Riscaldamento globale e sci: dal 71% al 98% delle 2.234 località europee sono destinate a diventare “fuori servizio” (con o senza neve artificiale).

Un importante studio europeo pubblicato sulla rivista “ Nature Climate Change ” prevede che a questo livello di riscaldamento, dal 71% al 98% delle 2.234 località europee sono destinate a diventare “fuori servizio” (con o senza neve artificiale).

Nonostante le evidenze scientifiche lascino poco spazio a dubbi, i Governi Europei continuano a investire milioni di euro di fondi pubblici su impianti di risalite e di innevamento artificiale. E’ necessario cambiare rotta collettivamente per non chiuderci alla cieca in un modello senza uscita.

Il “modello Francese”

Mentre il governo spiega che la Francia deve prepararsi a un aumento della temperatura di +4°C, alcune lobby sono pericolosamente rinchiuse in una politica cieca e rischiano così di trascinare l’intera montagna in una drammatica impasse. Lo scorso inverno, la Camera del Sindacato dei Domaines Skiables de France (DSF) ha ripetuto ovunque che, con un calo limitato dell’attività (-4%), ” tutto andava bene * » e che occorreva soprattutto continuare a investire nel settore immobiliare e nelle grandi realizzazioni in montagna per ” preservare lo sci di domani “.
Queste le dichiarazioni, diversa è la realtà in cui:

1)Le grandi stazioni internazionali hanno realizzato profitti importanti, con elevate spese energetiche (elettricità, acqua), grazie all’attrazione di una clientela straniera sempre più ricca , compresi i viaggi aerei di grande impatto …

2)Il 70-80% delle stazioni soffre da anni di una cronica mancanza di neve e di pesanti debiti legati alla corsa all’innevamento artificiale, un sistema a breve termine soluzione , spesso inefficace e che ritarda l’impegno nelle transizioni, considerato vitale.

E’ evidente come fossilizzarsi nel modello attuale non servirà a “finanziare la transizione”. Al contrario, questo modello ci immerge in un circolo vizioso che accelera il cambiamento climatico, rallenta le dinamiche trasformative e indebolisce permanentemente il tessuto socio-economico dei territori montani.

Un desiderio sempre più forte di preparare altri modelli e stili di vita in montagna.

Le lezioni di questo importante studio europeo non presentano alcuna ambiguità. Abbiamo assolutamente bisogno, d’ora in poi, di avviare durante tutto l’anno la transizione verso altre prospettive di vita in montagna . Ciò comporta in particolare nuove forme di turismo più rispettose della vita, della natura selvaggia e profondamente legate alla natura . Si tratta soprattutto di ripensare collettivamente i nostri stili di vita, i nostri modelli economici , per ridurre drasticamente la nostra impronta e adattarci a un mondo in pieno fermento .
E non si tratta solo dell’inverno… Il proliferare degli eventi climatici , soprattutto nelle ultime estati (grandi frane, siccità, stress idrico, sofferenza di foreste e ghiacciai, record di caldo, ecc.) preoccupa profondamente gli attori della montagna. La loro disponibilità a immaginare altri modi di vivere insieme non è mai stata così forte.
Il lavoro e le sperimentazioni nei territori montani meritano di essere maggiormente valorizzati, discussi, condivisi, abbiamo tanto bisogno di ispirazione per avviare insieme progetti territoriali innovativi e mobilitanti .

Scialpinismo in Valmalenco. Lo scialpinismo permette di assecondare le stagioni senza forzature, adattando la nostra attività sulla base delle condizioni di innevamento. Foto: Sergio Ruzzenenti

L’appello alle politiche nazionali ed europee ambiziosi per la transizione.

Non basta però che la scienza faccia la diagnosi, le Amministrazioni Pubbliche devono proporre soluzioni con una visione realistica, con politiche coerenti e con l’ambizione di immaginare le Alpi in tutte le sue dimensioni. E’ necessaria una politica europea che faccia sistema e che ponga le basi per una cooperazione tra i diversi Paesi che stimoli una dinamica creativa capace di immaginare un rapporto diverso con i nostri territori d’alta quota.
La Spagna detiene attualmente la presidenza dell’Unione Europea. E se il futuro delle località pirenaiche potesse incoraggiarle a gettare le basi di una politica europea per tutti i territori montani?