Stiamo perdendo la montagna.
Stiamo perdendo la montagna. Non solo a causa del continuo consumo di suoli pregiati e fragili, non solo a causa delle umiliazioni alle quali viene sottoposto il paesaggio.
La stiamo perdendo dal punto di vista culturale: se questa involuzione si consolida la perdita sarà irreversibile.
Inizia così l’editoriale di Luigi Casanvoa che introduce l’ultimo notiziario di Mountain Wilderness.
Fino a qualche decennio fa, con orgoglio, le Regole, le ASUC (Amministrazioni separate degli usi civici), le Comunità difendevano i loro spazi di vita (boschi, alpeggi, malghe) e, cosa non da poco, li coltivavano, li
gestivano con sapienti e specifiche attenzioni.
Fino a qualche tempo fa, pur fra difficoltà, era possibile esprimere il pensiero ambientalista anche nelle vallate, non solo nelle città.
Oggi tutto è cambiato. Nelle vallate chi si oppone alle speculazioni dell’industria dello sci o alla trasformazione di malghe e rifugi in alberghi deve tacere, ha paura a esprimersi, deve chiedere ad altri, esterni, il sostegno alle proprie idealità tese a difendere spazi liberi e natura intonsa. È oltremodo preoccupante aver diffuso la paura nelle valli, raccogliere sui social minacce e offese, leggere che si è identificati come esterni, cittadini, privi di diritto di parola in quanto non vivono la montagna, corpi estranei privati del diritto di pensiero e parola.
Alcune minoranze, per lo più albergatori e impiantisti (ci sono straordinarie eccezioni da valorizzare) hanno fatto passare l’idea che ogni ulteriore infrastruttura imposta al territorio sia utile, sempre e comunque, allo sviluppo. Specie se per costruirla e poi gestirla si attinge a fondi pubblici in quantità smodate. Con la scusa dello spopolamento delle vallate si è disposti a qualunque sacrificio ambientale, anche dentro le aree protette.
Prolificano le proposte di ulteriori collegamenti sciistici anche a basse quote, si costruiscono invasi artificiali sempre più devastanti e imponenti (si superano i 200.OOO mc di capienza), si demoliscono, in nome dei mondiali di sci alpino e delle Olimpiadi invernali montagne intere (Col Margherita, la Tofana di Mezzo), si invoca viabilità pesante, il prolungamento della A31 in Trentino e della Venezia Monaco, la A27 in Cadore.
Perfino un raduno di quad o una manifestazione di eliturismo diventa modello da importare. In quota si portano concerti sempre più imponenti, raduni jazz, Jovanotti a Plan de Corones, si tengono raduni di enogastronomia e di esposizione di vini pregiati.
Non si è mai soddisfatti, si deve sbalordire, innovare, essere sempre più invasivi, importare cultura cittadina. I passi dolomitici come il Col di Nivolèt vengono lasciati alla rapina delle auto, invasi da rumori e inquinamento.
Anche il lupo disturba, meglio abbatterlo subito, prima che si adatti ai nuovi spazi conquistati sulle Alpi. E per abbatterlo si fa leva sulla paura, si proclamano diritti di supremazia dell’uomo su ogni altro bisogno della natura e dello sviluppo della biodiversità. Lo sviluppo è stato privato del suo fondamentale supporto: il progresso culturale e sociale.
La montagna, fino a poco tempo fa spazio dell’accoglienza, della solidarietà, del reciproco sostegno, ha assunto la cultura dell’egoismo, della chiusura: faccio i miei interessi e degli altri “me ne frego”, si sente ripetere sempre più spesso. In ogni situazione. Aver perduto la capacità di essere società, aver perduto i legami solidaristici per la montagna e chi oggi la vive è una tragedia. In questo percorso si perde il senso del limite, la capacità di percepire l’essenza delle montagne, la loro fragilità, la loro delicatezza. Si perde la capacità di raccogliere, tramite il cammino, la fatica, i tanti rumori, i diffusi e diversificati silenzi delle foreste dei pascoli delle terre alte.
Si perde l’ultimo rifugio dove portare l’uomo a ristorarsi, a ricomporsi, a carpire alla natura i tanti segreti che definiscono l’arte e la poesia delle montagne. Tutto questo perché si insegue il nostro egoismo, perché si inseguono i particolarismi, perché siamo sempre più incapaci di cogliere e leggere la complessità di un ambiente naturale.
Si corre troppo.
Luigi Casonava