Sono i vincoli la causa della montagna che muore?

I vincoli sarebbero la morte della montagna? E se invece la montagna che muore fosse causa della irresponsabilità dell’uomo? Una riflessione di Giancarlo Gazzola

Giancarlo Gazzola

Non sono certo i vincoli a definire la morte della montagna. Anzi, nella storia i vincoli, cioè le regole di comportamento di noi umani nei confronti dei beni collettivi naturali, la montagna ad oggi l’hanno parzialmente salvata.

I vincoli sono un valore per la montagna, frutto di specifiche valutazioni ed attenzione particolare nell’autorizzare determinati interventi, studi in chiave naturalistica, storica, culturale ed estetica dei tratti connotativi del bene e dei suoi pregi. L’applicazione, ovunque, del principio di precauzione. Alla fin fine invece di risultare limitanti delle attività umane i vincoli possono valorizzare i beni impedendo che luoghi di pregio vengano trasformati in luna park, banalizzati a protesi delle città; nella provincia vicina dell’Alto Adige, dove ormai è tutto costruito e non ci sono più spazi liberi, una imprenditoria d’assalto cerca di “colonizzare” anche il versante veneto.

Buona parte degli operatori turistici è consapevole come vi sia un turismo sempre più attento ad un contatto autentico con la natura, come si stiano cercando luoghi più intimi, meno compulsivi ed evitando sempre più quanto è omologabile con le città.

Non sono certo questi vincoli che portano allo spopolamento della montagna, ma ben altro. I giovani scappano perché la montagna non offre servizi alla persona. Scuole sempre più lontane per gli studenti, chiusi reparti interi di ospedali, mancano ambulanze, non viene curato il territorio, le strade a rischio frane nei periodi piovosi e/o di nevicate, i trasporti pubblici sono sempre più carenti, non si offrono ai giovani né spazi né opportunità di lavoro di alta qualità. Le attività di cura e gestione giornaliera della montagna non sono sostenute, mentre si spendono milioni di euro per le Olimpiadi di MI-Cortina; la Regione, nonostante il CIO sia decisamente contrario, ha deciso di sostenere una spesa di 85 milioni di euro per un’assurda pista da bob a Cortina, oltre a sperperare denaro in un villaggio olimpico che in teoria poi verrebbe rimosso, il tutto per gare che dureranno meno di 20 giorni e al termine delle quali tutto sarà abbandonato e dimenticato, in pochi mesi. Cose già viste. Questi soldi dovrebbero essere usati per aiutare la gente di montagna e non sperperarli solo per “prestigio” o rivolti al sostegno di limitati interessi economici. La conservazione della montagna e quella delle persone che ci vivono dovrebbe andare di pari passo, non una a scapito dell’altra.

Questi sono i reali problemi che “i montanari” devono affrontare giornalmente: istruzione scolastica, formazione nel lavoro, manutenzione del territorio, spazi per i giovani. Se si condivide questa analisi non si comprende perché i vincoli ambientali e paesaggistici dovrebbero impedire uno sviluppo equilibrato e durevole dei territori alpini e dolomitici.

Abbiamo letto delle frasi retoriche, ricche di ideologia, come “chi vive la montagna di essa conosce -oggi più che mai- il valore dell’ambiente e della sostenibilità”. La realtà in molte amministrazioni pubbliche dimostra l’esatto contrario. Ci sono montanari che hanno davvero a cuore il proprio territorio, lo curano con grandi sacrifici, ma anche molti altri che per “trenta denari”, specie nelle zone della Val D’Ansiei, svendono boschi e aree prative ad imprenditori altoatesini con l’illusione di arricchirsi, investendo in ingestibili alberghi diffusi e casette di lusso sugli alberi o su palafitte per soddisfare un auspicato aumento di turismo legato al concetto di lusso in montagna. Il tutto invadendo aree aperte, territori liberi da infrastrutturazione, zone molto delicate e straordinariamente belle. In questo modo si tradisce la reale cultura della montagna basata sulla sobrietà e sul limite, per pochi soldi si svendono i beni più preziosi, i gioielli rimasti sul nostro territorio in nome di un fantomatico ed invisibile sviluppo. Tutto questo mentre i cambiamenti climatici evidenziano la necessità di un’inversione di rotta per il turismo invernale, e l’ISPRA sottolinea come l’Europa e le Nazioni Unite ci richiamano alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, al riconoscimento del valore del capitale naturale e ci chiedono di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030.

Riferendoci al collegamento sciistico tra il Comelico e Val Pusteria, i vincoli rendono più impegnativo il percorso autorizzativo. Invece, se si legge con coscienza e onestà intellettuale il documento sui vincoli, è a tutti chiaro come il decreto ministeriale riguardi gli ambiti urbanistico, paesaggistico, ambientale e culturale; non va interpretato solo nel senso di bloccare il collegamento perché di fatto così non è.

Poi ci sono i ricorsi sostenuti dalla Regione. E’ appena stato emesso il parere positivo Vas e Vinca da parte della Regione Veneto. Ora si può aprire un confronto su aspetti specifici, compreso il collegamento, avendo ben presente come l’ipotesi più elevata in quota sia ormai definitivamente superata.

Certo, noi di Mountain Wilderness auspichiamo che si ripensi in modo complessivo a questo progetto, lo riteniamo inutile oltre che inopportuno e insostenibile dal punto di vista ambientale ed economico. Probabilmente è meglio, da subito, mettersi a ragionare su altri progetti che tendano al rilancio socio-economico delle vallate dolomitiche. Su questo siamo disponibili a collaborare.

Giancarlo Gazzola