delle alte quote. In tante realtà delle Alpi oggi è necessario trovare nuovi equilibri, riproporre con forza la cultura del limite, recuperare identità perdute e coltivazione reale del territorio. Perché, laddove vi è ricchezza, il territorio viene comunque abbandonato, alpeggio, gestione dei boschi, paesaggio sono ovunque trascurati. L’eccesso di turismo consuma ambiente e paesaggio, ma quel che è più grave modifica in modo probabilmente irreversibile lo stesso montanaro: in tutti i grandi centri alpini l’offerta della montagna presenta prodotti identici a quelli che si ritrovano nelle città e nelle spiagge del paese. Vi è la rincorsa ad avere sempre di più, non un angolo di vallata deve rimanere libero da impianti di risalita o piste, gli alberghi conquistano quote sempre più elevate, rifugi e malghe diventano ristornati con accessi liberi anche nelle serate, nelle notti, l’uomo si sta imponendo sulla natura da dominatore, privo di scrupoli e rispetto. Partendo da queste constatazioni oltre un centinaio di operatori turistici, alpinisti, ambientalisti e personalità del mondo della cultura si sono ritrovati in Val Maira. Durante due giorni di festa e dibattiti (Acceglio, Solstizio d‘estate, 22 – 24 giugno 2018) è stato elaborato un Manifesto del turismo dolce. Questo manifesto evidenzia le emergenze appena citate e invita tutti i soggetti attori del vivere in montagna a sostenere solo politiche di sviluppo basate sulla reale sostenibilità ambientale e sociale: cultura, identità, sobrietà, regole precise e inderogabili nell’uso del territorio libero, gestione delle grandi foreste e dei pascoli in quota, recupero di paesaggi perduti.
Solo 15 giorni dopo a Civitella Alfedena, nel cuore del primo parco nazionale italiano, il parco d’Abruzzo e del Gran Sasso, prendeva il via il terzo trekking dei parchi di Mountain Wilderness.
Il trekking aveva l’obiettivo di recuperare le due esperienze precedenti. In ogni situazione sindaci, amministratori di aree protette, allevatori, accompagnatori di territorio ripetevano un ritornello preoccupante: “per fortuna ci siete voi, qui lo Stato non esiste”. La frase era stata ripetuta in modo ossessivo anche nel 2014, nei tre giorni di lavoro del convegno sulle aree protette di Fontecchio. Ma per rendersi conto della realtà era sufficiente mentre si camminava leggere l’abbandono degli abitati, guardare gli sguardi di chi è rimasto lì a vivere, e ascoltare, osservare la forza dirompente della natura che riguadagnava spazi abbandonati dall’uomo. Con queste minime attenzioni si poteva comprendere la drammatica realtà di quella frase. Grazie ai tanti passi, grazie ai tanti incontri, si è dato vita al Laboratorio Appennino riprendendo spunti dal recente Laboratorio della Valle di Susa sostenuto da CIPRA Italia.
Il laboratorio sostenuto da diversi attori costruisce una cornice che porta tutti i soggetti a condividere delle linee guida che rilancino la montagna appenninica. Si parte ovviamente dalle aree protette, istituzioni dimenticate dallo Stato, enti questi capaci di innovazione sociale e economica, capaci di offrire nuovi lavori, determinanti nel recuperare territori e biodiversità. Da questi punti nevralgici, ben presenti lungo tutta la catena appenninica, si elabora un progetto che rimane aperto al contributo di ogni soggetto ricco di volontà e pensiero positivo, che sarà poi portato alla attenzione dei vari ministeri, dello Sviluppo economico, dell’ambiente.
In Appennino si sta partorendo l’idea di un rilancio della montagna, un rilancio basato sulla sostenibilità, sul recupero di servizi, sulla offerta di lavoro per i giovani, su un nuovo dialogo fra periferie e città, fra montanari e università. Un progetto innovativo, basato sulla diffusione di buone pratiche, molte delle quali già concrete e attuate in più punti dell’Appennino. Come esempio si pensi solo alle Cooperative di comunità.
Cosa unisce le Alpi all’Appennino? La necessità di ritornare a coltivare “il mondo dei vinti” riprendendo un basilare libro di Nuto Revelli. Suo figlio, Marco, a Acceglio ha fornito alcune proposte. Sburocratizzare il mondo del lavoro (non significa abbattere le regole, significa costruire una legislazione più leggera e flessibile che si adatti alle mille diversità sociali e economiche presenti sulle montagne italiane), defiscalizzare le imprese che in montagna lavorano, riportare nelle periferie servizi essenziali, primo fra tutti la banda larga, ecc.). da tempo è maturo un percorso che riconosca alla montagna una sua centralità: una montagna coltivata e ben gestita garantisce sicurezza ai fondovalle e alle città, diventa oasi di ricreazione, tutela i beni comuni (foreste, acque), offre aria libera e diffonde biodiversità, produce alimenti sani, biologicamente garantiti. Si deve riconoscere alla montagna un ruolo specifico nella fornitura di servizi ecosistemici che arricchiscono tutta la comunità nazionale.
Non è un caso che l’articolazione del progetto sia sostenuta da CIPRA Italia e da CIPRA International. La CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) ritiene che la sua mission non possa rimanere isolata a una attenzione rivolta solo ai problemi del vivere nelle Alpi, ma che oggi più che mai sia doveroso costruire una alleanza forte fra tutte le montagne del mondo. Già si è lavorato all’avvio della Convenzione dei Carpazi, ora si sta lavorando con progetti simili sui Pirenei, non poteva rimanere assente una attenzione solidaristica e programmatica nei confronti degli Appennini.
Il Laboratorio ora è aperto. Nel corso dell’autunno si lavorerà nell’implementare gli obiettivi del progetto, poi il documento sarà portato alla attenzione delle Regioni interessate, dei parchi nazionali e regionali, dei sindaci e comunità di valle, degli abitanti delle montagne italiane. Con la montagna, si spera, che ritorni protagonista dello sviluppo italiano e delle politiche di conservazione ambientale.
Luigi Casanova Presidente onorario di Mountain Wilderness e Vicepresidente di CIPRA Italia.