Settanta anni fa ci lasciava Tita Piaz, un grande cuore.

Il 6 agosto del 1949 moriva Tita Piaz, Luigi Casanova lo ricorda in questo articolo.

Tita Piaz, il diavolo delle Dolomiti

Mi sento in dovere di ricordare a 70 anni dalla morte l’alpinista Tita Piaz (6 agosto 1948). Non solo perché è stato un grande alpinista, non solo perché ha aperto vie che ai suoi tempi sembravano impossibili, ma per la complessità che la sua figura riveste: un personaggio che non ha avuto paura di andare controcorrente, di vivere anche incompreso dalla sua stessa gente.
Tita Piaz è stato imprenditore turistico, ha costruito l’albergo Col di Lana al Passo Pordoi, ha gestito il rifugio Vajolet, e quando cacciato dall’Alpenverein ha costruito il rifugio Preuss nell’alta conca di Gardeccia per poi costruire il rifugio Re Alberto in Catinaccio. E’ stato guida alpina, ha praticamente impostato le basi ideali e etiche del Soccorso alpino (oltre 100 soccorsi). Stretto amico dei reali del Belgio, è anche stato scrittore, animatore di teatro. Una vita tracciata nella coerenza del suo pensiero animato da grandi ideali, una vita ricca di passione e basata sull’agire. E’ stato un uomo che ha sempre messo al centro il valore e la dignità della persona, che si è donato ai più deboli. In quegli anni (immaginiamo oggi) per essere socialisti ( anticlericali) e vivere in valle di Fassa, per avere come amici Cesare Battisti e Edmondo de Amicis, ce ne voleva di coraggio, di forza d’animo. Solo il Diavolo delle Dolomiti poteva reggere simili pressioni.


Solo un minimo elenco delle sue caratteristiche delinea una persona eccezionale. Schietto fino all’autolesionismo, generoso, altruista, irredentista, antimilitarista, antifascista, difensore della dignità dell’uomo, di tutti gli uomini, specialmente di chi viveva nell’indigenza e nella sofferenza. E’ stato i galera durante la prima guerra mondiale (contemporaneamente alla moglie e alla sorella), è poi stato arrestato nel 1930 dalla polizia fascista in quanto inserito nella lista delle persone sovversive, è finito nei campi di detenzione tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Ma allora, nonostante queste caratteristiche non comuni, la sua gente lo riconosceva per i valori e gli esempi che tracciava, infatti è stato anche sindaco di Perra di Fassa, nel 1922 e poi nel 1946. Nonostante le ingiustizie subite prima dall’Alpenverein tedesco (perché irredentista), poi anche dalla SAT trentina (schierata a difesa del regime), nonostante le ripetute confische intimidatorie dei suoi beni, Tita non ha mai ceduto dagli ideali che lo sostenevano.
Una persona la si ricorda anche per poter riflettere sul presente e sul futuro. E’ auspicabile che i ladini di Fassa, tutti i ladini, ricordino questo personaggio, sappiano apprendere dai suoi tanti esempi cosa significa vivere amore per la montagna: non è sufficiente inserirsi in una cornice linguistica, cornice per lo più tesa a costruire privilegi localistici e non vedere come questa montagna viene giornalmente violata, proprio per volontà di chi la Ladinia la vive. La montagna va amata difendendola dalle ormai disseminate aggressioni che subisce, da chi in nome del solo guadagno cancella ogni traccia di cultura, da chi umilia paesaggio e vette, da chi viene accecato dall’egoismo, dalla fame del possesso, dalla cancellazione di ogni ideale collettivistico. Tita Piaz insegna coerenza anche a tanti alpinisti, specialmente a quanti, grazie alla loro fama, si inseriscono su percorsi commerciali a scapito dell’etica dell’approccio alla montagna, sia nelle Alpi che nelle altre catene montuose del nostro pianeta. Chiudo questo mio ricordo con una frase ripresa dal più caro amico di Tita, Arturo Tanesini. Così scrive dice di lui dopo la sua morte: “Tita Piaz fu un grande cuore”.

Luigi Casanova