Sciare sulla plastica? O scoprire un’altra montagna? Il caldo impone un piano B

Un salasso idrico ed energetico: la neve artificiale su tutte le piste alpine consumerebbe l’acqua di una città di 1,5 milioni di abitanti. E si scioglierebbe presto. Di Roberto Antonini. Copyright: HuffPost

Non c’è più neve sull’Appennino: fa caldo e non si scia. La soluzione? Neve artificiale sparata da cannoni che usano tanta acqua e tanta elettricità: dunque costi elevati e prezzi degli skipass alle stelle. Così si scia, ma si scia male: su una striscia bianca in mezzo al marrone della terra secca e su una neve che non è proprio neve. Oltretutto, visto che fa caldo, dura pure poco: in condizioni normali, fredde, la neve artificiale resiste più di quella naturale ma se la temperatura si alza c’è poco da fare.

Uno scenario paradossale? Può andare anche peggio. Ad esempio con una pista in plastica. Benvenuti nella follia della montagna con la neve fasulla, sparata su erba secca per non accettare il fatto che con l’emergenza climatica in atto la situazione è cambiata, si deve riconvertire e il turismo invernale non sarà più lo stesso.

Ad aprire le danze è la titolare del ministero del Turismo, Daniela Santanchè. “Innevare le piste artificialmente è necessario nell’emergenza e non significa negare la crisi climatica e ambientale: anzi, favorire le attività turistiche legate allo sci evita lo spopolamento delle nostre montagne”, spiega alle Regioni riunite al tavolo sull’emergenza neve sugli Appennini. Anche se non nevica più e le alte temperature non vanno mai sotto lo zero anche a 1.500 metri, “ha senso continuare a promuovere le offerte turistiche sulla neve perché non crediamo di deturpare l’ambiente ma di aiutare il territorio”.

Insomma, continua Daniela Santanchè, “non pensiamo che sia il momento di rinunciare alla neve, sarebbe devastante per le imprese che hanno investito”. Oltretutto la neve prodotta artificialmente “può essere restituita all’agricoltura: dopo mesi di siccità, si crea anzi un circolo virtuoso”. Certo, riconosce la titolare del Turismo, “bisogna lavorare sulla destagionalizzazione dell’offerta turistica, puntando sulla diversificazione, dalle ciaspole alle passeggiate, dal cicloturismo al benessere”.

Michaela Dorfmeister su una pista di Neplast. Foto: Neveplast

Un milione di litri per ettaro

In ballo ci sono i numeri indicati da Assoturismo Confesercenti: sugli Appennini il turismo invernale vale circa 2 miliardi di euro e impiega 65 mila persone in oltre 14 mila strutture ricettive e pubblici esercizi, un settore che coinvolge 9 Regioni e 160 Comuni che garantiscono accoglienza per quasi 6 milioni di presenze. Ma siamo sicuri che innevando artificialmente si risolva la situazione? No. “Con la crisi climatica in atto, affrontare la mancanza di neve incentivando l’innevamento artificiale vuol dire aggravare il problema, attingendo alle già scarse riserve idriche e impattando sugli ecosistemi“, ribatte il Wwf. Oltretutto, veniamo da un’estate di intensa siccità, in cui mancava l’acqua anche per il consumo umano e l’agricoltura, dunque – propone l’associazione ambientalista – occorre semmai riconvertire il settore, ampliando l’offerta alternativa e non investendo più nei settori destinati a un drastico ridimensionamento, come quello sciistico.

Tanto più che la neve artificiale costa, in termini di consumo d’acqua e di energia. Con 1.000 litri d’acqua, cioè un metro cubo, si possono produrre in media da 2 a 2,5 metri cubi di neve, spiega un rapporto 2004 della Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (Cipra). Per l’innevamento di base (circa 30 cm di neve, spesso anche di più) di una pista di un ettaro, occorrono almeno un milione di litri, cioè 1.000 metri cubi d’acqua, mentre gli innevamenti successivi richiedono, a seconda della situazione, un consumo d’acqua nettamente superiore per un totale che può arrivare al quadruplo. Estendendo questi consumi a tutte le piste innevabili delle Alpi servirebbe ogni anno tanta acqua quanta ne consuma all’incirca una città da 1,5 milioni di abitanti, rileva il rapporto.

E un salasso elettrico

Oltre all’acqua e all’aria, nella neve artificiale c’è anche una notevole quantità d’energia. Sempre facendo riferimento alle piste innevabili dell’intero arco alpino occorrerebbero 600 gigawattora di elettricità a stagione, stima il rapporto, grosso modo il consumo annuo di oltre 220 mila famiglie italiane.

“Il rapporto è del 2004 ma credo ci si discosti poco, da un lato sarà migliorata l’efficienza degli impianti, mai i costi energetici sono aumentati, quindi i dati restano attendibili”, spiega Francesco Pastorelli, direttore Cipra Italia. “Il punto è che non si tratta soltanto di un problema di innevamento artificiale ma di carenza idrica e temperature alte. Si banalizza, si dice ‘manca la neve e la facciamo artificiale’, ma in alcuni paesi dell’arco alpino piemontese manca già l’acqua e si sta facendo ricorso al rifornimento con autobotti”. Incombe la siccità, e “una volta che dovessimo avere l’acqua cosa facciamo, la tratteniamo nei bacini per poter produrre la neve o la lasciamo andare a valle per l’agricoltura e gli altri usi? Oltretutto un bacino artificiale altera l’idrografia del territorio e non si può certo spacciare per un lago”.

A rendere il tutto paradossale è il fatto che usare i cannoni sparaneve risulta anche inutile perché le alte temperature fanno sciogliere rapidamente la neve artificiale. A confermarlo anche una ricerca italiana (Università di Padova e Isac Cnr) pubblicata su Nature Climate Changes: sulle Alpi non c’è mai stata così poca neve negli ultimi 600 anni e nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese. Quella artificiale, sciogliendosi, non diventa ‘neve marcia’, come dicono gli sciatori in gergo, diventa acqua, non è più sciabile, rallenta lo sci e crea problemi. In Coppa del mondo si ‘barrano’ le piste sciogliendo dei sali nell’acqua iniettata ad alta pressione nella neve: in questo modo la temperatura di fusione viene resa più alta e il punto di congelamento può arrivare a 5 gradi sopra lo zero.

La soluzione per il Wwf è quella indicata dalle Linee guida per l’adattamento della Convenzione delle Alpi, di cui l’Italia fa parte: puntare alla riduzione della dipendenza economica locale dall’attività sciistica, diversificando i prodotti turistici e includendo attività che siano meno dipendenti dalla variabilità degli accumuli di neve.

Cannoni spara neve inutilizzati

Non ha granché senso che i comprensori sciistici cerchino di rendersi indipendenti dalla natura, tanto più che con l’emergenza climatica in atto la montagna si scalda più delle altre aree, fino a quasi il doppio. “La montagna è un maestro e sta a noi coglierne gli insegnamenti, ma noi non li cogliamo”, spiega Jacopo Gabrieli, ricercatore dell’Istituto di Scienze Polari del Cnr. “In montagna vediamo accadere le cose su piccola scala, poi queste conseguenze si manifestano su una scala maggiore, quindi ora dobbiamo accettare la realtà e capire che è più conveniente pensare a una riconversione, perché lo sci non è la soluzione. Lo è stato in passato ma oggi non lo è più. Io abito a Belluno: anni fa si diceva ‘siamo sfortunati perché non c’è neve e dobbiamo spararla’, adesso di dice ‘siamo fortunati perché c’è una temperatura abbastanza bassa e possiamo spararla’. Ora il problema è avere le temperature sufficienti per sparare la neve artificiale: i cannoni spesso nemmeno riescono a entrare in funzione sull’Appennino perché fa troppo caldo”.

La neve artificiale è molto più pesante

“Non servono grandi studi per rendersi conto delle criticità”, continua Gabrieli. “La neve naturale pesa 80 kg al metro cubo, quella artificiale 500 kg a metro cubo perché contiene poca aria. La neve naturale è composta dai cristalli che conosciamo, quella artificiale non ha cristalli ma palline di ghiaccio: è evidente che ha un effetto diverso sia per gli sciatori che per la biodiversità del suolo”.

Insomma, “non siamo più nella situazione degli anni 80 in cui la neve artificiale serviva magari a conservare la naturale, integrandola. I cannoni non sono più un aiuto all’innevamento ma la fonte stessa di quella che viene considerata neve”, rileva il ricercatore del Cnr Isp. “Se non nevica più in montagna dobbiamo adattarci: lo sci, e da appassionato lo dico a malincuore, diventerà uno sport di nicchia e sarà sempre più difficile praticarlo. Quindi non ha senso andare a cercare cannoni da neve sempre più potenti. Dobbiamo fare cose diverse. Dobbiamo sederci a un tavolo e riprogettare il futuro”.

Riconvertire è possibile e conviene

Riconvertire, ripensare in senso ecosostenibile. Non come hanno intenzione di fare la Regione Marche e il Comune di Sarnano con il progetto ‘Sistema Integrato della Montagna, Sarnano – Monti Sibillini’. Un esteso complesso infrastrutturale che comprenderebbe non solo nuovi rifugi, una seggiovia, il potenziamento degli impianti di innevamento artificiale ma anche una pista da sci in ‘Neveplast’, un materiale plastico “con le stesse caratteristiche di scorrevolezza della neve” dice chi lo produce, da usare in estate e in inverno. E poi bob su rotaia, osservatorio astronomico, pista di pattinaggio su ghiaccio, pista per gommoni da sci estate-inverno, ‘glamping’ (camping di lusso), parco avventura e gonfiabili per bambini “e forse altro ancora”.

È il quadro tracciato dalla Carovana delle Alpi di Legambiente, che per assegnare una valutazione al progetto (ha preso la ‘bandiera nera’) ha fatto una digressione sugli Appennini. Il progetto – bocciato da Legambiente sul piano ecologico- ha un costo complessivo di ben 36 milioni di euro, possibile grazie ad una doppia linea di finanziamenti pubblici (Contratto istituzionale di sviluppo e Piano nazionale di ripresa e resilienza). La Carovana delle Alpi denuncia “la sproporzione della rilevanza degli investimenti in favore di impianti rispetto alla loro reale capacità di generare economia”. Le montagne marchigiane – e in particolare Sarnano e il complesso di Bolognola che ricevono neve da ovest, dalla fascia tirrenica, con aria che oggi entra più calda – “storicamente non hanno mai potuto offrire una stabile economia basata sullo sci. Nell’era dei cambiamenti climatici poi si va incontro a sempre più rare nevicate che a causa delle maggiori temperature non potranno generarne molta”. Questa direzione degli investimenti risulta dunque “anacronistica e economicamente incomprensibile”, concludono gli ambientalisti.

Roberto Antonini