Tesi di Biella: la proposta italiana

E’ ovvio che la predilezione del Consiglio di Mountain Wilderness Italia vada a questo documento, frutto del lavoro di molti dei consiglieri e dei garanti italiani. Noi della redazione cercheremo tuttavia di essere il più obiettivi possibile. Intanto il testo italiano recepisce e fa propri alcuni dei temi sui quali si attarda il documento svizzero e tedesco, pur evitando di sposare conclusioni troppo ingenue e inutilmente radicali. I redattori hanno cercato di restare sempre con i piedi per terra, concentrando i suggerimenti su ciò che realmente i frequentatori delle montagne possono tentare di fare, con le loro modeste forze, per preservare la wilderness e la vocazione prioritaria di quegli ambienti straordinari. Resta presente sullo sfondo l’incubo dei cambiamenti climatici. Ma la vera innovazione sta nell’apertura al confronto con le popolazioni che nelle valli montane vivono e operano. Il testo specifica che questo atteggiamento non deve portare però alla accettazione di compromessi, ma piuttosto all’individuazione condivisa di percorsi praticabili. Difetto: il documento è molto lungo.

Ampliare il ventaglio degli interessi e degli scopi istituzionali

a) L’impianto delle Tesi di Biella e i temi cruciali che ne costituiscono l’ossatura sono rimasti attuali e ricchi di significato anche dopo circa trent’anni. Tuttavia bisogna riconoscere che l’articolazione del documento, pur continuando a imporsi per la sua lungimiranza e il suo spessore culturale, riflette quello che fu l’orientamento del convegno di cui esso rappresentò la sintesi; nonché la composizione dei partecipanti, tutti o quasi tutti appartenenti al mondo dell’alpinismo attivo. Di conseguenza le Tesi finiscono col concentrare la propria attenzione principalmente sui comportamenti degli alpinisti e sulle iniziative in difesa dell’integrità delle montagne che essi dovrebbero porre in atto o stimolare a vari livelli. Con una percepibile sfumatura himalayano-centrica.

b) Le esperienze che le associazioni nazionali affiliate a Mountain Wilderness International hanno maturato in questi trent’anni conducono verso la necessità di ampliare il ventaglio degli interessi e degli scopi istituzionali suggeriti dalle Tesi di Biella, includendovi i temi della biodiversità montana, del riscaldamento del pianeta, e del rapporto con le popolazioni che abitano nelle valli montane.

c) Il fenomeno del riscaldamento globale del Pianeta sta influenzando sempre più significativamente la moderna pratica dell’alpinismo e dell’escursionismo. La progressiva scomparsa del permafrost e il drammatico ritiro dei grandi ghiacciai producono gravi conseguenze in quota, causando frane, cadute di sassi e seracchi, apertura di nuovi e pericolosi crepacci. Ma anche incidendo negativamente – nei fondovalle – sulla fornitura di acqua, le produzioni agricole, la biodiversità, e gli stili di vita di molte popolazioni locali. La abissale discrepanza tra la vastità del fenomeno a livello mondiale e le iniziative che le ristrette comunità dei frequentatori della montagna possono mettere in atto per tentare di ridurne la velocità e l’impatto, è talmente enorme che in tale prospettiva la scelta di comportamenti individuali più sobri e responsabili potrebbe apparire addirittura troppo ingenua. E tuttavia Mountain Wilderness non può fare a meno di suggerire a ogni singolo alpinista di fare in modo che la propria “orma ecologica” sia la più leggera possibile. Non per l’infantile proposito di ridurre realmente la propria responsabilità nei confronti dei cambiamenti climatici, ma per un interiore bisogno di coerenza e come testimonianza del rifiuto di essere complice della crescente deriva consumistica.

d) Già le Tesi (3-1 e 3-2) segnalavano l’opportunità di approfondire le tematiche legate alle genti delle montagne, alle loro aspettative, ai loro problemi, ai loro legittimi bisogni identitari e economici, alla loro dignità. E’ ormai urgente approfondire questi aspetti sociali che si stanno rivelando cruciali anche nella prospettiva della efficace difesa del patrimonio naturale delle montagne. Ciò non deve però aprire la strada a soluzioni compromissorie e tanto meno condurre verso una supina accettazione delle rivendicazioni della categoria (per altro estremamente eterogenea) dei montanari. Deve invece stimolare Mountain Wilderness alla paziente costruzione di possibili alleanze su temi specifici, pur rimanendo fedele alla propria connotazione originaria e alla propria “mission”, là dove le Tesi parlano di “alpinisti in difesa della montagna”. Per addentrarsi con successo in campi così delicati e complessi le parole d’ordine devono essere “disponibilità all’ascolto”, “umiltà”, “rispetto”, nella acquisita consapevolezza che le proposte giunte dal di fuori suscitano spesso la diffidenza preconcetta delle comunità locali, anche quando sono prive di connotati paternalistici o condiscendenti.

e) Parlare genericamente di un’unica categoria di montanari (o di abitanti delle montagne) equivale ad accontentarsi di una astrazione che può avallare percorsi inefficaci. Diversissime nella realtà sono le situazioni che riguardano gli abitanti delle montagne europee da quelle che riguardano le popolazioni himalayane o andine. Ed anche all’interno di ciascuno di tali gruppi sarebbe vano supporre un’omogeneità di aspirazioni e di bisogni. Compito di Mountain Wilderness dovrebbe essere quello di calarsi con attenzione, tatto e simpatia nelle diverse situazioni concrete, per stimolare gli abitanti a individuare essi stessi soluzioni praticabili, in armonia con la prioritaria prospettiva della tutela dell’integrità naturale delle montagne.

f) Va affermato senza reticenze che gli abitanti delle Alpi hanno avuto una parte di responsabilità nell’iper-antropizzazione consumistica e banalizzante delle loro montagne. E’ innegabile che tali scelte abbiano portato in molti casi benefici economici concreti; per questo è sbagliato ogni giudizio aprioristicamente de-contestualizzato e supponente. Per una serie di ragioni storiche i montanari delle Alpi hanno accettato una posizione subalterna nei confronti della pressione proveniente dai modelli di sviluppo elaborati nelle pianure urbanizzate e non hanno avuto la capacità di pilotarne gli esiti verso soluzioni meno deleterie per il patrimonio naturale e ambientale e per il loro stesso retaggio culturale. Se sarebbe ingiusto e ingeneroso demonizzarli per ciò che è accaduto, resta altrettanto errato esimerli da ogni colpa. La fratellanza costruttiva e responsabile del mondo dell’alpinismo potrebbe invece aiutarli a trovare essi stessi la via per uscire da questo vicolo cieco e rendersi conto che i vantaggi materiali conseguiti, per quanto indubbi, si stiano rivelando assai più fragili del previsto e pagati a caro prezzo con l’abdicazione di identità culturali costruite nei secoli. E’ importante documentarsi seriamente per poter suggerire – caso per caso – soluzioni alternative sostenibili in grado di produrre analoghi benefici.

g) In questa fase storica è altamente opportuno che Mountain Wilderness ridefinisca con chiarezza cosa intende con il termine “alpinisti” . Tutti coloro che frequentano con passione e rispetto la wilderness montana, a qualunque livello, devono essere considerati alpinisti.

h) Ampliare lo sguardo di MW sui problemi della montagna significa anche cimentarsi con i temi scottanti dei “beni comuni” e della gestione del patrimonio idrico, direttamente collegati con la lotta al riscaldamento globale del pianeta e con gli scenari potenzialmente infausti che ne derivano.

i) Uno dei gravi problemi attuali è che il modello ludico/consumistico che ha trionfato su gran parte dell’arco alpino, snaturandone il valore anche esemplare, viene preso ad esempio come unica possibile soluzione riguardante lo sviluppo turistico della montagna, sia in Asia, sia nell’America latina. Fatte salve alcune situazioni particolari, va scoraggiato ogni progetto tendente a riproporre nelle montagne extra-europee modelli di fruizione e manomissione ambientale di origine alpina, come rifugi lontani da centri abitati, mezzi di risalita meccanici, vie ferrate e altre strutture fisse, in quanto la loro presenza finirebbe per abbassare il livello dell’esperienza di wilderness offerta da quei luoghi lontani, senza portare benefici di sorta alle popolazioni ivi residenti.

l) Il continuo sviluppo di nuove tecnologie e il costante aumento delle possibilità di spostarsi hanno favorito una disordinata crescita dell’influenza antropica sulla montagna. Regioni un tempo di difficile accesso subiscono oggi l’assalto di un numero crescente di visitatori. Ciò può portare a rischi oggettivi, conflitti culturali, danni all’integrità dell’ambiente naturale. Uno dei compiti più significativi di Mountain Wilderness deve essere quello di operare per ottenere la ri-naturalizzazione degli approcci alla montagna, sottolineando a tutti i livelli il valore della “barriera dello sforzo individuale”. Se da un lato è positivo avvicinare i nostri simili alla pratica e allo spirito della montagna, dall’altro è spesso negativo avvicinare artificialmente la montagna al pubblico, eliminando o riducendo sensibilmente fatica e rischi. Di questo già parlano con chiarezza le Tesi di Biella (2.1 e 2.2). Mountain Wilderness conferma di essere decisamente contraria alla trasformazione della montagna in un parco tematico, banalmente ludico. E, al contrario, sostiene apertamente il diritto alla responsabile assunzione dei rischi impliciti nell’autentico rapporto con la wilderness. E’ inderogabile contrastare, anche a livello delle norme legislative di ogni paese, la tendenza a restringere progressivamente e a soffocare gli spazi della libertà di rischiare.

m) E’ ormai tempo di prendere posizione riguardo alle spedizioni commerciali che stanno corrodendo il senso dell’alpinismo sulle maggiori vette del pianeta. Ogni ambiente naturale ha la possibilità di metabolizzare la presenza umana solo fino a un certo livello: al di là del quale inizia la degradazione progressiva dei suoi valori ecologici e dei suoi significati psicologici e culturali. In particolare il significato esistenziale dell’esperienza della montagna non può prescindere da un certo grado di solitudine e di autonomia decisionale e in generale da un rapporto con un ambiente naturale per sua natura aspro e selvaggio, vissuto sotto il segno dell’autenticità, limitando al massimo il ricorso a “protesi” artificiali, come lo sono, per l’appunto, le vie ferrate, le corde fisse e le bombole d’ossigeno o l’uso di elicotteri per raggiungere i campi-base (si vedano le Tesi di Biella, 2.2).

n) Questi livelli di infausta antropizzazione sono stati drammaticamente superati lungo la via normale nepalese all’Everest e lo stesso sta per accadere tra le montagne che si affacciano sul circolo Concordia (K2, Broad Peak, Gasherbrums), per opera soprattutto delle grandi spedizioni commerciali. Con il risultato di ridurre in modo drastico, se non addirittura di annullare del tutto, il valore dell’ascensione di quelle grandiose montagne. Mountain Wilderness deve raddoppiare i propri sforzi per liberare l’immagine dell’alpinismo da tutte le inquinanti incrostazioni mercantilistiche e super-omistiche dalle quali troppo spesso sono state infettate le stesse popolazioni montanare in Asia e in America Latina. E deve stimolare le autorità dei paesi asiatici a controllare severamente i comportamenti delle spedizioni commerciali.

o) Le montagne non sono abitate solo da esseri umani ma anche da una moltitudine di diverse specie animali e vegetali. La loro rarefazione o la loro scomparsa potrebbero causare squilibri ecologici anche gravi, oltre a privare l’ambiente montano di una delle sue maggiori attrattive. Mountain Wilderness oggi è impegnata nella difesa della bio-diversità (vegetale e animale) e si batte per evitare l’estinzione delle specie a rischio. Qui subentra il problema della liceità delle attività venatorie di cui le Tesi di Biella evitarono di parlare. Anche in questo caso sono necessarie alcune distinzioni. Nelle montagne extra europee ( e pure, sebbene in misura minore, nell’estremo nord dell’Europa ) la caccia ha mantenuto spesso il suo originario carattere e contribuisce ancora alle primarie necessità alimentari degli abitanti. Si può regolamentarla ma non abolirla d’autorità. Invece quell’arcaico significato alimentare è scomparso nelle montagne europee e per questo nella totalità dei paesi occidentali la caccia dovrebbe essere vietata. Infatti al dilà delle oggettive ragioni ecologiche è moralmente inaccettabile che ad alcune categorie di nostri simili sia permesso di uccidere per diletto altri esseri viventi. E’ altamente opportuno che sia vietata l’adesione a Mountain Wilderness di chi pratica la caccia.

p) Anche la ricerca di cristalli montani, fatta per ragioni commerciali e con l’uso di mine, pur avendo alle spalle una antica tradizione intimamente connessa con la stessa nascita dell’alpinismo, dovrebbe essere scoraggiata oggi per i danni oggettivi che sta provocando alle montagne.